FIRENZE. IL LUSSO E LA STORIA di Maria Cristina François*
Premetto che la mia riflessione di oggi
nasce da un mio lungo lavoro storico-archivistico sulla Costa San Giorgio le
cui tappe sono state illustrate in 11 articoli che ho pubblicato sulla
rivista on line “Cultura Commestibile” dell’editore Maschietto (http://www.culturacommestibile.com/: numeri 367, 368, 369, 370, 371, 372, 377, 378, 379, 380, 401). Queste
tappe sono state percorse attraverso vari contesti, quali l’archeologico,
l’idrogeologico, l’architettonico e artistico, il religioso, l’antropologico e
socio-economico. Riprendendo ora qui brevemente l’aspetto socio-economico,
vorrei fare la riflessione che segue: il grande albergo che dovrebbe snodarsi
al di sopra del complesso di S. Felicita fino al Vicolo della Cava sarà
verosimilmente, come accade, comprensivo di tutte quelle strutture e
attrezzature che rispondono alle esigenze del turista in questi ambienti di
lusso: cioè, stand commerciali interni dove gli ospiti troveranno ciò che si
prevede essi ricerchino. Di primo acchito questo universo, in realtà molto
chiuso nella sua autarchia, potrebbe sembrare per Firenze un’occasione di
plurime offerte di lavoro in quel contesto, ma se si riflette e si analizza più
a fondo vedremo che, per dare vita a nuovi centri commerciali interni,
verrebbero penalizzati quelli esterni che pulsano nella vita cittadina del
quartiere e respirano nel quotidiano da tanti anni, se non da secoli, portatori
- alcuni di essi - del carico di storia insostituibile degli stessi locali
da loro occupati. Inoltre, la verosimile chiusura dei clienti dentro
questa grande surface alberghiera riservata non favorirebbe
alcuna vera interazione con la città. La città, dal canto suo, non avrebbe da
guadagnarci nulla o quasi da questi visitatori d’élite se essi non
interagiranno attivamente anche col settore commerciale diffuso nel quartiere
le cui attività da decenni, se non da secoli, sono svolte nella medesima
bottega o in edifici carichi di una storia sempre più distante dal turismo
attuale compreso quello di élite. Faccio alcuni esempi. Di fronte alla chiesa
di S. Felicita in via Guicciardini, dove ancor oggi si vendono ricordini turistici,
c’era per i visiteurs du grand tour un negozio denominato Souvenirs,
a piano terra del palazzo Nerli dove, fra l’altro, abitò qualche tempo Fedor Dostoevskij.
In via Toscanella, al tempo dei Lorena, aveva aperto uno dei suoi laboratori il
legnaiolo di Corte Francesco Spighi; in questo stesso ambiente, oggi, i
restauratori Martelli ne ricordano la continuità. In piazza Pitti si vendono
ancor oggi dal 1856, i lavorati in pergamena e carta a mano. In piazza San
Felice, quella che fu la Spezieria granducale Lorenese è oggi Farmacia in
servizio e conserva nel retrobottega l’annessa sala anatomica settecentesca. In
via Romana, si continua nello stesso locale, la vendita della produzione
artigianale di oggetti in ferro battuto, lampadari in “stile fiorentino” e
arredi. E così seguitando si potrebbe raccontare di botteghe che hanno un
valore aggiunto per la contestualizzazione storica, le ultime, che non devono
morire. [*già docente a contratto presso
l'Università di Firenze e l'European University Institute]