Il
pensiero del giudice Gratteri (e di una marea di cittadini italiani, compresa la nostra) sulla proposta del processo penale. La
proposta di riforma del processo penale recentemente approvata dal Consiglio
dei Ministri, come ho già detto e nuovamente ribadisco, non avrà né l’effetto
di ridurre i tempi della giustizia, né riuscirà
a risolvere le criticità
collegate alla qualità dell’attività giurisdizionale. Gli
effetti saranno esattamente contrari a quelli che sulla carta si vogliono
raggiungere. Andiamo
per ordine. Uno dei punti qualificanti della Riforma Cartabia è
l’improcedibilità dell’azione penale, che prevede l’annullamento della sentenza
di condanna eventualmente pronunciata nei gradi precedenti (art. 14 bis del
progetto di riforma) trascorsi rispettivamente due anni o un
anno nell’ambito del giudizio di appello o di Cassazione. Si
tratta di una disposizione che avrà come effetto solo quello di spazzare via
un enorme numero di sentenze di condanna con tutto ciò che questo comporta
anche sul piano general preventivo e di sicurezza per i cittadini di questo
paese.Il motivo è molto semplice:
con questa riforma, a tutti, nessuno escluso, converrà
presentare appello e poi ricorso in cassazione non fosse altro per dare più
lavoro, ingolfare ulteriormente la macchina della
giustizia e giungere così alla improcedibilità. Pertanto,
diversamente da come affermato da chi sostiene questa riforma, non solo
centinaia di sentenze andranno al macero, ma ci sarà un aumento
smisurato di appelli e ricorsi in cassazione. A
questa visibile e certa conseguenza nessuno, e ribadisco nessuno, ha detto come
si potrà porre rimedio. Peraltro,
come ben detto dalla ANM di Catanzaro, questa
riforma avrà
l’effetto di vanificare le risorse umane ed economiche investite fino a quel
momento, oltreché a frustrare le legittime aspettative di giustizia dei
cittadini, con pesanti ricadute - in termini di credibilità del
sistema-giustizia e di diffusaimpunità-responsabilità
che non derivano certo dalla improduttività del personale giudiziario
amministrativo e delle forze dell’ordine nonostante le ormai note carenze di
organico; con evidente e concreto pregiudizio del diritto dei cittadini di
essere giudicati in modocorretto. Ma
non è tutto. Ci saranno una diminuzione del livello di sicurezza per la
nazione, visto che certamente ancora di più conviene delinquere, e un
annullamento della qualità del lavoro. Fissare una tagliola
con un termine così ristretto, senza neanche tenere conto della recente
modifica dell’art. 603 c.p.p. e della ricorrente necessità di rinnovazione
dell’istruzione in appello, vuol dire non assicurare che tutto venga
adeguatamente analizzato con la dovuta attenzione. Nessuna
spiegazione, peraltro, trova una previsione di tal specie che prescinda
totalmente sia dal momento in cui è stata emessa la sentenza di primo grado sia
dal momento di commissione del reato.
Marta Cartabia
Ma
molte altre sono le proposte che preoccupano di questo disegno di legge, quale
ad esempio la previsione di meccanismi procedurali che consentirebbero
all’indagato e alla p.o. di venire a conoscenza degli atti relativi alle
indagini preliminari - scaduto il termine entro il quale il Pubblico Ministero
debba determinarsi in ordine all’azione - che non tenendo conto della
complessità delle attività investigative avrebbe l’effetto di frustrare
l’ulteriore corso del procedimento. Ma
ciò che veramente desta maggiore preoccupazione è che non sono state prese in
considerazione ben altre possibilità che, invece, porterebbero ad una effettiva
velocizzazione dell’attività, anche a costo zero. Infatti, se da un lato non si
può più prescindere dalla necessità di risolvere il problema della carenza di
organico dei magistrati e del personale amministrativo, intervento che
certamente richiede un impegno economico, o quello, egualmente non più
rinviabile, di una rivisitazione della geografia giudiziaria così non è per
molte altre possibilità. Faccio
qualche esempio. Depenalizzare ipotesi di reato cd. bagatellari, per i
quali forse è più adeguata una sanzione amministrativa, piuttosto che quella
penale; un effettivo e reale potenziamento dei riti alternativi, che invece
sono del tutto disincentivati dalla previsione della cd. “improcedibilità” e,
soprattutto, una imponente modifica del sistema delle impugnazioni. È
possibile eliminare il divieto di reformatio in peius; è
possibile aumentare le ipotesi di inammissibilità degli appelli, laddove
manifestatamente pretestuosi; è possibile escludere
alcune ipotesi di appello; è possibile, ancora,
introdurre un appello a critica vincolata. A
queste proposte ne potrei aggiungere tante altre tutte tese ad una effettiva
velocizzazione del processo, ma lasciare inalterato il sistema delle
impugnazioni (in appello e poi in cassazione), per poi “fissare” un termine
tagliola, non produce velocizzazione dei processi, semplicemente “taglia” il
numero dei processi. Un’ultima
cosa, infine, mi pare necessario chiarire. Come è stato rilevato da acuti
commentatori alla base della riforma vi è evidentemente l’idea
secondo cui il tempo eccessivo attualmente impiegato per la celebrazione dei
giudizi di appello e di Cassazione sia correlato alla scarsa produttività dei
magistrati. Questo dato di partenza non solo è errato, visto che tutte le statistiche
elaborate da commissioni internazionali ed indipendenti sulla giustizia,
attestano che i magistrati italiani, anche quelli dei gradi superiori, sono i
più produttivi di Europa, ossia quelli che concludono più procedimenti e
scrivono più sentenze e proprio la reazione della “categoria” dimostra quanto
affermo. Per
i giudici di appello, e ancor di più per quelli in cassazione, sarebbe molto
più semplice chiudere i processi con una “improcedibilità”, piuttosto che
scrivere una sentenza di svariate pagine. I magistrati quindi, sia ben chiaro,
non hanno nessun tipo di privilegio da difendere nell’opporsi a questa riforma,
è il senso di “ingiustizia” che ci spinge
ad agire.