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giovedì 29 luglio 2021

GIUSTIZIA. LA CONTRORIFORMA
di Nicola Gratteri


Nicola Gratteri

Il pensiero del giudice Gratteri (e di una marea di cittadini italiani, compresa la nostra) sulla proposta del processo penale.
 
La proposta di riforma del processo penale recentemente approvata dal Consiglio dei Ministri, come ho già detto e nuovamente ribadisco, non avrà né l’effetto di ridurre i tempi della giustizia, né riuscirà a risolvere le criticità collegate alla qualità dell’attività giurisdizionale.
Gli effetti saranno esattamente contrari a quelli che sulla carta si vogliono raggiungere.
Andiamo per ordine. Uno dei punti qualificanti della Riforma Cartabia è l’improcedibilità dell’azione penale, che prevede l’annullamento della sentenza di condanna eventualmente pronunciata nei gradi precedenti (art. 14 bis del progetto di riforma) trascorsi rispettivamente due anni o un anno nell’ambito del giudizio di appello o di Cassazione. 
Si tratta di una disposizione che avrà come effetto solo quello di spazzare via un enorme numero di sentenze di condanna con tutto ciò che questo comporta anche sul piano general preventivo e di sicurezza per i cittadini di questo paese. Il motivo è molto semplice: con questa riforma, a tutti, nessuno escluso, converrà presentare appello e poi ricorso in cassazione non fosse altro per dare più lavoro, ingolfare ulteriormente la macchina della giustizia e giungere così alla improcedibilità.
Pertanto, diversamente da come affermato da chi sostiene questa riforma, non solo centinaia di sentenze andranno al macero, ma ci sarà un aumento smisurato di appelli e ricorsi in cassazione.
A questa visibile e certa conseguenza nessuno, e ribadisco nessuno, ha detto come si potrà porre rimedio. 
Peraltro, come ben detto dalla ANM di Catanzaro, questa riforma avrà l’effetto di vanificare le risorse umane ed economiche investite fino a quel momento, oltreché a frustrare le legittime aspettative di giustizia dei cittadini, con pesanti ricadute - in termini di credibilità del sistema-giustizia e di diffusa  impunità-responsabilità che non derivano certo dalla improduttività del personale giudiziario amministrativo e delle forze dell’ordine nonostante le ormai note carenze di organico; con evidente e concreto pregiudizio del diritto dei cittadini di essere giudicati in modo  corretto.
Ma non è tutto. Ci saranno una diminuzione del livello di sicurezza per la nazione, visto che certamente ancora di più conviene delinquere, e un annullamento della qualità del lavoro. Fissare una tagliola con un termine così ristretto, senza neanche tenere conto della recente modifica dell’art. 603 c.p.p. e della ricorrente necessità di rinnovazione dell’istruzione in appello, vuol dire non assicurare che tutto venga adeguatamente analizzato con la dovuta attenzione.
Nessuna spiegazione, peraltro, trova una previsione di tal specie che prescinda totalmente sia dal momento in cui è stata emessa la sentenza di primo grado sia dal momento di commissione del reato.


Marta Cartabia

Ma molte altre sono le proposte che preoccupano di questo disegno di legge, quale ad esempio la previsione di meccanismi procedurali che consentirebbero all’indagato e alla p.o. di venire a conoscenza degli atti relativi alle indagini preliminari - scaduto il termine entro il quale il Pubblico Ministero debba determinarsi in ordine all’azione - che non tenendo conto della complessità delle attività investigative avrebbe l’effetto di frustrare l’ulteriore corso del procedimento.
Ma ciò che veramente desta maggiore preoccupazione è che non sono state prese in considerazione ben altre possibilità che, invece, porterebbero ad una effettiva velocizzazione dell’attività, anche a costo zero. Infatti, se da un lato non si può più prescindere dalla necessità di risolvere il problema della carenza di organico dei magistrati e del personale amministrativo, intervento che certamente richiede un impegno economico, o quello, egualmente non più rinviabile, di una rivisitazione della geografia giudiziaria così non è per molte altre possibilità.
Faccio qualche esempio. Depenalizzare ipotesi di reato cd. bagatellari, per i quali forse è più adeguata una sanzione amministrativa, piuttosto che quella penale; un effettivo e reale potenziamento dei riti alternativi, che invece sono del tutto disincentivati dalla previsione della cd. “improcedibilità” e, soprattutto, una imponente modifica del sistema delle impugnazioni.
È possibile eliminare il divieto di reformatio in peius; è possibile aumentare le ipotesi di inammissibilità degli appelli, laddove manifestatamente pretestuosi; è possibile escludere alcune ipotesi di appello; è possibile, ancora, introdurre un appello a critica vincolata.
A queste proposte ne potrei aggiungere tante altre tutte tese ad una effettiva velocizzazione del processo, ma lasciare inalterato il sistema delle impugnazioni (in appello e poi in cassazione), per poi “fissare” un termine tagliola, non produce velocizzazione dei processi, semplicemente “taglia” il numero dei processi.
Un’ultima cosa, infine, mi pare necessario chiarire. Come è stato rilevato da acuti commentatori alla base della riforma vi è evidentemente l’idea secondo cui il tempo eccessivo attualmente impiegato per la celebrazione dei giudizi di appello e di Cassazione sia correlato alla scarsa produttività dei magistrati. Questo dato di partenza non solo è errato, visto che tutte le statistiche elaborate da commissioni internazionali ed indipendenti sulla giustizia, attestano che i magistrati italiani, anche quelli dei gradi superiori, sono i più produttivi di Europa, ossia quelli che concludono più procedimenti e scrivono più sentenze e proprio la reazione della “categoria” dimostra quanto affermo.
Per i giudici di appello, e ancor di più per quelli in cassazione, sarebbe molto più semplice chiudere i processi con una “improcedibilità”, piuttosto che scrivere una sentenza di svariate pagine. I magistrati quindi, sia ben chiaro, non hanno nessun tipo di privilegio da difendere nell’opporsi a questa riforma, è il senso di “ingiustizia” che ci spinge ad agire
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