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martedì 20 luglio 2021

IL GABBIANO MORTO
di Marco Vitale

 
Marettimo. Non avevo mai visto un gabbiano morto. Ne ho visti e ammirati nelle più diverse situazioni. Li ho visti sfrecciare con velocissimo volo trasversale o salire serenamente trasportati dalle correnti ascensionali, o planare, senza un battito d’ali, seguendo le correnti discendenti. Li ho visti azzuffarsi in acqua per strapparsi i pezzetti di pane che buttavamo dalla barca. Li ho visti all’alba, col sole bruciante, al tramonto. Una volta vidi un gabbiano notturno. Ero convinto che, di notte, i gabbiani, come la maggior parte degli uccelli diurni, si rifugiassero nella loro “cuccia”. E invece in una notte buia, senza luna, mentre ammiravo il cielo stellato dal terrazzino alto, vidi sopra di me come l’esplosione di un lampo bianco. Era un gabbiano che sfrecciava velocissimo nel buio, donandomi una grande sorpresa ed emozione. Li ho visti, con il binocolo, nel tempo della cova, sulle rocce di Cala Bianca, quando il solo avvicinamento in barca li mette in grande allarme. Ma poi li ho visti, da vicino, galleggiare sull’acqua, per guidare i piccoli, da poco nati, ai primi contatti con l’acqua e con il volo. Imparano prestissimo, diventano rapidamente autonomi, facendo presto squadra con i loro coetanei. Questi gruppi di giovanissimi che galleggiano sull’acqua sono deliziosi, perché sono meno diffidenti sicché, nuotando silenziosamente e lentamente, è possibile avvicinarli molto da vicino. Una volta riuscii a sfiorarne uno con la mano e fu un’altra grande emozione. Naturalmente ero ben consapevole che i gabbiani tanto sono meravigliosi in volo tanto sono goffi sul terreno. Per fortuna sulla nostra isola gabbiani che si muovono sul terreno quasi non si vedono. Ciò è dovuto principalmente al fatto che nessuno dà loro da mangiare sul terreno. Qualche volta capita di vedere qualche gabbiano che zampetta sul muretto sul mare o su qualche scoglio o sul bordo di qualche barca. Ma sono piccoli movimenti che si sciolgono rapidamente in un nuovo volo. Il gabbiano è stato concepito e costruito solo per volare. Per questo, in tanti decenni, avendo osservato migliaia di gabbiani, non mi era mai capitato di vederne uno morto. Certamente anche i gabbiani muoiono, ma, pensavo, solo per vecchiaia, quando decidono loro e muoiono in mare, il loro immenso cimitero. E, invece, questa settimana ho visto un gabbiano morto, anzi l’ho visto morire.
Tre giorni fa, tornando dalla barca, verso il tramonto, nella nostra stradina battuta sia dai venti del Nord che da quelli del Sud, trovai un piccolo assembramento di turisti che giocavano con un gabbiano che si era infilato zampettando nella nostra stradina. Capii subito che la presenza in un luogo così anomalo di un gabbiano che cercava, faticosamente, di zampettare era dovuta semplicemente al fatto che il gabbiano era molto malandato. Non aveva più le forze né per volare, né per procurarsi da solo il cibo. Perciò che gli dessero qualcosa da mangiare poteva essere solo tristemente utile. “Lo abbiamo adottato” mi disse un giovanottone del Nord con un sorriso ebete. Dal colore delle penne dedussi che il gabbiano malato era giovane. La sua straordinaria magrezza dimostrava che era sofferente da parecchio tempo. Si reggeva su una zampa sola. L’altra la trascinava a stento. Non sembrava ferito. Probabilmente era gravemente ammalato e non era bello trattarlo come un giocattolo, come accadde per due giorni. Stamattina, alzandomi all’alba, l’ho trovato rannicchiato sul gradino esterno di una casa nostra dirimpettaia. Sembrava morto ma era vivo, perché alzò la testa e mi guardò con uno sguardo dolcissimo. La proprietaria di quella casa è una donna brusca e sgradevole. Se lo avesse trovato in quella posizione, sul suo gradino di casa, lo avrebbe certamente cacciato con le brutte maniere, probabilmente aiutandosi con una scopa. Il piccolo gabbiano, quasi consapevole di ciò, si alzò e faticosamente scese dal gradino e dal marciapiede e, con grande lentezza e difficoltà, attraversò la stradina e incominciò a salire sul marciapiede opposto. Fece un enorme sforzo per salire, prima con una zampetta e poi con l’altra, sul marciapiede. Arrivato si distese sul marciapiede come per riposarsi. Socchiuse gli occhi ma la testolina restava eretta, e il vento di tramontana che si infilava nella nostra stradina era fresco ma gradevole. Forse il piccolo pensava ai compagni di volo e di giochi insieme ai quali, da poco, aveva imparato a galleggiare sull’acqua ed a volare. Rientrai in casa per pochi minuti. Quando ritornai lo vidi nella stessa posizione, ma con il capino ripiegato. Era morto. E così restò, morto e abbandonato, per una intera giornata. Solo un bambino, passando, disse: poverino.