L’AMORE PER MONTICHIARI
di Federico
Migliorati
Mario Pedini alla scrivania
Nel 18° anniversario della morte del
senatore, ministro e intellettuale bresciano Mario Pedini, un commosso ricordo di Migliorati.
(Montichiari, 27 dicembre 1918 -
Roma, 8 luglio 2003).
Ogni volta che rimetteva piede nel paese
natìo provava un'ebbrezza inusitata, che durava per alcune ore: era la gioia di
ritrovare luoghi, persone, visioni a lui care, abbandonati per un tempo più o
meno lungo e che, una volta lontani, si trovavano riuniti in poco spazio in
alcune foto sul comodino della città di R. dove viveva. Già da Lonato, quando
il fido V., autista e ancor prima amico fraterno, lo riportava a Montichiari,
ammirava estasiato la cupola del Duomo così maestosa e imponente, il turrito
profilo del castello che appariva sospeso in aria come una delle "città
invisibili" di un noto scrittore ed i colli digradanti dolcemente. La
Pieve no, quella non si metteva troppo in mostra: meglio così, meritava di essere
ammirata in una delle passeggiate che, già pregustava, avrebbe fatto nei giorni
a seguire, lentamente, con le mani dietro la schiena ed il passo cadenzato
degli anni ormai pesanti sulle spalle. Sì, la Pieve: quanto l'aveva amata e
quanto ancora l'amava quella chiesa romanica, la sua preferita, posta sul colle
più alto del paese, indomita bellezza d'antico stampo, erede di una storia
nella quale essa stessa si inserì per diventare a sua volta meraviglia
immortale. Avvicinandola, ricordava ora che l'auto su cui viaggiava correva
veloce sul rettifilo verso casa, sussultava spesso di felicità, come in preda
alla sindrome di Stendhal. E i campi appena arati, con i loro colori così
vividi? Non erano una carezza al cuore quelle chiazze brune e verdi, come pennellate
di un pittore, che si alternavano dal finestrino? Presagiva già nelle sere che
andavano allungandosi poco a poco, nella sua casa di via Cavallotti, la lettura
di libri appena acquistati ed una nuova riedizione dell'Elogio della follia:
un Erasmo rivisitato alla luce di nuove interpretazioni del suo pensiero. Tomi
di storia non mancavano di certo, come non potevano essere assenti i trattati
di scienza e gli ultimi saggi di politica internazionale. Di fronte alla ricca
libreria stava il pianoforte a coda, quello strumento che nacque dalla mente di
un tal Cristofori e dai cui tasti si sprigionarono opere che ci rendono
orgogliosi di definirci umani. Su quello strumento avrebbe presto riprovato la
vitalità delle dita per riscoprire l'Appassionata, vibrante emozione di un
genio che egli sentiva così vicino a lui. Era, quel languore che ormai lo aveva
pervaso a pochi chilometri ormai dall'arrivo, un accento dell'anima che
conosceva bene, una felice compagnia che ritrovava sempre toccando la terra in
cui nacque. Accento di paese, lo chiamò in uno dei suoi libri, scritti di getto
quasi come sotto dettatura, nati dall'impulso forte di tramandare alla sua
"gente" una parte di sé dopo la cristiana morte che attendeva lui
come tutti. "Nessun luogo, nessuna città possedeva quell'impasto di
laborioso vivere, di fiducia razionale nell'avvenire, di operosa solidarietà
tra le persone come Montichiari": si ricordava di questa sua frase, che
alcuni dei lontani studenti che aveva avuto ancora oggi gli recitavano a memoria
quando li ospitava per incontri fatti di ricordi e di sapienti discussioni. Ai
giovani, non poteva dimenticarlo, dedicò gran parte della sua azione politica e
del suo impegno civile: la società in cui era inserito poteva e doveva ricevere
una continua spinta verso il miglioramento solo se a garantirla erano i ragazzi
di oggi. Ne era profondamente convinto: lo vedeva dal sorriso dei suoi nipoti,
i cui ideali di costruire un futuro nobile d'animo non perdevano forza solo per
le brutture che incontravano sul loro cammino. Aprendo il portone di casa fu
colto dal profumo di ciclamini, un regalo di benvenuto, ne era certo, della
nipote Carla, servizievole segretaria e nume del focolare. Era finalmente a
Montichiari: una felicità antica lo abbracciò, mentre il tramonto, alle sue
spalle, gli regalava l'ultimo respiro del giorno morente, l'ultimo accento di
paese prima della silente notte.
Mario Pedini alla scrivania |