Il movimento altermondialista e le vicende di Genova G8. Le
necessarie riflessioni a venti anni dagli eventi. I Scrivevo nel precedente articolo, dedicato ai
vent’anni del Forum Sociale Mondiale e del movimento altermondialista, che si
possono avere due modalità. Una è la semplice rievocazione. Molto importante,
comunque, poiché la memoria storica è sempre minacciata nella frenesia
neoliberista e postmoderna del tempo brevissimo del presente e del dileguare di
ogni esperienza nell’effimero e nel frammento, negante ogni possibile
sedimentazione, antropologica, culturale e politica. A favore nondimeno di
un’altra sedimentazione. Consumistica, improntata alla forma-merce, al dato,
alla superficie, al non porsi domande di senso e di carattere generale del
proprio vivere, della propria condizione, dei propri veri, profondi desideri di
una vita migliore. L’altra
modalità è invece quello di cogliere l’occasione per riflettere e per ponderare
alla luce dei due decenni trascorsi. Per cercare di trarre le lezioni e per
proiettare nell’oggi e nel futuro ciò che necessariamente impariamo nel
cammino. Per progettare, per costruire alternative, per costruire società,
comunità, istituzioni e assetti nazionali e internazionali alternativi al corso
dominante. E
per decidere la propria agenda in questo cammino, in questo processo che
necessariamente abbisogna il tempo lungo, tipico delle costruzioni storiche non
effimere, non evanescenti. Nel nostro caso, per non cadere nella strategia dei
dominanti, i quali con la feroce repressione, come avvenuto nei giorni di
luglio 2001 a Genova, miravano e mirano a bloccare il processo e a cacciare
indietro, a porre necessariamente i movimenti e le persone nella difensiva.
Tragica difensiva, beninteso. Il modo migliore per i dominanti nel porre
all’ordine del giorno la “loro” agenda. Così come è la loro agenda un vertice
qualsiasi, come era allora il G8.
II Che
cosa avvenne e soprattutto perché la straordinaria esperienza del G8 di Genova.
La chiamata, il proposito di andare a Genova per contestare il vertice dei
potenti, non fu casuale. Fu un passaggio nel processo del risveglio dei tanti
soggetti che chiamammo a suo tempo movimenti antisistemici, novecenteschi e non
(il movimento operaio, socialista e comunista rimonta almeno al secolo XIX).
Negli anni Novanta a misura della sfida totalizzante del capitalismo nell’era
del neoliberismo e della cosiddetta “globalizzazione”, soggetti e correnti del
movimento del lavoro, operaio e contadino, di pezzi del movimento sindacale,
del movimento ambientalista, del movimento pacifista, del movimento femminista,
del movimento dei popoli indigeni, del movimento dei diritti civili, del
movimento del solidarismo, cattolico, protestante e laico ecc. cominciarono a
dialogare, a porsi in una relazione efficace, se non di collaborazione. Tutto
ciò sfocerà nella protesta al vertice del Wto a Seattle di fine 1999 e poi
nella costruzione delle alternative al sistema con il Forum Sociale Mondiale, a
cominciare dal Fsm di Porto Alegre di gennaio 2001. Genova
non avrebbe avuta quella straordinaria mobilitazione e quella straordinaria
partecipazione di movimenti, associazioni, partiti, semplici persone e
famiglie, dai gruppi di religiosi e di religiose ai gruppi radicalizzati dei
centri sociali, se prima non si fosse svolto il Fsm di Porto Alegre. Sulla
spinta di quel straordinario, impressionante evento, nei mesi dal gennaio 2001
fino al luglio 2001, si tennero numerose assemblee di analisi del Fsm, da una
parte, e di preparazione quindi a Genova G8, dall’altra. Assemblee partecipate,
di grande dibattito, non celebrative e di contenuti notevoli. Senonché
a tante assemblee vi partecipavano anche alcuni funzionari della Digos. A uno
di loro che si fermò a parlarmi, dopo una di queste assemblee, chiesi perché si
voleva “appiattire” una mobilitazione di popolo pacifica e così profonda di
contenuti, riconosciuti come notevoli questi contenuti dal funzionario stesso,
e farne solo una “questione di ordine pubblico”. “Ordini dall’alto, per evitare
disordini”. Fu la risposta. Poi capimmo molto bene cosa ciò significava. Il
Genoa Social Forum e i vari organismi che si mobilitarono per l’evento
organizzarono conferenze e dibattiti sui contenuti prima delle giornate
fatidiche dal 19 al 22 luglio. Poi tutto precipitato nello stato d’eccezione
che si creò volutamente. Con l’azione repressiva dei cortei di inaudita
violenza a opera dei vari apparati repressivi dello Stato. Con la modalità
tipica in quella occasione. L’uso strumentale delle esibizioni dei cosiddetti
Black Bloc, e anche di gruppi mai visti nelle mobilitazioni, inspiegabilmente
non intercettati nei giorni precedenti dalla stretta sorveglianza nell’arrivo a
Genova. Queste attività di detti soggetti, in prossimità o entro i cortei, come
giustificazione per attacchi e violenze efferate compiuti contro gente inerme,
compresi anziani e donne di evidente ispirazione pacifista. Nella
mente della catena di comando, dal livello politico italiano (Fini presente in
una caserma a Genova) al livello dei singoli comandi delle forze repressive,
l’occasione per dare una lezione definitiva a un movimento, a ragione ritenuto
pericoloso per il sistema. Pericoloso perché forte di ragioni storiche, di
idee, di cultura, di etica, di partecipazione, di passioni durevoli e non
effimere. Il culmine di questa esibizione della faccia feroce ed eversiva dello
Stato furono i criminali pestaggi nella caserma di Bolzaneto e nella macelleria
messicana operata alla scuola Diaz. Con l’uccisione di Carlo Giuliani in piazza
Alimonda come tragico suggello. Suggello di questo incredibile, quasi surreale,
spettacolo di efferatezze. Anche agli occhi di incalliti oppositori al sistema
come eravamo molti di noi partecipanti, forgiati dalla militanza dal ‘68 e anni
Settanta in avanti.
III Il
problema per i dominanti mondiali, a mo’ di mandanti, nei loro incontri di G8,
e per i loro esecutori nelle strade di Genova, è stato che quell’evento alla
fine è risultato uno degli eventi più fotografati, più filmati, più
testimoniati della storia. Da migliaia di giornalisti e di attivisti della
comunicazione, da migliaia di partecipanti, improvvisati fotografi e
cineoperatori. Migliaia di foto, di video, di registrazioni, di cronache e di
articoli di giornalisti onesti e non asserviti. Vero problema. E saltati tutti
i tentativi di creare false prove, false testimonianze ecc. per giustificare i
comportamenti e per scagionare esponenti delle forze dell’ordine palesemente
colti in flagranza di reato. La
verità giornalistica e storica e la verità giudiziaria, grazie anche al lavoro
di squadre di avvocati e di esperti di vari campi, vicini al movimento
altermondialista, e grazie a esponenti della magistratura, obbedienti alla
legge e alla Costituzione e non al potere, alla fine sono state sanzionate, sancite. Fermo
restando che molti capi e funzionari di detti apparati, giudicati colpevoli
nelle varie sentenze di vario grado, la “eterna continuità dello Stato”, ma
anche “l’eterno fascismo italiano”, l’eterna impunibilità di dirigenti del
molto avariato Stato italiano, di cui dirò dopo, addirittura sono stati
promossi e hanno continuato il normale, tipico cursus honorum della vera
casta di intoccabili. IV Genova
G8 costituì un vero e proprio shock. Nelle manifestazioni, nelle attività di
movimento, successive a luglio 2001, nei gruppi tematici di lavoro e di studio
ecc. si ritrovarono, e ritrovammo, molti attivisti e militanti, molte semplici
persone, che non vedevamo da molto tempo. I tanti e le tante delusi dalle
dinamiche autoreferenziali e settarie anche dei vari pezzi della sinistra,
storica e nuova, i quali non conducevano più alcuna militanza o attività pur
rimanendo con testa e cuore a sinistra, nel solidarismo, nei valori di
riferimento della loro fase precedente. Un rinnovato protagonismo si palesò.
Una febbrile attività fu lo scenario. Poi,
come è avvenuto nella storia dei Forum Sociali Mondiali e nel movimento
altermondialista, un lento venir meno di questa passione e di questo fervore,
di questo protagonismo e di questo attivismo.
Alcune considerazioni finali. 1.La ragione (cultura, idee, studi ecc.) e la
passione (scelta etica, qualità morali, volontarismo, attivismo ecc.) sono
necessarie, ma non sufficienti. Per dare continuità a questa grande cosa che
pensammo, vale a dire “un altro mondo è possibile”, occorreva e occorre sempre
“forza” e “organizzazione”. Nozioni completamente diverse dalla forza e
dall’organizzazione dei dominanti, da chi esercita e vive di potere. Nozioni
aliene anche dalla gerarchia e dalla burocrazia di organismi abituati a operare
con gerarchia e burocrazia. Un lavoro
paziente di lunga durata per tenere assieme culture, sensibilità, matrici
culturali, di diversa ispirazione e di diversa indole, ma tutte miranti a dare
un volto umano a questo mondo e a questo pianeta, ormai in pericolo nella sua
stessa costituzione di civiltà, a causa delle enormi, incredibili, intollerabili
diseguaglianze, e nella sua stessa costituzione materiale. È possibile
riprendere il cammino interrotto dei Fsm e del movimento altermondialista. E
quindi delle passioni e delle ragioni di Genova G8. Indicavo alcuni passaggi
nel precedente articolo dedicato ai venti anni del Fsm. 2.Infine, senza riforma dello Stato italiano, senza
riforma degli apparati dello Stato, senza riforma della Pubblica
Amministrazione ecc., senza la ferrea selezione costituzionale e culturale dei
dirigenti, ricadiamo nella condizione dell’eccezione e nell’anomalia italiane. Non
solo Genova, non solo Santa Maria Capua Vetere, non solo Stefano Cucchi, non
solo caserma dei carabinieri di Piacenza ecc., ma ogni episodio eversivo, di
quelli noti e di quelli ignoti, per i quali non abbiamo filmati, testimonianze
ecc. perché semplicemente occultati, nel passato, nel presente e nel futuro,
perché quello di cui discutiamo è solo la punta dell’iceberg. Chissà quale
montagna di altri episodi simili. Dicevo
“cultura” e “Costituzione”. Ma anche il livello antropologico di chi
semplicemente porta la divisa, si sente sotto la copertura e la protezione e
l’omertà anche di essere rappresentante dello Stato, della Pubblica
Amministrazione. Un
tempo dicevamo “Forti con i deboli e deboli con i forti”. Le frustrazioni di
persone non formate, non educate e che pertanto considerano sudditi i cittadini
e le cittadine. Così, come d’altra parte inculcano loro il livello politico e
il livello dirigenziale di detti apparati. Così è. E a farne le spese
soprattutto i più deboli, i migranti, gli stranieri, i “senza documenti”.
Attendiamo di sapere, per esempio, che ne è del detenuto algerino Lamine Hakimi
di cui testimonia uno dei reclusi bastonati nel carcere in questione.