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mercoledì 14 luglio 2021

Ricorrenze
GENOVA VENT’ANNI DOPO
di Giorgio Riolo

 
Il movimento altermondialista e le vicende di Genova G8. Le necessarie riflessioni a venti anni dagli eventi.
 
I
Scrivevo nel precedente articolo, dedicato ai vent’anni del Forum Sociale Mondiale e del movimento altermondialista, che si possono avere due modalità. Una è la semplice rievocazione. Molto importante, comunque, poiché la memoria storica è sempre minacciata nella frenesia neoliberista e postmoderna del tempo brevissimo del presente e del dileguare di ogni esperienza nell’effimero e nel frammento, negante ogni possibile sedimentazione, antropologica, culturale e politica. A favore nondimeno di un’altra sedimentazione. Consumistica, improntata alla forma-merce, al dato, alla superficie, al non porsi domande di senso e di carattere generale del proprio vivere, della propria condizione, dei propri veri, profondi desideri di una vita migliore.
L’altra modalità è invece quello di cogliere l’occasione per riflettere e per ponderare alla luce dei due decenni trascorsi. Per cercare di trarre le lezioni e per proiettare nell’oggi e nel futuro ciò che necessariamente impariamo nel cammino. Per progettare, per costruire alternative, per costruire società, comunità, istituzioni e assetti nazionali e internazionali alternativi al corso dominante.
E per decidere la propria agenda in questo cammino, in questo processo che necessariamente abbisogna il tempo lungo, tipico delle costruzioni storiche non effimere, non evanescenti. Nel nostro caso, per non cadere nella strategia dei dominanti, i quali con la feroce repressione, come avvenuto nei giorni di luglio 2001 a Genova, miravano e mirano a bloccare il processo e a cacciare indietro, a porre necessariamente i movimenti e le persone nella difensiva. Tragica difensiva, beninteso. Il modo migliore per i dominanti nel porre all’ordine del giorno la “loro” agenda. Così come è la loro agenda un vertice qualsiasi, come era allora il G8.

 
II
Che cosa avvenne e soprattutto perché la straordinaria esperienza del G8 di Genova. La chiamata, il proposito di andare a Genova per contestare il vertice dei potenti, non fu casuale. Fu un passaggio nel processo del risveglio dei tanti soggetti che chiamammo a suo tempo movimenti antisistemici, novecenteschi e non (il movimento operaio, socialista e comunista rimonta almeno al secolo XIX). Negli anni Novanta a misura della sfida totalizzante del capitalismo nell’era del neoliberismo e della cosiddetta “globalizzazione”, soggetti e correnti del movimento del lavoro, operaio e contadino, di pezzi del movimento sindacale, del movimento ambientalista, del movimento pacifista, del movimento femminista, del movimento dei popoli indigeni, del movimento dei diritti civili, del movimento del solidarismo, cattolico, protestante e laico ecc. cominciarono a dialogare, a porsi in una relazione efficace, se non di collaborazione. Tutto ciò sfocerà nella protesta al vertice del Wto a Seattle di fine 1999 e poi nella costruzione delle alternative al sistema con il Forum Sociale Mondiale, a cominciare dal Fsm di Porto Alegre di gennaio 2001.
Genova non avrebbe avuta quella straordinaria mobilitazione e quella straordinaria partecipazione di movimenti, associazioni, partiti, semplici persone e famiglie, dai gruppi di religiosi e di religiose ai gruppi radicalizzati dei centri sociali, se prima non si fosse svolto il Fsm di Porto Alegre. Sulla spinta di quel straordinario, impressionante evento, nei mesi dal gennaio 2001 fino al luglio 2001, si tennero numerose assemblee di analisi del Fsm, da una parte, e di preparazione quindi a Genova G8, dall’altra. Assemblee partecipate, di grande dibattito, non celebrative e di contenuti notevoli.
Senonché a tante assemblee vi partecipavano anche alcuni funzionari della Digos. A uno di loro che si fermò a parlarmi, dopo una di queste assemblee, chiesi perché si voleva “appiattire” una mobilitazione di popolo pacifica e così profonda di contenuti, riconosciuti come notevoli questi contenuti dal funzionario stesso, e farne solo una “questione di ordine pubblico”. “Ordini dall’alto, per evitare disordini”. Fu la risposta. Poi capimmo molto bene cosa ciò significava.
Il Genoa Social Forum e i vari organismi che si mobilitarono per l’evento organizzarono conferenze e dibattiti sui contenuti prima delle giornate fatidiche dal 19 al 22 luglio. Poi tutto precipitato nello stato d’eccezione che si creò volutamente. Con l’azione repressiva dei cortei di inaudita violenza a opera dei vari apparati repressivi dello Stato. Con la modalità tipica in quella occasione. L’uso strumentale delle esibizioni dei cosiddetti Black Bloc, e anche di gruppi mai visti nelle mobilitazioni, inspiegabilmente non intercettati nei giorni precedenti dalla stretta sorveglianza nell’arrivo a Genova. Queste attività di detti soggetti, in prossimità o entro i cortei, come giustificazione per attacchi e violenze efferate compiuti contro gente inerme, compresi anziani e donne di evidente ispirazione pacifista.
Nella mente della catena di comando, dal livello politico italiano (Fini presente in una caserma a Genova) al livello dei singoli comandi delle forze repressive, l’occasione per dare una lezione definitiva a un movimento, a ragione ritenuto pericoloso per il sistema. Pericoloso perché forte di ragioni storiche, di idee, di cultura, di etica, di partecipazione, di passioni durevoli e non effimere. Il culmine di questa esibizione della faccia feroce ed eversiva dello Stato furono i criminali pestaggi nella caserma di Bolzaneto e nella macelleria messicana operata alla scuola Diaz. Con l’uccisione di Carlo Giuliani in piazza Alimonda come tragico suggello. Suggello di questo incredibile, quasi surreale, spettacolo di efferatezze. Anche agli occhi di incalliti oppositori al sistema come eravamo molti di noi partecipanti, forgiati dalla militanza dal ‘68 e anni Settanta in avanti.

 

III
Il problema per i dominanti mondiali, a mo’ di mandanti, nei loro incontri di G8, e per i loro esecutori nelle strade di Genova, è stato che quell’evento alla fine è risultato uno degli eventi più fotografati, più filmati, più testimoniati della storia. Da migliaia di giornalisti e di attivisti della comunicazione, da migliaia di partecipanti, improvvisati fotografi e cineoperatori. Migliaia di foto, di video, di registrazioni, di cronache e di articoli di giornalisti onesti e non asserviti. Vero problema. E saltati tutti i tentativi di creare false prove, false testimonianze ecc. per giustificare i comportamenti e per scagionare esponenti delle forze dell’ordine palesemente colti in flagranza di reato.
La verità giornalistica e storica e la verità giudiziaria, grazie anche al lavoro di squadre di avvocati e di esperti di vari campi, vicini al movimento altermondialista, e grazie a esponenti della magistratura, obbedienti alla legge e alla Costituzione e non al potere, alla fine sono state sanzionate, sancite.
Fermo restando che molti capi e funzionari di detti apparati, giudicati colpevoli nelle varie sentenze di vario grado, la “eterna continuità dello Stato”, ma anche “l’eterno fascismo italiano”, l’eterna impunibilità di dirigenti del molto avariato Stato italiano, di cui dirò dopo, addirittura sono stati promossi e hanno continuato il normale, tipico cursus honorum della vera casta di intoccabili.
 
IV
Genova G8 costituì un vero e proprio shock. Nelle manifestazioni, nelle attività di movimento, successive a luglio 2001, nei gruppi tematici di lavoro e di studio ecc. si ritrovarono, e ritrovammo, molti attivisti e militanti, molte semplici persone, che non vedevamo da molto tempo. I tanti e le tante delusi dalle dinamiche autoreferenziali e settarie anche dei vari pezzi della sinistra, storica e nuova, i quali non conducevano più alcuna militanza o attività pur rimanendo con testa e cuore a sinistra, nel solidarismo, nei valori di riferimento della loro fase precedente. Un rinnovato protagonismo si palesò. Una febbrile attività fu lo scenario.
Poi, come è avvenuto nella storia dei Forum Sociali Mondiali e nel movimento altermondialista, un lento venir meno di questa passione e di questo fervore, di questo protagonismo e di questo attivismo.
 


Alcune considerazioni finali.
 
1. La ragione (cultura, idee, studi ecc.) e la passione (scelta etica, qualità morali, volontarismo, attivismo ecc.) sono necessarie, ma non sufficienti. Per dare continuità a questa grande cosa che pensammo, vale a dire “un altro mondo è possibile”, occorreva e occorre sempre “forza” e “organizzazione”. Nozioni completamente diverse dalla forza e dall’organizzazione dei dominanti, da chi esercita e vive di potere. Nozioni aliene anche dalla gerarchia e dalla burocrazia di organismi abituati a operare con gerarchia e burocrazia.  Un lavoro paziente di lunga durata per tenere assieme culture, sensibilità, matrici culturali, di diversa ispirazione e di diversa indole, ma tutte miranti a dare un volto umano a questo mondo e a questo pianeta, ormai in pericolo nella sua stessa costituzione di civiltà, a causa delle enormi, incredibili, intollerabili diseguaglianze, e nella sua stessa costituzione materiale. È possibile riprendere il cammino interrotto dei Fsm e del movimento altermondialista. E quindi delle passioni e delle ragioni di Genova G8. Indicavo alcuni passaggi nel precedente articolo dedicato ai venti anni del Fsm.
 
2. Infine, senza riforma dello Stato italiano, senza riforma degli apparati dello Stato, senza riforma della Pubblica Amministrazione ecc., senza la ferrea selezione costituzionale e culturale dei dirigenti, ricadiamo nella condizione dell’eccezione e nell’anomalia italiane.
Non solo Genova, non solo Santa Maria Capua Vetere, non solo Stefano Cucchi, non solo caserma dei carabinieri di Piacenza ecc., ma ogni episodio eversivo, di quelli noti e di quelli ignoti, per i quali non abbiamo filmati, testimonianze ecc. perché semplicemente occultati, nel passato, nel presente e nel futuro, perché quello di cui discutiamo è solo la punta dell’iceberg. Chissà quale montagna di altri episodi simili.
Dicevo “cultura” e “Costituzione”. Ma anche il livello antropologico di chi semplicemente porta la divisa, si sente sotto la copertura e la protezione e l’omertà anche di essere rappresentante dello Stato, della Pubblica Amministrazione.
Un tempo dicevamo “Forti con i deboli e deboli con i forti”. Le frustrazioni di persone non formate, non educate e che pertanto considerano sudditi i cittadini e le cittadine. Così, come d’altra parte inculcano loro il livello politico e il livello dirigenziale di detti apparati. Così è. E a farne le spese soprattutto i più deboli, i migranti, gli stranieri, i “senza documenti”. Attendiamo di sapere, per esempio, che ne è del detenuto algerino Lamine Hakimi di cui testimonia uno dei reclusi bastonati nel carcere in questione.