L’avviso comune non garantisce di per sé il loro blocco. Non credo ai miracoli. Eppure
sembrerebbe che Draghi ne abbia compiuto uno, a giudicare dalla pletora di lodi
che gli cascano sul capo, provenienti da parti che dovrebbero essere opposte,
almeno sul tema dei licenziamenti, che per gli uni, i padroni, sono
l’implementazione più potente del loro potere di comando, per gli altri, i
lavoratori, una questione di sopravvivenza. Specialmente dentro una crisi che
li ha decimati e impoveriti. In realtà ci si dovrebbe porsi seriamente la
domanda su chi è uscito vincente da quelle sette righe e mezzo che
costituiscono l’avviso comune firmato da governo e sindacati, con l’intervento
determinante della Confindustria. Il più enfatico nel celebrare “l’abilità e la
fermezza dimostrata dal presidente Draghi” è senz’altro Carlo Bonomi. Ma il
capo di Confindustria non si ferma lì. Va ben oltre. Ascrive alla sua
organizzazione il merito di tornare a quello che quest’ultima aveva chiesto a
settembre, “un grande Patto per l’Italia”, tale da potersi configurare come
“una visione sul futuro” e nell’immediato condizionare il contenuto del testo
governativo più volte annunciato sulla riforma degli ammortizzatori sociali.
Anche i dirigenti sindacali cantano vittoria. Un poco più sobriamente la Cgil
che comunque ascrive il merito del “passo in avanti” alla mobilitazione dei
lavoratori indetta precedentemente e all’unità tra le confederazioni sindacali.
Tema su cui si allinea anche la Uil. Mentre la Cisl vede la ridiscesa in campo
della concertazione. Argomento su cui insiste anche Enrico Letta. Quindi tutti
vincitori? Non è così e purtroppo la bilancia non pende dalla parte delle
organizzazioni dei lavoratori. Come si ricorderà la vicenda era entrata nel
vivo quando il ministro Orlando aveva minacciato addirittura le dimissioni,
peraltro senza essere sostenuto dal suo stesso partito e perciò subito
rientrate. Dal Consiglio dei Ministri era uscita una soluzione che presentava
per il padronato un’alternativa dove esso era vincente in entrambi i casi. O
utilizzare la cassa integrazione ordinaria in modo gratuito, oppure licenziare
senza l’intervento della Cig. La cosa non poteva essere digerita dai sindacati.
Da qui il ricorso a manifestazioni in tre capoluoghi e la richiesta pressante
di un incontro a Palazzo Chigi. Quell’incontro durato sette ore si è concluso
però con un testo, la cui natura giuridica è alquanto incerta, entro il quale
la parola introdotta per volere confindustriale ne spostava il senso verso la
direzione decantata da Bonomi.Non
bisogna essere dei principi del foro per capire che un conto è un impegno a
utilizzare strumenti alternativi ai licenziamenti, peraltro da definirsi in
buona parte in un futuro decreto-legge, un altro è l’impegno a “raccomandare”
un simile utilizzo. La soluzione, già non fortissima nel primo caso, perde di
ogni forza cogente nella versione finale. Alla fine delle votazioni,
solitamente di conversione di decreti-legge, i governi assumono come
“raccomandazione” gli ordini del giorno presentati, liberandosi così di noiose
votazioni e di qualunque impegno a rispettarli. Nel migliore dei casi si può
avvicinare il significato della “raccomandazione” a quello della moral suasion, i cui esiti, anche quando
è stata agita da Presidenti della Repubblica, sono sempre stati meno che
insoddisfacenti. In ogni caso in quelle sette righe non si prevede alcuna forma
di sanzione, persino difficile da immaginare, nel caso che la raccomandazione
non venga accolta. Una cosa è certa: con quel testo i licenziamenti non sono
scongiurati e ci vorrà un conflitto ben maggiore e più esteso di quello finora
messo in atto se si vorrà evitare il disastro sociale. Tanto più che
l’offensiva di Confindustria non si ferma qui. Purtroppo le parole di Bonomi
non sono pronunciate a caso. Il nesso che stabiliscono tra quell’avviso comune
e la riforma degli ammortizzatori sociali è che in questa ultima, secondo
Confindustria, non vi dovrà essere alcun obbligo reale e sanzionabile di usare
gli ammortizzatori sociali come alternativi ai licenziamenti in nome di
quell’avviso comune - promosso così quasi al livellodi nuova fonte legislativa - “dove si parla
di principi condivisi” per realizzare quella riforma. Anzi, stando a quanto
riferiva ieri il fedele Sole24 Ore,Bonomi vuole rovesciare il rapporto fra uso
degli ammortizzatori e cessazione del rapporto di lavoro, dal momento che
considera “l’avviso comune … [come prova] che non c’era la necessità di un
blocco [dei licenziamenti] dal momento che si hanno a disposizione tutti gli
strumenti, soprattutto la possibilità di 52 ore di cassa integrazione”. Un
mondo rovesciato, dove la Cig non è più al servizio del superamento di
momentanee difficoltà di mercato o di processi di ristrutturazione e di tutela
della continuità del rapporto di lavoro, ma il suo contrario, ovvero il
mantenimento della possibilità di licenziare. La Confindustria non intende
limitarsi, come ha fatto, alla telefonata al tavolo governo-sindacati per suggerire
la formulazione finale dell’avviso comune, ma vuole fare irruzione, almeno
metaforicamente, nella sala del Consiglio dei ministri dettando le linee del
provvedimento governativo. E così intende lo stesso Pnrr, ove la “partnership
pubblico-privato” diventa il riempimento del primo con gli interessi e i
progetti del secondo. Il che significa piegare l’intervento dello stato sugli
interessi delle classi dominanti. Per impedirlo bisogna che si apra un
conflitto generale, non bastano certamente i tavoli con il governo.