Erano in tanti sabato scorso a
Campi Bisenzio. Davvero molti ed era tempo che non si vedeva una manifestazione
così. Davanti c’era un’unica parola secca e determinata, in campo rosso: insorgiamo.
Senza la retorica dei punti esclamativi. Infatti non è un auspicio, è una comunicazione
di un dato di fatto. Come a dire: sta a voi decidere ora cosa fare. Gli operai
della Gkn, licenziati via mail – la modernizzazione del vecchio ad nutum – in 422 della fabbrica madre e
in 80 delle ditte in appalto, dettaglio non secondario, hanno deciso di
insorgere contro la decisione della proprietà, il fondo britannico Melrose, che
rincorre i fasti della globalizzazione in crisi: chiudere qui per aprire
altrove. Non si sa dove. Si conosce invece l’intenzione di fare gravare
interamente sul costo del lavoro, azzerando gli occupati e cancellando uno
stabilimento, le conseguenze della contrazione mondiale in atto nel settore
automobilistico. La chiusura a Campi Bisenzio viene presentata come
“indifferibile” e l’utilizzo degli ammortizzatori sociali impossibile. Chi
voleva le prove che l’avviso comune tra Governo e Sindacati, con l’intervento
determinante di Confindustria, non avrebbe tappato il vaso di pandora dei
licenziamenti, ne ha avute fin troppe. Il paragone con il caso Bekaert,
l’azienda belga che produceva rivestimenti in acciaio per pneumatici e che tre
anni fa ha trasferito la produzione da Figline Valdarno nell’Europa dell’Est, è
d’obbligo. E si teme che così possa finire anche per la Vitesco, azienda
tedesca di iniettori per motori termici, 950 lavoratori in quel di Pisa, 750
dei quali già considerati come esuberi. Intanto la riforma degli ammortizzatori
sociali attesa per il 31 luglio, cui pareva appeso l’avviso comune e che è
prevista dallo stesso Pnrr, seppure non vincolata a termini perentori, sembra
scivolare all’autunno, quando si discuterà la legge di bilancio, visto che allo
stato attuale mancano le risorse nonché le modalità per utilizzare gli
ammortizzatori nelle imprese con meno di cinque addetti, uno dei tratti più
innovativi dell’intervento legislativo. La chiusura di un’azienda che produce
componentistica per l’80 per la Fca e il resto per prestigiose marche tedesche,
nonché per Ferrari e Maserati, mette a nudo l’assenza di una qualunque politica
industriale nel Pnrr, che ci rende indifesi di fronte alle scelte delle
multinazionali. Ma ieri è successo qualcosa di nuovo. Migliaia di persone di
sono mosse dallo stabilimento di Campi Bisenzio per toccare le altre realtà
produttive. Ha ragione la segretaria generale della Fiom: “non è uno sciopero,
ma una manifestazione che dà il senso che questa sta diventando una vertenza
simbolo”. L’hanno compreso in molti. Altrimenti non avremmo assistito al
dispiegarsi in modo tangibile di una viva e orgogliosa solidarietà. Al grande
corteo erano presenti lavoratori della Whirlpool di Napoli, di aziende di
Milano e di Bologna, esponenti di primo piano delle istituzioni comunali e
regionali. Dopo diverso tempo si è riacceso attorno ad una lotta operaia il
senso della partecipazione di tanti giovani e di intellettuali. Valga per tutti
l’opera grafica che Zerocalcare ha voluto dedicare a questo conflitto. Si
percepisce che quando sei di fronte a un muro, fatto dalla decisione
autodefinentesi irremovibile della multinazionale, alla non volontà del governo
di continuare il blocco dei licenziamenti, all’assenza della politica dal
conflitto sociale, solo l’allargamento a livello sociale e popolare del sostegno
e della solidarietà, può permettere di incrinare se non abbattere del tutto
quel muro. Il successo della manifestazione di ieri non è un caso isolato.
Questa volta la miccia è stata accesa forse dai meno attesi, i lavoratori della
logistica, invisibili quanto determinanti nel processo di circolazione delle
merci. Con le loro lotte necessariamente aspre, che sono costate dolore, sangue
e morte hanno riaperto il conflitto sociale nei luoghi più strategici del
moderno sistema capitalistico. Ora abbiamo non solo la difesa primaria del
posto di lavoro dai licenziamenti avvenuti e minacciati, ma la volontà di
ritessere una tela strappata. Un fatto nuovo, che ha il profumo dell’antico,
quando quelli che erano considerati gli ultimi sapevano legare attorno a sé le
forze più vive della società. E creare un popolo. Che è sempre l’esito di un
processo sociale e politico.