Paralizzato
come sono da quanto sta accadendo in mezzo mondo e nella mia stessa terra di
nascita, non sono in grado di affrontare alcun ragionamento su questa sadica
perversa voglia di distruzione e di autodistruzione, su questa pulsione di
morte, come vado facendo ormai da decenni e decenni, ad ogni campagna
incendiaria ben orchestrata, nell’indifferenza di Stato, Governi e pubblica
opinione. Anni fa scrissi questo raccontino compreso nel libro di fiabe:L’Orologio di
mastro Hanus. Alcune librerie di Milano rifiutarono il libro perché, a loro
dire, conteneva storie troppo crudeli per dei ragazzi. I bimbi e gli
adolescenti la crudeltà ce l’hanno sotto gli occhi ogni giorno, apparecchiata dagli
adulti, da bipedi di ogni classe, di ogni ceto, di ogni sesso. Penso che oramai
si debba prendere atto che la presenza dell’uomo sulla terra si sia rivelata non
solo inutile, ma fortemente nociva. Non possiamo che augurarcene la scomparsa
prima possibile. A quel
tempo io non capivo, non potevo proprio capire perché ero poco più che un
ragazzo. La guardavo mia nonna, ma non avevo coscienza né dei suoi gesti, né
delle sue parole. Di queste sentivo il suono che mi è rimasto negli orecchi, ma
i suoi gesti io non li capivo, mi parevano un rito, come quello che si vede in
chiesa quando il prete sale sull’altare. Si
segnava la fronte con la croce, si batteva il petto con gli occhi rivolti verso
l’alto e li malediceva, li malediceva fino alla settima generazione. Poi
segnava qualcosaper terra col carbone e ripeteva come si fa col rosario:
“Ripugnante canaglia… esseri spregevoli… che sulla vostra casa si abbatta la
rovina… che il vostro sangue si estingua… che non ne resti memoria”; e a me
pareva davvero un rosario. Ripeto,
tutto questo a quel tempo io non potevo proprio capirlo. L’ho capito molto
dopo, quando anch’io vidi andare in fumo i nostri boschi, ardere le nostre vallate
ricche di ulivi, incendiare come in un inferno castagni, pinete, alberi
secolari, animali di ogni sorta e vite umane perdere la vita… Oh,
non riesco a dimenticare neppure ora che sono quasi vecchio, le due giovani
vite* che si erano prodigate per spegnerlo uno di quegli incendi. La loro fine
orrenda l’ho avuta negli occhi per anni, e per anni ha bussato nei miei sogni,
e ogni estate mi ritorna, ogni estate quando la ripugnante canaglia, gli esseri
spregevoli, tornano puntuali ad incendiare.
Io
li conoscevo bene quei ragazzi; io ho giocato con loro, ho diviso qualcosa con
loro come si fa tra ragazzi, io parlavo come loro. Uno abitava nel mio stesso
quartiere e le nostre case quasi si toccavano: le nostre famiglie si
rispettavano, e nello slargo dove si affacciava il loro palazzo, le nostre
mamme ricamavano, discutevano allegre, prendevano il sole. In quello slargo noi
ragazzi giocavamo a palla, a campana, al cerchio, alla corda, a fare il
terremoto infilando rotoli di carta nei pluviali che scendevano fino a terra, e
agli altri mille giochi che la nostra mente concepiva. Ora
è un altro tempo: mia nonna non c’è più da tempo e quel ragazzo che non capiva
i gesti di lei, che ha conservato negli orecchi il suono delle sue misteriose
parole, quel ragazzo ora è diventato un uomo e anche il suo tempo corre, corre
veloce, e presto non avrà più tempo. Ma
ora lui sa, sa tutto il senso di quelle parole ascoltate e di quei gesti visti
da ragazzo. E finalmente comprende il senso di quel flebile salmodiare della
nonna; di quei frammenti soffiati appena fuori dalle labbra come se li dicesse
a qualcuno che non c’era, a qualcuno lontano o forse a sé stessa, alla sua anima. “Io
so che verranno, verranno qui e si riposeranno e ne godranno l’ombra. Io lo
sento che verranno, loro certamente verranno…”. E
fece piantare davanti alla casa due giovani alberi, giovani come le loro
giovani vite. E
anch’io oggi, come mia nonna, ad ogni estate di fuoco, ripeto come lei la sua
maledizione contro la ripugnante canaglia, gli esseri spregevoli, perché del
loro sangue non resti memoria. [Milano,
7 settembre 2012] *Si
tratta di Vincenzino Ferraro e Mimmo Coschignano detto Micuzzu.