Qualcuno ha eccepito, forse giustamente, che si sviluppa prima
l’agricoltura e, poi, la pastorizia. Ai fini della mia ricerca, non è problema
decisivo. Sicuramente la comunicazione verbale è opera dei pastori, molto
probabilmente Indo-europei, che inventarono un codice fonico (l’alfabeto) per
rappresentare, inizialmente, i processi di riproduzione animale. In un secondo
momento, servì per identificare tutto il reale. I greci, per indicare: capisco,
comprendo, coniarono: νο-έω, a seguito
di questo ragionamento: in conseguenza (εω) del
grembo pronunciato (quando la creatura è dentro: νο), poi, con
degli stereotipi coniarono il deverbale νο-ός/νοῦς: intelletto. I latini, più
precisi e concreti, utilizzarono una perifrasi più circonstanziata per indicare:
capisco, comprendo e coniarono intellego (int-el-lego),
che si può rendere così: a seguito del flusso gravidico (lego) che
man mano determina la spinta in avanti: io capisco, io comprendo (quanto
avviene durante i nove mesi). Con una logica più stringente, dal participio
passato intellectus, che indica chi ha capito, dedussero il deverbale:
intellectus intellectus: l’intelletto. Fatta questa doverosa
premessa, il pastore latino e
quello greco, ai fini della riproduzione degli animali, avevano avuto bisogno
di codificare χρόνοςe tempus
temporis. Con χρόνος i greci dissero: è quello che si ricava
dentro il passare per poter formare la creatura. I latini furono un po’ più
precisi: finché l’essere resta in grembo per la completa formazione, per poi
nascere. Ai fini della riproduzione dei vegetali, attività propria del contadino,
fu necessario strutturare e specificare il tempo dal punto di vista climatico.
I greci idearono (ora) ὥρα per indicare l’intero ciclo della formazione dei
frutti: è ciò che serve (scorrendo) per legare (per la formazione
di messi, biade e quant’altro). Questa parola indicò per i greci anche le
condizioni variabili del cielo, se, poi, dedussero mete-ora e meteorologia.
I latini si servirono di tempus anni, quindi di ver, aestas,
autumnus, hiems. Gli italici coniarono da stag (genera il
sollevamento il legare) stagione, come quelle necessarie per la
maturazione dei frutti. Poi da stagione dedussero stagionare per
indicare il far maturare al punto giusto. Per quanto riguarda lo sviluppo della vita animale e
vegetale, greci e latini ritennero indispensabile la presenza di (aér aeros) ἀήρἀέρος: aria, atmosfera (da: (atmòs) ἀτμός: vapore), delle condizioni del cielo
(coeli status), per i greci del clima. La parola clima, divenendo, ha acquisito questo significato:
il complesso delle condizioni meteorologiche, che caratterizzano una regione
o una località, relativamente a lunghi periodi di tempo, e che sono determinate,
o quanto meno influenzate, da fattori ambientali ecc. (da vocabolario
Treccani). Pertanto, elemento fondamentale per la formazione della vita è τό περιέχον: ambiente, che, per il pastore greco è
riconducibile al grembo materno, meglio: alle condizioni che ci sono, durante i
nove mesi, nel grembo. La stessa cosa dissero gli italici, coniando ambiente,
che si può esplicitare: è l’habitat della creatura in formazione, per
cui, alterando l’ambiente, si minano non solo le condizioni di vivibilità, ma
anche di formazione della vita. I latini, più concreti, per indicare ambiente,
si avvalsero di circumfusus aër, dell’aria che ci circonda.
Un altro elemento importante per mantenere la vita è
la salute dei viventi, per cui i greci coniarono: ὑγιής, da cui dedussero: igiene, come salubrità,
e noi: igienico, che, quindi, è ciò che favorisce salute e salubrità. Nel ciclo delle stagioni, in greco κύκλος: cerchio, circolo, giro, che
rimanda alla circolarità del grembo, anche come tempo che si ripete, e, quindi,
a tutto il tempo per fruttificare, i greci dissero che era necessario (cheimon)
χειμών: inverno, che è il periodo dell’incubazione.
I greci, poi, dalla radice (rig) ριγ(va a generare lo
scorrere del tempo, durante l’incubazione invernale) dedussero ῥῖγ-εω: rabbrividisco, tremo (per il freddo?),
pavento. Da questo verbo ricavarono: ῥῖγος: freddo, gelo, intirizzimento,
brivido, rigore. Per quale motivo il contadino greco, da ριγ, da rendere: va a scorrere il generare, dedusse
i significati attribuiti a ῥῖγ-εω, non si sa. Si può supporre che abbia pensato ai
brividi della stagione invernale, quando il seme incuba. Fatto sta che lo stesso calco rig-eo passò
nella cultura latina e, sulla base dei significati stratificati, determinò
altre catene verbali. Con rig-eo dissero: sono rigido, sono irrigidito,
mi ergo diritto, con rig-esco: diventorigido,
quindi: rig-idus, irrigidito, rig-or: rigore (con
tutti i significati acquisiti), rigidità, assideramento. Non
solo. Si svilupparono altri significati: f-rig-eo: sono freddo, divento
freddo, f-rig-esco: mi raffreddo, gelo, il sostantivo frigor/frigus:
freddo, fresco, frescura, gli aggettivi frigido, fresco
ecc. I greci per indicare inverno coniarono χεῖμαe χειμών, che i latini resero hiems hiemis, come
periodo d’incubazione dei vegetali, mentre gli italici si avvalsero dell’aggettivo
hibernus (d’inverno) per indicare la stagione. Da sottolineare
che castra hiberna erano gli accampamenti invernali, quando le guarnigioni
stavano chiuse, accampate, in attesa del bel tempo per attaccare. Probabilmente, i greci coniarono prima: (chion) χιών: neve e poi (cheima/ cheimon) χεῖμα/χειμών, mentre i latini con nix nivis utilizzarono
la radice greca di nevicare (nifo/neifo) νίφω/νείφω. Per quanto riguarda gelo, i greci si
avvalsero di (kryos) κρύοςκρύους, per definirlo: acqua che non scorre. Da ricordare
che questa parola, in italiano è divenuta crio (crio-terapia).
Quindi, da kryos dedussero cristallo. I latini coniarono gelu/gelum,
da rendere con questa perifrasi: è flusso d’acqua che si rapprende. La primavera rimanda al mondo greco, a: (ear earos)
ἔαρἔαρος e alla forma
contratta: (er eros)ἦρἦρος, che indica l’incipit della creazione del
mondo vegetale; i latini apportarono una lieve modifica, forse per eufonia, per
cui er divenne: u-er; poi, da primo vere (all’inizio della
primavera) si ebbe la primavera della lingua italiana. Un nome dedotto
da ἦρ fu certamente erba.
I greci per indicare estate coniarono (theros
therous) θέροςθέρους, nome dedotto da θέρομαι: mi scaldo, sono scaldato. Con la
parola theros, i greci dissero: quando cresce la temperatura e i
frutti (cereali) formati sono maturi. Il contadino greco sicuramente
pensava ai cereali perché dedusse: (therismos) θερισμός: tempo della mietitura, (theristés) θεριστής: mietitore, (theristerion) θεριστήριον: falce. I latini per indicare questa parola
si avvalsero di un calco greco: αἴθω: accendo, ardo e di uno stampino: tas
tatis, che qui si può rendere: è ciò che fa nascere (la calura).
Quindi, i latini con estate indicarono genericamente il periodo del
caldo. I greci per indicare autunno si avvalsero di ὀπώρα, ad indicare ciò che nasce a seguito di tutte le
altre stagioni, come periodo di fruttificazione degli alberi. I latini si
avvalsero di autumnus ad indicare il periodo della maturazione dei
frutti che pendono: quelli verso i quali, una volta maturi, mi
protendo. Molto probabilmente l’aggettivo mat-urus rimanda
ad una radice greca μαθ(genera il
rimanere il crescere, a voler dire qui: quando il frutto non cresce più),
che, in greco, aveva dato luogo a μανθάνω: vengo a conoscere, imparo, apprendo,
a μάθημα: scienza, disciplina (mat-eria
come disciplina scolastica), a matematico, mentre nella cultura della
Magna-Grecia generò mastro. Il concetto di maturo include in sé e
l’idea di frutto portato a termine e l’idea di perfetta commestibilità di quel
frutto. Il contadino latino ragionò così: quando il frutto, legato alla pianta,
non cresce più, per recuperare in qualità, ha completato il suo ciclo e può
essere gustato. Oltre il maturo
c’è lo sfatto. Nel mio dialetto per indicare maturo si usa fatto, mentre
con l’iterativo fatt’ fatt’ si indica il frutto stramaturo. I latini,
infatti, con factus indicarono la creatura che, completata, nasce. Inoltre, la
maturità diventa per l’uomo metafora di un periodo della vita, in cui la
formazione e crescita della persona raggiunge livelli qualitativi ottimali.