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lunedì 2 agosto 2021

PAROLE E LINGUA
di Nicola Santagada



 
Le stagioni

Qualcuno ha eccepito, forse giustamente, che si sviluppa prima l’agricoltura e, poi, la pastorizia. Ai fini della mia ricerca, non è problema decisivo. Sicuramente la comunicazione verbale è opera dei pastori, molto probabilmente Indo-europei, che inventarono un codice fonico (l’alfabeto) per rappresentare, inizialmente, i processi di riproduzione animale. In un secondo momento, servì per identificare tutto il reale. I greci, per indicare: capisco, comprendo, coniarono: νο-έω, a seguito di questo ragionamento: in conseguenza (εω) del grembo pronunciato (quando la creatura è dentro: νο), poi, con degli stereotipi coniarono il deverbale νο-ός/νος: intelletto.
I latini, più precisi e concreti, utilizzarono una perifrasi più circonstanziata per indicare: capisco, comprendo e coniarono intellego (int-el-lego), che si può rendere così: a seguito del flusso gravidico (lego) che man mano determina la spinta in avanti: io capisco, io comprendo (quanto avviene durante i nove mesi). Con una logica più stringente, dal participio passato intellectus, che indica chi ha capito, dedussero il deverbale: intellectus intellectus: l’intelletto.
Fatta questa doverosa premessa, il pastore latino e quello greco, ai fini della riproduzione degli animali, avevano avuto bisogno di codificare χρόνος e tempus temporis. Con χρόνος i greci dissero: è quello che si ricava dentro il passare per poter formare la creatura. I latini furono un po’ più precisi: finché l’essere resta in grembo per la completa formazione, per poi nascere. Ai fini della riproduzione dei vegetali, attività propria del contadino, fu necessario strutturare e specificare il tempo dal punto di vista climatico.



I greci idearono (ora) ὥρα per indicare l’intero ciclo della formazione dei frutti: è ciò che serve (scorrendo) per legare (per la formazione di messi, biade e quant’altro). Questa parola indicò per i greci anche le condizioni variabili del cielo, se, poi, dedussero mete-ora e meteorologia. I latini si servirono di tempus anni, quindi di ver, aestas, autumnus, hiems. Gli italici coniarono da stag (genera il sollevamento il legare) stagione, come quelle necessarie per la maturazione dei frutti. Poi da stagione dedussero stagionare per indicare il far maturare al punto giusto.
Per quanto riguarda lo sviluppo della vita animale e vegetale, greci e latini ritennero indispensabile la presenza di (aér aeros) ήρ έρος: aria, atmosfera (da: (atmòs) τμός: vapore), delle condizioni del cielo (coeli status), per i greci del clima.
La parola clima, divenendo, ha acquisito questo significato: il complesso delle condizioni meteorologiche, che caratterizzano una regione o una località, relativamente a lunghi periodi di tempo, e che sono determinate, o quanto meno influenzate, da fattori ambientali ecc. (da vocabolario Treccani). Pertanto, elemento fondamentale per la formazione della vita è τό περιέχον: ambiente, che, per il pastore greco è riconducibile al grembo materno, meglio: alle condizioni che ci sono, durante i nove mesi, nel grembo.
La stessa cosa dissero gli italici, coniando ambiente, che si può esplicitare: è l’habitat della creatura in formazione, per cui, alterando l’ambiente, si minano non solo le condizioni di vivibilità, ma anche di formazione della vita. I latini, più concreti, per indicare ambiente, si avvalsero di circumfusus aër, dell’aria che ci circonda.



Un altro elemento importante per mantenere la vita è la salute dei viventi, per cui i greci coniarono: γιής, da cui dedussero: igiene, come salubrità, e noi: igienico, che, quindi, è ciò che favorisce salute e salubrità.   
Nel ciclo delle stagioni, in greco κύκλος: cerchio, circolo, giro, che rimanda alla circolarità del grembo, anche come tempo che si ripete, e, quindi, a tutto il tempo per fruttificare, i greci dissero che era necessario (cheimon) χειμών: inverno, che è il periodo dell’incubazione. I greci, poi, dalla radice (rig) ριγ (va a generare lo scorrere del tempo, durante l’incubazione invernale) dedussero ῥῖγ-εω: rabbrividisco, tremo (per il freddo?), pavento. Da questo verbo ricavarono: ῥῖγος: freddo, gelo, intirizzimento, brivido, rigore. Per quale motivo il contadino greco, da ριγ, da rendere: va a scorrere il generare, dedusse i significati attribuiti a ῥῖγ-εω, non si sa. Si può supporre che abbia pensato ai brividi della stagione invernale, quando il seme incuba.
Fatto sta che lo stesso calco rig-eo passò nella cultura latina e, sulla base dei significati stratificati, determinò altre catene verbali. Con rig-eo dissero: sono rigido, sono irrigidito, mi ergo diritto, con rig-esco: divento rigido, quindi: rig-idus, irrigidito, rig-or: rigore (con tutti i significati acquisiti), rigidità, assideramento. Non solo. Si svilupparono altri significati: f-rig-eo: sono freddo, divento freddo, f-rig-esco: mi raffreddo, gelo, il sostantivo frigor/frigus: freddo, fresco, frescura, gli aggettivi frigido, fresco ecc.
I greci per indicare inverno coniarono χεμα e χειμών, che i latini resero hiems hiemis, come periodo d’incubazione dei vegetali, mentre gli italici si avvalsero dell’aggettivo hibernus (d’inverno) per indicare la stagione. Da sottolineare che castra hiberna erano gli accampamenti invernali, quando le guarnigioni stavano chiuse, accampate, in attesa del bel tempo per attaccare.
Probabilmente, i greci coniarono prima: (chion) χιών: neve e poi (cheima/ cheimon) χεμα/χειμών, mentre i latini con nix nivis utilizzarono la radice greca di nevicare (nifo/neifo) νίφω/νείφω. Per quanto riguarda gelo, i greci si avvalsero di (kryos) κρύος κρύους, per definirlo: acqua che non scorre. Da ricordare che questa parola, in italiano è divenuta crio (crio-terapia). Quindi, da kryos dedussero cristallo. I latini coniarono gelu/gelum, da rendere con questa perifrasi: è flusso d’acqua che si rapprende.
La primavera rimanda al mondo greco, a: (ear earos) αρ αρος e alla forma contratta: (er eros) ρ ρος, che indica l’incipit della creazione del mondo vegetale; i latini apportarono una lieve modifica, forse per eufonia, per cui er divenne: u-er; poi, da primo vere (all’inizio della primavera) si ebbe la primavera della lingua italiana. Un nome dedotto da ρ fu certamente erba.



I greci per indicare estate coniarono (theros therous) θέρος θέρους, nome dedotto da θέρομαι: mi scaldo, sono scaldato. Con la parola theros, i greci dissero: quando cresce la temperatura e i frutti (cereali) formati sono maturi. Il contadino greco sicuramente pensava ai cereali perché dedusse: (therismos) θερισμός: tempo della mietitura, (theristés) θεριστής: mietitore, (theristerion) θεριστήριον: falce. I latini per indicare questa parola si avvalsero di un calco greco: αθω: accendo, ardo e di uno stampino: tas tatis, che qui si può rendere: è ciò che fa nascere (la calura). Quindi, i latini con estate indicarono genericamente il periodo del caldo.
I greci per indicare autunno si avvalsero di πώρα, ad indicare ciò che nasce a seguito di tutte le altre stagioni, come periodo di fruttificazione degli alberi. I latini si avvalsero di autumnus ad indicare il periodo della maturazione dei frutti che pendono: quelli verso i quali, una volta maturi, mi protendo.
Molto probabilmente l’aggettivo mat-urus rimanda ad una radice greca μαθ (genera il rimanere il crescere, a voler dire qui: quando il frutto non cresce più), che, in greco, aveva dato luogo a μανθάνω: vengo a conoscere, imparo, apprendo, a μάθημα: scienza, disciplina (mat-eria come disciplina scolastica), a matematico, mentre nella cultura della Magna-Grecia generò mastro. Il concetto di maturo include in sé e l’idea di frutto portato a termine e l’idea di perfetta commestibilità di quel frutto. Il contadino latino ragionò così: quando il frutto, legato alla pianta, non cresce più, per recuperare in qualità, ha completato il suo ciclo e può essere gustato.
Oltre il maturo c’è lo sfatto. Nel mio dialetto per indicare maturo si usa fatto, mentre con l’iterativo fatt’ fatt’ si indica il frutto stramaturo. I latini, infatti, con factus indicarono la creatura che, completata, nasce. Inoltre, la maturità diventa per l’uomo metafora di un periodo della vita, in cui la formazione e crescita della persona raggiunge livelli qualitativi ottimali.