FIRENZE. MA QUANTE ITALIE… di
Ilaria Clara Urciuoli
Forte
di Belvedere: in mostra le nostre tante Italiae. Centosessant’anni
di storia fanno dell’Italia una nazione ancora molto giovane ed è anche in
virtù di questo passato unitario di così breve corso che differenze e
particolarità spiccano rendendo difficile pensare a una sola Italia. E ciò è ancora
più evidente se si considerano insieme le due dimensioni fondamentali di questo
viaggio: quella diatopica (in cui a variare è il luogo geografico) e quella
diacronica (che ci permette di muoverci lungo l’asse temporale). Questa
è la premessa della mostra fotografica nata da un’iniziativa del Ministero
degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e visitabile fino al 10
ottobre al Forte di Belvedere di Firenze, che stigmatizza questo concetto nel
suo titolo Italiae. Tante Italie, dunque, viste attraverso lo sguardo e
la sensibilità di tanti fotografi, oltre 75 a partire dagli Alinari per
arrivare ai maestri contemporanei, che hanno reso eterni frammenti della nostra
realtà composita tanto in termini di paesaggi, che di opere, che di volti.
Queste sono, infatti, le tre sezioni in cui è articolata l’esposizione, che
inizia con paesaggi montuosi accostati a viste aperte in cui la terra è
presenza marginale mentre il soggetto dominante è il mare; e ancora greggi, ritratte
quasi come un fronte umano data l’importanza che queste rivestivano per i
pastori, coesistono con immagini di una Venezia violata dallo sguardo poco
pudico di una enorme nave da crociera che si affaccia là dove un vicolo spunterebbe
sulla poetica laguna.
Se
nell’osservare i paesaggi colpiscono le possibilità offerte da dualismi come
città-campagna, mare-montagna, natura-azione umana, nella sezione Opere è il
tempo la chiave della nostra riflessione. La fabbrica nella quale i maccheroni
erano stesi al sole ci restituisce l’immagine delle odierne certificazioni HCCP
e dei controlli sulla produzione nel comparto alimentare, e mentre il liutaio
ci induce alla malinconia di lavori sempre più rari, i colori brillanti del
centro biomedico ci spingono verso la fiducia nel futuro. Infine,
è attraverso i volti che ognuna delle realtà descritte acquista maggiore forza nelle
rughe incise sui visi dei nostri nonni o nella spensieratezza riflessa negli
occhi di fanciulle, nello sguardo malinconico di una donna che si confronta con
il riflesso di una immortale statua o nel giovane D’Annunzio colto in una posa
quasi spontanea.
Ogni
foto in questo percorso (che dell’Italia è arrivato a San Pietroburgo prima di
approdare poi in altri stati) ha la profondità di un universo di cui essa è
rappresentante e di cui il fotografo è osservatore attivo, capace di
restituirci una realtà resa eterna nella densità dello scatto. E allora il
consiglio è di lasciare fuori il tempo, respirare piano e rallentare il battito,
godersi queste presenze del nostro passato e della nostra contemporaneità, del
nostro essere, comprendere come noi siamo queste realtà, riscoprire quel valore
collettivo che è la nostra identità nazionale, perché attraverso le fotografie
esposte ritroviamo temi che hanno trasformato le nostre storie in Storia – la
questione meridionale, la tutela del lavoro, la salvaguardia del patrimonio
artistico nazionale, l’alfabetizzazione, l’immigrazione e l’integrazione, la
tutela delle minoranze, la lotta per i diritti delle donne. A
noi, dunque, la sfida del creare una e più nuove Italiae di cui domani essere
orgogliosi.