Alla Città di Firenze e alla comunità fiorentina attraverso l’associazione Idra. Vi scrivo perché sono del tutto contraria
al progetto di distruggere la bellezza di via di San Giorgio alla Costa e dell’area
del Forte di Belvedere di Firenze per installarvi un trenino turistico. Sono
contraria alla spoliazione del passato ottenuta ridestinando edifici
conventuali al piacere unicamente di turisti ricchi. E chi altri potrebbe stare
lì? Basti dire che il progetto è fallace: l’idea di un trenino
turistico è un insulto ai fiorentini che per secoli hanno risalito a piedi la
collina. Per un certo verso è un insulto anche ai turisti, considerati troppo
pigri per camminare o non abbastanza interessati. E quand’anche così fosse,
perché mettere un trenino a disposizione di chi non rivela un interesse? La
novità del trenino è forse solo qualcos'altro da aggiungere all’itinerario di
“cosa fare” a Firenze? Del resto, non è che la sommità del Belvedere non sia raggiungibile senza
un trenino. Per chi ha limitazioni fisiche e vuole raggiungere la zona, c’è un
parcheggio taxi accanto al Ponte Vecchio, lato Oltrarno. Forse l’idea del
trenino è venuta perché i turisti potrebbero gradire di mangiarsi un gelato
durante il percorso! Ma, mentre ridono e chiacchierano, quanto vedrebbero dei
luoghi da cui passano, per non dire… quanto ne capirebbero? Ci sono viaggiatori
che vengono dall’altra parte del mondo - tipi determinati anche se con
disabilità fisiche - ma con sufficiente iniziativa da trovare il modo di
arrivare anche in luoghi scomodi. Questo trenino e questi nuovi tipi di
alberghi sono per gente facoltosa: ma non è con un trenino che raggiungerebbero
mai le loro camere. Arriverebbero con un autista privato o in taxi. Mentre i
turisti di una sola giornata prenderebbero il trenino per riempire un’ora o due
di intervallo noioso tra pranzo e cena. I visitatori che amano Firenze per ciò
che è, invece, non lo userebbero. Chi vogliamo soddisfare?
Sono quasi 20 anni che vengo in visita a Firenze una o due volte all’anno.
Ma non importa se sono a casa qui in Australia o in Italia: con la mente sono
sempre a Firenze. Per me, e per quelli che la amano, Firenze è uno scrigno
perfetto e ciascun pezzo, fino al più piccolo, racchiude una storia. Se il
Rinascimento è iniziato lì a fine Duecento e ha continuato, per due secoli, ad
aggiungere sempre maggiore bellezza strada facendo (per sua grandissima
fortuna, con poche eccezioni), il Barocco le è passato accanto ed è andato a
finire a Roma. Firenze è rimasta così una città rinascimentale di grandioso
profilo. Ha avuto delle perdite - alcune pianificate, una guerra e un’alluvione
- ma la maggior parte è rimasta in piedi e, anche se delle opere d’arte sono
state rimosse dalla loro iniziale collocazione e sono state esposte nelle
gallerie, chi - come me - vuole farlo può vederle e immaginarsele dove erano un
tempo. In anni lontani i fiorentini hanno creato la Firenze che per secoli ha
attirato visitatori. Sono in molti ad essere colpiti dalla Sindrome di
Stendhal. E quando scrivo che vivo sempre a Firenze, è vero. Quando non sono
fisicamente lì, sono intenta a fare ricerche con l’obiettivo di mettere assieme
un’antologia di sculture di figure femminili. Non è un libro di storia
dell’arte o una raccolta di immagini. In realtà ho un elenco di sculture di
donne tratte dalla storia, dalla Bibbia, dalla mitologia o da coperchi di
sarcofagi, e ho passato anni e anni a cercarle, per trovare storie nascoste e
scriverle. Non mi interessa celebrare un artista o descrivere uno stile, c’è
già molto materiale di questo tipo studiato dagli esperti. Io guardo il
soggetto di una scultura come fosse una persona, e ciò che scopro può essere
sorprendente: un cammino attraverso la Firenze di altri tempi. Le mie maestre
di storia sono le mie “donne scolpite”. Conoscete la storia della Beata Villana
o sapete dov’è il suo sarcofago? Io lo so. Lei mi ha guidata dalla morte di
Giotto, attraverso l’alluvione del 1333, il fallimento delle banche dei Bardi e
dei Peruzzi, le piogge, i terremoti e la carestia degli anni 1346-47, quando le
popolazioni della città e della campagna morivano di fame e si creavano così le
condizioni perfette per la devastante peste del 1348, e attraverso molte altre
cose ancora. La conosco, anche se è morta nel 1361.
Quando venni a Firenze l’ultima volta, a fine 2019, in cima alla mia lista
c’era il convento di San Giorgio alla Costa, perché avevo scoperto che una
delle donne delle mie sculture era collegata a quei luoghi. I dettagli della
sua storia personale sono frammentari, ma la storia di tutta la sua parentela è
ampia, anche se totalmente ignorata a Firenze, per quanto ne so. Sua madre - Alessandra di Bardo de’ Bardi (1412-1465) - fu una delle pochissime donne
incluse dal ‘cartolaio’ Vespasiano da Bisticci nelle sue “Vite di Uomini
Illustri”. Ho scoperto che Vespasiano aveva descritto un episodio accaduto
proprio lì ad Alessandra. Quando era una giovane sposa, andata in vista al
convento come sua consuetudine, mentre tornava a casa fu avvicinata da un
corteggiatore minaccioso. È uno dei racconti morali di Vespasiano, ma io ero
desiderosa di percepire quell’atmosfera e di cercare l’angolo dietro il quale
il corteggiatore avrebbe potuto nascondersi prima di pararsi davanti a lei. Di solito abito vicino al Duomo, ma l’amico che mi prenota il soggiorno mi
disse che nel suo palazzo c’erano dei lavori e che sarebbe stato rumoroso: mi
aveva trovato un altro posto, straordinariamente bello e tranquillo. Ci
incontrammo vicino al Duomo, io avevo tutti i miei bagagli ma andammo a piedi
e, attraversato il Ponte Vecchio, facemmo alcuni passi voltando a sinistra. Per
strada, con Alessandra in mente, notai: qui è dove abitavano i
Bardi! Certo, il Palazzo Bardi era stato distrutto. Non avevo idea
di dove stessimo andando, mentre camminavamo parlando. Poi cominciammo a salire
su per l’erta salita di via dei Magnoli. Rimasi sbalordita quando mi resi conto
che stavamo dirigendoci verso quello che era il luogo in cima alla mia lista!
Conoscevo già abbastanza bene la zona da sapere che via dei Magnoli si incunea
come una freccia in via San Giorgio alla Costa. Ma, proprio prima di
raggiungere quell’incrocio, voltammo a sinistra in una minuscola piazzetta.
Dall’angolo in fondo si diramava una stradina stretta: via del Canneto. Ero incantata, non solo dalla bellezza del luogo ma anche da quel silenzio.
Eravamo a qualcosa come 400 metri dal Ponte Vecchio e non c’era suono di passi.
Il capelvenere scendeva giù lungo i muri di pietra e sulle vecchie arcate che
sovrastavano la strada. In tutto il tempo che sono stata lì, non è mai cambiato
niente. La mattina si sentivano i rumori delle moto dei vicini diretti al
lavoro. Li sentivo tornare la sera. La maggior parte dei giorni passati lì ho
visto due donne passare davanti alla mia finestra una o due volte, che
chiacchieravano mentre portavano a spasso i loro canini. Chi progetta di
rovinare quest’ambiente, ha mai visitato via del Canneto?
Non mi ci volle molto a disfare i bagagli e ad andare a fare una rapida
visita alla cappella di San Giorgio, che era nel mezzo di un restauro. Non è la
cappella conventuale come appariva agli occhi di Alessandra di Bardo de’ Bardi.
Per lei c’erano Giotto e Baldovinetti. Ogni giorno, quando abitavo lì vicino,
se le porte erano aperte vi entravo. Una volta o due ho incontrato un altro
visitatore. Un giorno c’erano degli americani e, mentre parlavamo, ebbi il
piacere di richiamare la loro attenzione verso un punto in alto, quasi nascosto
dalle impalcature, dove c’è il bellissimo coro delle suore. Del convento, però,
non c’era mai nessuno. Solo musica. Nessun numero di contatto telefonico. Bene -
pensai - tornerò nel 2020. Ci starò di più e vedrò come trovare informazioni
sulle suore del vecchio convento. E magari, se si può, vedrò di visitarlo. A
farci visita, invece, è stato il Covid. E mi vengono in mente il 1348 e
Villana. Comunque, per me lo spirito di Alessandra era ancora lì. Ne potevo seguire
i passi. Potevo fissare il consunto scalino di pietra di ingresso alla
cappella. Nei musei che visitavo, potevo vedere le opere d’arte che lei aveva
visto. Per quella che è la mia esperienza, questa è quasi l’unica parte del centro
di Firenze non ancora travolta dal presente. Silenziosa. Magica. Ripida da
salire, certo. Ma mi fa sentire un nodo inestricabile nell’animo. I fiorentini
dovrebbero lottare per la difesa del patrimonio che la loro città ha ereditato.
Qualcuno lo sta facendo. Ma dovrebbero farlo tutti. Questa idea di un trenino e
della distruzione del passato per il piacere di chi viene da altri mondi è
sbagliata: un tale progetto non dovrebbe neppure esistere. Ai fiorentini è
stato trasmesso un tesoro di cui prendersi cura, e invece loro hanno lasciato
che diventasse una merce! Tanto tempo fa i fiorentini capivano che la bellezza
era destinata ai loro occhi. Cito un brano del 1494, riportato dal successivo
storico Ferdinando Leopoldo del Migliore. “A lato vedasi in una Nicchia una Santa Maria Maddalena di legno alta:
forse più di vivo di tutto rilievo, Opera del nostro celebre Donatello,
talmente ben fatta, in mostrarsi in quel Corpo estenuato dalla penitenza,
scoperto ogni muscolo, che sembra, per usare le proprie parole del Vasari, una
perfetta notomia benissimo intesa per tutto. Se ne invaghi Carlo VIII e ne
profferiva gran prezzo; onde, chi ne fece ricordo, disse, che piuttosto la gli
si farebbe donate, stimandosi di tal valore, che il danaro non v’arrivasse, se
egli non fosse partito di Firenze, poco, o nulla, amico della Repubblica, o ver
che in Consiglio, dove tutte le cose appartenenti al Comune si discorrevano,
non fosse prevaluta l’openione di chi diceva, non doversi spogliar la Città
delle cose rare, per farsene spettatori di meraviglia i Popoli in altri paese,
con scapito notabile di quelle gran lode dovuta a Firenze, Madre seconda
d’ingegni cosi ottimamente raffinati, sotto ogni facultà a discipline”.
Se questo trenino e la spoliazione dei conventi e di altre strutture in via
San Giorgio alla Costa dovessero andare avanti, allora sarebbe assurdo
sostenere che sono i turisti a rovinare la città perché gettano i sacchetti dei
panini per terra. Almeno questi si possono raccogliere! La maggioranza dei
visitatori comunque non lo fa, o non si vedrebbero più neppure le pietre del
selciato! Il fatto è che i fiorentini e l’amministrazione comunale
tratterebbero il loro patrimonio molto peggio. Un patrimonio non è una semplice
eredità. È qualcosa che è stato consegnato dalle generazioni precedenti, per
tradizione, per diritto di nascita, ma che implica anche la responsabilità di
valorizzarlo e preservarlo. Un patrimonio non è la stessa cosa di un’eredità.
Un patrimonio non è un oggetto o un contenitore di denaro con cui chi lo riceve
può fare ciò che vuole. La notte scorsa ho sognato Firenze. Quando mi sono svegliata, mi sembrava
un sogno strano, niente di particolare, solo un po’ strano. Penso di aver fatto
quel sogno perché sapevo che oggi avrei scritto questa lettera. Nel sogno ero
in Piazza Santa Croce, e una mano invisibile stava gettando molliche di pane ai
piccioni. I piccioni arrivavano sempre più numerosi, finché si è formato un
mare di ali che sbattevano. Ora capisco il mio sogno. Chi dava da
mangiare ai piccioni erano i fiorentini, e gli uccelli insaziabili erano i
turisti di passaggio, appagati soltanto da una sbrigativa gratificazione.
Attenzione! Quando i buoni bocconi saranno finiti, i piccioni andranno da
qualche altra parte ma la mano che ha gettato loro il cibo resterà vuota. I fiorentini hanno la responsabilità di garantire che Firenze esista per le
generazioni future, rispettata e non danneggiata dalle loro stesse mani. *Ricercatrice di storia medievale e rinascimentale di Firenze