NOTA AL DIZIONARIO MARX ENGELS
di Carlo Sini
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Marx ed Engels |
Il
filosofo Carlo Sini sul volume a cura di Fulvio Papi
nella
recente edizione Hoepli.
Un
Dizionario è ovviamente un esercizio di scrittura alfabetica a partire dalla
immaginaria “cosa” che ne è oggetto: le parole ridotte a lemmi. Che le parole
possano essere isolate e tradotte in segni grafici linearmente progressivi,
cioè alfabeticamente intesi, dipende appunto dall’averle tra-scritte secondo
una logica precisa di scrittura, ovvero secondo un esercizio “materiale” della
mano, dell’occhio, del supporto, dell’inchiostro, della compitazione e della
lettura sonora o silenziosa e così via. Per un soggetto precocemente alfabetizzato
tutto questo è facile dimenticarlo o non diventarne mai neppure adeguatamente consapevole.
È la pratica della scrittura, con la sua logica operativa, che produce
“letteralmente” parole-lemmi e l’illusione di “significati” in sé delle parole,
“ontologicamente” o realisticamente intesi. Il fatto di scrivere è assunto
infatti come un modo per costruire parole-cose oggettive, costanti,
collettivamente e universalmente condivise, sottraendole alla interpretazione
arbitraria o, come si dice, “soggettiva”. Per esempio, come è di fatto
accaduto, scrivere le leggi che governano la vita di una comunità per evitare
che, con la scusa della tradizione, del “si è sempre fatto così”, alcuni
prepotenti ne pieghino di volta in volta il senso a loro vantaggio. L’esito
effettivo di questa iniziativa di scrittura non è evidentemente l’astratto
riconoscimento di un significato “oggettivo” delle norme viventi, operanti
quotidianamente in una comunità: un significato che non è mai esistito prima astrattamente in sé. È appunto il
lavoro della scrittura che produce di
fatto l’idea di una oggettività permanente dei significati in quanto
scritti e come tali riconosciuti “politicamente” dai lettori: questo il suo
pregio e anche il suo limite. Di fronte all’arbitrio sfacciato la legge scritta
è un riparo efficace, ma anche limitato. Anzitutto perché lo scritto non parla
da sé ed esige interpretazioni, come si dice, “discutibili”; e poi perché le
condizioni di vita cambiano ed è la stessa azione della legalità “scritta” a
contribuire a promuovere il mutamento.
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Il filosofo Carlo Sini nel suo studio |
In
linea generale le scritture sono mappe operative seguendo le quali certi esiti
dell’azione risultano garantiti. La linea azzurra sulla destra dice che, in
quella localizzazione, troverete un fiume: contateci. Perché, come, a qual
fine, con quali emozioni, speranze e timori quanto al fondo sostanziale della
vostra esperienza di cammino è del tutto cancellato: non è affare della mappa.
Anche il dire della parola orale stabilisce a suo modo una intesa intersoggettiva,
e in questo senso una comunicazione “sociale”: «Se tieni la destra, troverai un
fiume, che, in questa stagione, è abbastanza guadabile…». A questa trasmissione
confidenziale la scrittura aggiunge l’irresistibile e peculiare effetto-pretesa
della “oggettività” e della “realtà in sé”: così è scritto perché la cosa sta così. Salvo errore e salvo
inganno, ovviamente. La scrittura “sospende” il corpo vivente del locutore e
gliene assegna un altro: il corpo grafico impersonale, universale, oggettivo,
con la relativa credenza epistemologicamente
fondata.
C’è
insomma una differenza rilevante tra “che cosa ha detto in verità” (per esempio Marx) e “che cosa ha scritto in verità”. Nel primo caso siamo
affidati a una memoria vivente (a partire dalla memoria dello stesso Marx, che
potrebbe manifestare dubbi, oscillazioni, addirittura errori); nel secondo caso
disponiamo invece di una memoria “strumentale” con le sue tracce oggettive
(dallo scritto ad altri sistemi “tecnici” di registrazione). È facile allora
ravvisare tutti i meriti della scrittura (in ogni senso intesa), legati alla
sua funzione conoscitivo-analitica, sulla quale funzione non è lecito dubitare.
Per esempio possiamo render noto quante volte e dove Marx ha scritto nelle sue
opere la parola ‘essenza’, in quali contesti e in quali relazioni (cosa di cui
lui stesso non ha certo memoria né coscienza) ed è ovvio che il saperlo apre a
considerazioni importanti.
Tuttavia
il sapere mostra la sua grande efficacia nel “che” (universale, impersonale e
verificabile: “il sole spunta per tutti a Oriente”), ma nel contempo mostra
anche l’estrema fragilità circa il “che cosa”, il “come” e il “perché”, ovvero
in relazione a ciò che spesso indichiamo con l’espressione “il contesto”, che
appunto non è affatto un testo, ma qualcosa cui alludiamo con espressioni come
“il vissuto”, “l’esperienza vivente”, “l’interpretazione personale”, “il mondo
circostante” ecc. Qualcosa infine che sta nel più profondo del dire, e
conseguentemente dello scrivere, e che nel dire incontra sempre e soltanto la
sua imperfetta e irresolubile manifestazione contingente; ovvero, come diceva
Peirce, la sua mobile interpretazione e il suo rimando illimitato o infinito.
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Il filosofo Fulvio Papi alla scrivania |
Nelle
sue considerazioni introduttive al Dizionario
Fulvio Papi ne fornisce una consapevolezza tanto profonda quanto rara e
preziosa. Ricorda il desiderio che fu primo motore di tutta l’impresa:
combattere il “marxismo popolare” del sessantottismo ignorante, ideologicamente
rozzo e primitivo, approssimativo e violento: ho vissuto quei tempi e comprendo
bene ciò a cui Papi allude, sebbene ovviamente a modo mio, ma quanti oggi sono
in grado di farlo? Papi sa anche bene che i suoi stessi collaboratori e
compagni di lavoro vissero a loro modo il grande e virtuoso progetto e che
questa situazione accompagna irrimediabilmente ogni azione collettiva. Le
nostre azioni accadono, diceva Nietzsche, in una atmosfera vaga, incerta,
opaca, e così le “mode” culturali imperscrutabilmente cambiano: nella nuova
esplosione di interessi verificatasi dopo il Sessantotto nei confronti di
Heidegger, dell’ermeneutica ecc., che cosa hanno veramente detto o scritto Marx
ed Engels cade fuori dalla domanda generale vivente, non provoca più polemiche
culturali e politiche, scontri di idee al calor bianco e così via. Nell’insieme
uno spettacolo piuttosto desolante, che negli ultimi decenni, con la
progressiva trasformazione della cultura in esibizione mass-mediale, sembra
essere sempre più diffuso.
Ma
che cosa infine è una parola, nella sua astrazione intellettualistica e
sostanza immaginaria? Forse il punto d’incontro e di emergenza di innumerevoli
vicende, di incalcolabili storie, di azioni e reazioni contingenti e costanti
in continuo movimento. Il Capitale di
Marx analizza e descrive un sistema produttivo, dei rapporti sociali e delle
conseguenze politico-economiche; ma nel frattempo, osserva Papi, nel suo tempo
e successivamente nascono nuove tecnologie, efficaci e potenti; nascono nuove
figure, nuovi ruoli lavorativi, quindi altre e impreviste relazioni tra nuovi
ceti sociali, quindi riflessi economici e politici partoriti dalla mutata
situazione, nuovi modi della contesa pubblica, con conseguenze anche nella vita
privata e nelle relazioni di genere, di cui la comprensione sociale proposta
dal Capitale è stata certo un fattore
innovativo a sua volta rilevante… Bene, non dobbiamo allora dire lo stesso a
proposito del progetto di un Dizionario? Non nasce anch’esso da situazioni e
interessi storicamente e quotidianamente mutevoli? Non è uno strumento di
produzione della cultura che ha una sua storia, che ha avuto una nascita
precisa in un mondo storico definito, e che forse un giorno morirà? Così
possiamo imparare a comprendere le profonde avventure di un libro, quelle della
nascita e oggi quelle della sua ripetizione a distanza di 38 anni. Il mondo è
cambiato e così gli autori e il senso collettivo delle parole: Papi ne è
lucidamene consapevole. Ma qualcosa della prima emozione vivente, con il suo
politico intendimento, è tuttora presente al fondo della trasformazione. Vorrei
ricordarlo con le parole stesse di Fulvio Papi, che sono in proposito
perfettamente adeguate (e per me largamente illuminanti e pienamente condivisibili).
«In
generale credo occorra liberare la considerazione della tradizione marxista
dalle affettività troppo violente. Abbassare il tono emotivo è utile anche per
sopportare con chiarezza intellettuale quell’enfasi delle congiunture che,
sull’onda di opinioni di massa, decidono morti, superamenti e resurrezioni di
autori, dottrine e teorie (spesso degne della più alta considerazione, per
ragioni profondamente diverse). L’oggettività di un dizionario potrebbe forse
aspirare a una terapia della volgarità. Rendere controllato e controllabile il
rapporto con un lessico dovrebbe educare al sospetto sull’uso delle parole. In
questo senso particolare il dizionario è un’opera critica» (Op. cit., p. XIX).
Dizionario
Marx Engels
A
cura di Fulvio Papi
Hoepli
Ed. 2021
Pagg.
412 € 37,90