RIFORME. I RICCHI NON PAGANO MAI di
Alfonso Gianni
Cosa c’è dietro la riforma che ancora non c’è? Era atteso in Parlamento entro
il 31 luglio di quest’anno. Così resta scritto nel Piano nazionale di ripresa e
resilienza. Poi il disegno di legge delega di riforma fiscale è stato rimandato
di settimana in settimana e ancora oggi nessuno può scommettere che sia
realmente in dirittura d’arrivo. La riforma fiscale non è tra quelle che il
Pnrr considera di contesto o “abilitanti”, ma di “accompagnamento” alla
realizzazione degli obiettivi generali e quindi “parte integrante della
ripresa”. A sottolinearne la rilevanza era stato lo stesso Presidente del
Consiglio quando, nel suo discorso sulla fiducia, aveva paragonato il lavoro da
fare, nella sua portata e nel metodo, a quello compiuto nei primi anni Settanta
dalla Commissione guidata da Cesare Cosciani e Bruno Visentini. Poi si scoprì
che quei passi erano stati copiati da un editoriale di Giavazzi di qualche
tempo prima. Una scelta poco raffinata, ma che non scalfiva l’enfasi posta sul
tema. Al quale evidentemente Mario Draghi intendeva legare la sua credibilità
nel paese e soprattutto in Europa. Il continuo via vai fra le Commissioni
parlamentari che adottarono un testo - davvero pessimo - che avrebbe dovuto
facilitare l’opera del governo nella stesura definitiva e il gruppo di esperti
messo in piedi dal Mef mostra che non siamo di fronte a qualche tecnicalità o
al pericolo di incorrere nel rischio dell’eccesso o di carenza di delega, ma ad
uno scontro politico di tutta rilevanza. Lo si è visto nei giorni scorsi con
l’alzata di scudi della destra di governo e di opposizione al solo apparire
della ipotesi di inserire nella legge delega la riforma del catasto. Eppure in
questo caso è giusto dire che “ce lo chiede l’Europa”, visto che al primo punto
delle Raccomandazioni rivolte all’Italia già nel 2019 compariva esplicitamente
la richiesta di “riformare i valori catastali non aggiornati”. Nelle intenzioni
degli “esperti” si tratterebbe di sostituire il metro quadrato al vano come
unità di misura; di scovare le “case fantasma” grazie all’aerofotogrammetria,
che già ha rivelato l’esistenza non registrata di 1,2 milioni di unità
immobiliari; quindi di avvicinare gradualmente le rendite ai valori di mercato.
Ma una misura del genere avrebbe sconvolto i sonni della proprietà edilizia, il
cui peso nella storia politica e sociale del nostro paese è ben noto. Non a
caso già Matteo Renzi, quando era Presidente del Consiglio, bloccò un decreto
attuativo sul catasto già pronto. Ora l’intervento è stato addirittura
preventivo. Non a caso, visto che alla revisione del catasto è legata
un’efficace tassazione patrimoniale. Negando in partenza la prima si renderebbe
meno credibile la seconda. Con buona pace di quanto stava scritto sull’abito
bianco indossato da Alexandria Ocasio-Cortez sul red carpet del Met Gala di
New York. La legge delega dovrebbe
basare il nuovo fisco su un sistema duale, nel quale la tassazione progressiva
verrà limitata ai redditi da lavoro, mentre quella proporzionaleriguarderà interessi, dividendi, plusvalenza,
affitti, rendite, redditi figurativi del capitale. Su tutti questi si
applicherà una percentuale fissa che dovrebbe coincidere, secondo quanto emerso
nella discussione parlamentare, con la più bassa delle aliquote progressive che
si applicheranno ai redditi da lavoro e da pensione. Nella delega non ci
saranno indicazioni precise su aliquote e scaglioni, che saranno definiti nei
successivi decreti attuativi. Ma è proprio qui che si concentra buona parte
dello scontro di classe in atto, più implicito che esplicito visto che chi sta
più in basso è privo di rappresentanza politica. L’alleggerimento del carico
fiscale sul lavoro dipende da come saranno disegnati scaglioni ed aliquote. Non
a caso nel 1974 il sistema tributario era costruito su un arco di aliquote che
andavano dal 10% al 72%. Da allora scaglioni e aliquote sono diminuiti
drasticamente e questo ha concorso in modo incisivo all’enorme trasferimento di
ricchezza a favore dei già più ricchi. Ciononostante le destre non hanno
rinunciato ai loro progetti di flat tax e
di riduzione a tre delle aliquote. Ma anche senza arrivare a tanto se si
intervenisse sul terzo scaglione - ove si concentrano i redditi della ambita
classe media - una riduzione dell’aliquota favorirebbe proporzionalmente di più
coloro che si trovano nella parte alta dello scaglione che non quelli che si
trovano nella parte bassa. Ovvero, ai valori attuali, chi si avvicina più ai 55
mila euro che non ai 28 mila, poiché per questi ultimi una riduzione agirebbe
solo su una parte minimale del loro reddito. Nel contempo pare non si proceda
ad alcun intervento sull’Iva, tagliando in partenza i progetti di una lotta
efficace all’evasione, mentre si parla della sparizione dell’Irap. Proprio
quest’ultima potrebbe essere anticipata nella legge di bilancio con il rischio
che la famosa riforma si riduca solo a questo o poco altro, ovvero che
l’antipasto si mangi le altre portate. Non si tratterebbe di mancanza di
risorse, ma di una perversa volontà politica cui Draghi non pare voglia opporre
resistenza. Anzi. Sta di fatto che una riforma considerata essenziale per la
ripresa, - mentre si celebrano le magnifiche sorti del “rimbalzo” economico -
ancora non c’è e per ciò che se ne sa è cosa prudente non attendersi il meglio.