Seppure
con un po’ di difficoltà riprendiamo le pubblicazioni. Nel breve tempo
possibile cercheremo di smaltire tutti i contributi in giacenza che sono tanti.
Impossibile sarà invece rispondere alla marea di e-mail e messaggi che ci sono
arrivati. Sono davvero troppi. Approfitto per esortare tutti i
collaboratori a controllare i propri scritti prima dell’invio: spazi tra una
parola e l’altra (spesso distanziate), accenti corretti, refusi ecc. Usare il
corpo 14 in carattere Georgia. Evitare i rientri, iniziare a scrivere dal
margine sinistro e così via. Si impiega più tempo per sistemare gli scritti che
a metterli in pagina. Questo aggrava il lavoro, pregiudica i miei occhi e
ritarda la pubblicazione degli scritti. Buon lavoro a tutte e tutti. [A. G.]
***
IMPARARE DAGLI ERRORI di
Alfonso Gianni
Cosa potrebbe insegnare all’Europa la sconfitta Usa in
Afghanistan.
La rovinosa fuga degli
americani dall’Afghanistan è un avvenimento certamente destinato ad avere un
peso rilevante in molti modi e su diversi fronti. Le analogie storiche si
sprecano e l’enfasi non manca. Forse è prematuro, per non dire avventato,
tracciare linee di demarcazione così nette fra una epoca storica e un’altra,
come ha scritto Bernard Guetta secondo cui come il XX secolo iniziò a Sarajevo
alla fine del giugno del 1914, così il XXI secolo sarebbe nato a Kabul nel
luglio di quest’anno. Ma certamente la
fuga degli Usa e alleati dall’Afghanistan è destinata a cambiare gran parte
degli assetti politico economici mondiali. In sostanza gli Usa sono ora fuori
dall’Oceano indiano e dall’Asia. Lo confermano, per contrasto, le aspre parole
con cui Kelly Craft ha inaugurato l’Asia-Pacific
Security Dialogue organizzato dal Ministero degli esteri di Taipei. La
rappresentante stutunitense ha ribadito la continuità tra Trump e Biden nella
difesa di Taiwan dalle ambizioni cinesi, invitando però i taiwanesi a fare come
Israele, cioè ad armarsi di tutto punto e a non affidare la loro salvezza solo
all’aiuto altrui. L’ennesima batosta militare e politica degli Usa dimostra che
se la potenza atlantica può iniziare conflitti armati le è sempre più difficile
(o impossibile) risolverli in breve tempo e quindi supportarli in termini di
costi economici e umani (i propri s’intende). Il sostegno a simili avventure da
parte delle giovani generazioni in Usa è sempre più flebile se non assente,
come ci fa capire e sentire persino la più recente letteratura americana, come
ad esempio l’opera prima di Stephen Marley Ohio.
La questione non sta dunque nelle diverse interpretazioni tra Trump e Biden
del principio America first, che pure
ci sono e sono evidentissime specie in politica economica, quanto nel fatto che
si rende sempre più evidente il declino del sogno e del secolo americano. La
disastrosa conclusione della lunghissima avventura yankee in Afghanistan sottolinea e accelera bruscamente un processo
aperto già da tempo, quello della transizione egemonica mondiale da ovest ad
est. La stessa pandemia e il modo con cui Cina, da un lato e Usa dall’altro
hanno reagito all’inaspettato ma non imprevedibile fenomeno, avevano già dal
canto loro affrettato quella modificazione degli equilibri internazionali,
soprattutto dal punto di vista economico. Le grandi immissioni di denaro
nell’economia americana hanno avuto l’effetto non trascurabile di contribuire a
rilanciare la capacità esportativa cinese niente affatto in contraddizione con
l’incremento della quantità e della qualità della produzione interna in settori
tecnologicamente avanzati. L’indiscutibile
primato militare degli Usa non può fermare questo processo storico, a meno di
non pensare ad atti distruttivi per l’intero pianeta, quale potrebbe essere un
conflitto nucleare a tutto campo. Che questo radicale mutamento negli equilibri
mondiali avvenga in modo sostanzialmente pacifico è quindi un imperativo per
tutti. O dovrebbe esserlo. Ed è proprio di fronte a questo quadro che l’Unione
europea mostra le sue intrinseche debolezze, le aporie sulle quali si fonda. In
questi giorni assistiamo a un coro da parte dei mass media e delle maggiori
autorità istituzionali e politiche verso la presunta necessità per la Ue di
dotarsi di un proprio sistema di difesa, capace di agire su scala planetaria,
un esercito europeo inquadrato in un rigido sistema di alleanza atlantica. Un
fosco futuro legato a quel torbido passato che è causa degli attuali guai. In
questo quadro la concezione dell’Europa come una fortezza trae ulteriore
alimento, ne è prova l’indegna discussione sull’accoglimento o meno dei
profughi afghani. Senza immigrazione l’Europa in realtà è destinata ad essere
un continente demograficamente in rapido declino, con una popolazione sempre
più anziana, difficilmente in grado di grandi performances trasformatrici della realtà. La Conferenza sul futuro
dell’Europa pare quindi aprirsi a fari spenti, anche sul terreno squisitamente
economico, il pezzo forte della concezione funzionalista del mainstream europeo. Per l’Europa, la
Cina - per estensione e in un prossimo futuro l’Asia - è il partner commerciale
più importante. Più degli stessi Usa. Ma il decantato accordo sugli
investimenti fra Bruxelles e Pechino raggiunto alla fine del 2020 è stato
congelato. Per converso la relazione annuale dell’esecutivo comunitario contro
le cosiddette politiche commerciali scorrette di paesi terzi rivela che alla
fine dello scorso anno delle 150 misure di protezione commerciale in vigore, 99
erano dirette contro la Cina, 9 contro la Russia, 7 contro l’India e 6 contro
gli Stati Uniti. Dombrovskis, il vicepresidente della Commissione europea, ha
dichiarato che è fondamentale che le “nostre” aziende possano continuare a
essere protette da pratiche sleali.
Nello stesso tempo, tornando ai noti casi aperti nel nostro paese, dalla
Gkn alla Whirlpool, siamo privi di strumenti efficaci per la difesa
dell’occupazione, dopo che le dette imprese hanno goduto di facilitazioni di
ogni tipo da parte dello Stato italiano. In ogni caso appare quanto meno
ipocrita che dopo il fiume di liquidità distribuito a banche e imprese a
livello europeo nel corso dell’attuale crisi, Bruxelles si lamenti degli aiuti
di stato altrui, si prepari tramite un nuovo regolamento ad ostacolare
l’ingresso nella Ue di imprese finanziate da paesi terzi e condizioni
l’implementazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza ad una nuova
legislazione sulla concorrenza. In questo modo, anziché prepararsi alla nuova
situazione, di cui la vicenda afghana è un punto di svolta rilevante, anziché
assumere un ruolo autonomo soprattutto dal punto di vista politico e quindi
economico, la Ue si accartoccia su sé stessa in un atlantismo fuori dal tempo.
Consegnando il mondo ad un conflitto sempre più pericoloso tra Cina e America,
senza soggetti terzi che abbiano la massa critica - che l’Europa avrebbe ma
solo in potenza - capaci di spezzare questo nuovo tipo di bipolarismo che
rischia di coinvolgere il mondo nella peggiore delle avventure.
***
LE GUERRE INUTILI di
Vincenzo Rizzuto
Con
un po’ di stizza, ma che mi rode molto dentro, mi chiedo perché nessuno gridi
allo scandalo per venti anni di guerra in Afganistan, voluta sostanzialmente
dall’America e sostenuta in coro acriticamente dall’intera Europa. Una guerra
rovinosa, che all’Italia è costata 53 vittime e oltre cinque miliardi di euro,
almeno quelli ufficialmente dichiarati. Sacrifici che potevano essere più
proficuamente utilizzati in aiuti internazionali per aiutare i più poveri e
abbandonati a sopravvivere come ha fatto il compianto Gino Strada e altre poche
anime elette come lui che, come ‘vox clamantis in deserto’, predicano la pace e la
collaborazione fra i popoli. (Come è strano, e nello stesso tempo drammatico,
constatare che mentre la guerra dilania i corpi, ci siano gli Strada che
cercano fra le bombe di ricucirli e salvarli!). Si
blatera che anche questi venti anni siano serviti a contrastare il terrorismo
dei talebani e dei loro affiliati, ma non si dice che dopo i bombardamenti a
tappeto, con l’uso di proiettili ad uranio arricchito che hanno massacrato non
solo combattenti di entrambe le parti ma anche innocenti civili, fra cui tanti
bambini, nulla è cambiato. L’America di Trump e di Biden, quasi all’improvviso,
ha abbandonato il campo e si è data alla fuga, lasciando in un mare di guai gli
alleati, compresi gli inglesi del primo Ministro Johnson, che è rimasto
sorpreso di questa mossa a sorpresa dei fratelli d’oltreoceano. Sì, l’America
con la ‘sua’ NATO è in fuga dall’Afganistan come lo è stata nel Vietnam, perché
sta decidendo oramai da tempo di chiudersi in politiche separatiste, in cui non
c’è più largo spazio per la solidarietà e l’aiuto internazionale. E l’Europa,
che non vuole prendere coscienza di questo nuovo scenario, invece di elaborare
al più presto nel suo interno, politiche di maggiore coesione e autonomia dalle
altre grandi potenze, resta divisa e disarcionata per le varie spinte di
nazionalismo paralizzante, come quello polacco, austriaco, ungherese. Per non
parlare dei ‘cugini’ francesi, che nel recente passato andarono a far fuori,
insieme agli inglesi, Gheddafi senza chiedere il permesso a nessuno, con lo
scopo formale di eliminare un terrorista, ma in realtà per svantaggiare
l’Italia, che aveva rapporti economici e umani privilegiati con la Libia. I
bombardieri inglesi e francesi in quell’occasione sorvolarono i cieli italiani
per fare prima e il nostro governo non mosse un dito per fermarli! Adesso i
nostri cari amici inglesi non fanno nemmeno più parte della Comunità Europea;
con la brexit ci hanno lasciato, si sono chiusi in uno splendido isolamento,
forse lo stesso che inseguono gli americani. E allora, se questa è la
situazione internazionale, e i talebani sono diventati più forti di prima anche
per l’immenso apparato bellico, lasciato nelle loro mani dagli americani in
fuga, il terrorismo, contro il quale si è condotta la ventennale guerra non è
diventato più pericoloso? Da qui la necessità di abbandonare qualsiasi
atteggiamento di rivincita e avviare al più presto politiche di distensione, di
disarmo e di conseguente dialogo fra i popoli come unico strumento valido per
evitare altre stragi di innocenti e restaurare la pace. E l’Europa, con la sua
ricchezza culturale, con la sua millenaria civiltà, costituita da lunga,
ancestrale capacità di convivenza tra popoli diversi, dovrà muoversi al più
presto per diventare luogo di incontro, di condivisione e di pacificazione fra
tutte le genti. E se è vero che i talebani hanno avuto la meglio in vent’anni
di guerra inutile, allora si dovrà ragionare anche con loro! La guerra è sempre
e comunque un nemico comune dell’intera umanità, e come tale deve essere
rifiutata e combattuta un po’ come stiamo facendo con il Covid su scala
mondiale senza distinzione di colore, di sesso e di religione.