Sarà
bene cercare di discernere tra le diverse motivazioni che hanno giustificato il
senso di sollievo prodotto dall’esito dei ballottaggi di domenica e lunedì
17-18 ottobre. Dal
punto di vista di una possibile articolazione d’analisi sembrano essere 4 le
questioni emergenti: 1)la ripresa nella capacità
di imporsi da parte di un centro-sinistra allargato che vince quando è capace
di produrre una sintesi efficace anche sul piano delle posizioni politiche
producendo così un “effetto coalizione”; 2)l’effetto negativo
prodotto sul centro destra dalla divisione corrente sul tema del governo; 3)l’ulteriore arretramento
del Movimento 5 stelle; 4) La secca diminuzione
registrata nella partecipazione al voto: fenomeno evidenziatosi già nel primo
turno e poi accentuatosi nei ballottaggi che hanno impegnato elettrici ed
elettori in 10 comuni capoluogo. Dovendo
scegliere quale fra questi temi può essere il caso di trattare prioritariamente
il punto 4 che sembra essere quello che indica più precisamente lo snodo di una
fase caratterizzata da una grande difficoltà nel sistema delle relazioni
politiche basate sul modello classico della democrazia liberale. La
disaffezione al voto, fenomeno che ormai a fasi alterne interessa l’elettorato
italiano fin dal lontano 1978, ha assunto in questo ultimo periodo un aspetto
particolare perché connesso a quella esasperata volatilità elettorale che ha
caratterizzato gli ultimi turni tra Europee e Politiche facendo oscillare
vorticosamente il pendolo tra PD (R), M5S e Lega. Per
questo motivo non siamo d’accordo con la teoria (che ebbe come primo
sostenitore il prof. D’Alimonte) di un calo fisiologico della partecipazione
dovuto a un trend di allineamento con i sistemi politici occidentali. La
crisi della partecipazione elettorale in Italia è frutto di cause specifiche
che stanno provocando una vera e propria “fragilità di sistema”. Una
“fragilità di sistema” che si sta acuendo mentre mutano sostanziali passaggi di
natura costituzionale, in particolare sul terreno della forma di governo.
1) L’astensionismo
verificatosi in questa tornata elettorale amministrativa è sicuramente in buona
parte generato dal riflusso dal sembiante populista della cosiddetta
“antipolitica” che aveva caratterizzato le tornate elettorali precedenti
causando lo spostamento della scelta di voto da parte di milioni di persone; 2) Più in generale ci
troviamo di fronte a una debolezza dell’offerta politica causata
dall’incapacità di mediazione e dal deficit di radicamento sociale da parte dei
partiti e dei movimenti: naturalmente sotto questoaspetto vanno considerate le fondamentali
novità intercorse sul piano del rapporto tra tecnologia e comunicazione
politica. Il fenomeno però appare più profondo dal poter essere valutato
semplicemente quale elemento derivante dello strapotere dei social. Pesano
infatti una incompresa trasformazione nel passaggio dal collettivo
all’individuale, i mutamenti di paradigma nella definizione delle priorità
sociali (in particolare in tempi di emergenza sanitaria), la trasformazione
della composizione della società (dovuta anche dall’immigrazione) in ispecie in
un luogo nevralgico della costruzione d’identità di massa qual è la grande
città. 3) Nello specifico di questo
turno elettorale e del passaggio tra primo e secondo turno ci sarebbe poi da
aprire un ragionamento sul logorarsi del meccanismo dell’elezione diretta (elemento
strettamente connesso alla andata in crisi, fortemente voluta da alcune parti
politiche, della capacità di intermediazione istituzionale). In
sostanza il combinato disposto tra mutamento della forma di governo e
insufficienza dei livelli dei rappresentanza determinati dalla crisi dei
partiti e dell'astensionismo elettorale rischia di far scivolare il sistema in
una dimensione di "democrazia autoritaria" alla costruzione della
quale risponderebbero soltanto pericolosi ribellismi del tipo di quelli
alimentati dal movimento no-pass (ai quali da sinistra non dovrebbe essere
fornita, anche da parte di soggetti minoritari, alcuna copertura ideologica,
anche perché non esistono ragioni teoriche per farlo). Esaminiamo
allora i dati complessivi delle 10 città capoluogo ( Torino, Varese, Savona,
Benevento, Isernia, Roma, Trieste, Latina, Caserta, Cosenza) coinvolte nel
secondo turno: Riferimento
ai numeri delle Europee 2019: chiamati al voto 3.561.291, voti validi espressi
1.789.112 pari al 50,23%. Primo
Turno elezioni amministrative 3-4 ottobre 2021: chiamati al voto 3.645.715 voti
validi espressi 1.759.751 pari al 48,26%. Secondo
turno elezioni amministrative 17-18 ottobre 2021: chiamati al voto 3.645.715
voti validi espressi 1.505.754 pari al 41,20%. Subito
si può pensare all’astensione di elettrici ed elettori che nel primo turno
avevano sostenuto i candidati 5 stelle; una spiegazione sufficientemente valida
ma che non coglie interamente il segno. Una
quota (rilevante e in crescita) di astensionismo nasce anche e soprattutto da
una domanda urgente di ristrutturazione dell’offerta politica (struttura dei
partiti, presenza delle istituzioni specialmente nelle periferie, legge
elettorale). Necessita
un’operazione di profondo cambiamento cui la sinistra non può più sottrarsi
prima di tutto imparando a non adagiarsi sui modelli altrui.