In appoggio alle buone ragioni per un serio
ripensamento sulla pratica urbanistica ed edilizia in corso di definizione per
l’ex Caserma Vittorio Veneto di Costa San Giorgio.
Ben poco c’è da aggiungere
alle articolate e motivate osservazioni presentate dall’Associazione Idra di
Firenze alla procedura di non assoggettamento a VAS della variante
urbanistica in corso di approvazione da parte della Amministrazione Comunale di
Firenze relativa all’ex-Caserma di Costa S. Giorgio e non si può non rimanere
sconcertati dal rigetto della richiesta di “dibattito pubblico”. Documento
emblematico di questa aporia fra le affermazioni contenute nelle leggi del
governo del territorio e la prassi attuativa è la risposta affidata al
Segretario Generale del Comune di Firenze per comunicare il rigetto di
un’istanza di partecipazione dei cittadini, una risposta affidata ad un organo
tecnico per affermare invece la motivazione tutta politica di “non disturbare il
manovratore”! Vorrei tuttavia accompagnare il mio pieno appoggio a
questa iniziativa di Idra e dei cittadini dell’Oltrarno che l’hanno
sottoscritta, con queste ulteriori considerazioni di studioso e di docente di
teoria e storia di restauro e di tutela dei monumenti. La ex caserma Vittorio Veneto ha accorpato due
Conventi (S. Giorgio dello Spirito Santo e S. Girolamo- S. Francesco sulla
Costa) che già alla metà del ’500 si connotavano come una presenza importante
sul Poggio de’ Magnoli o di Belvedere. Due episodi che con la loro posizione a
cavaliere di questo importante colle creavano un’estensione del convento e
della chiesa di S. Felicita verso la sommità del colle che sarebbe stata
occupata dalla fortezza del Buontalenti.
Insomma un asse di insediamenti
conventuali a spartiacque fra il nuovo magnifico giardino di Boboli e l’asse
viario di via dei Bardi e il fiume Arno. Infatti parte dei loro vasti orti e
giardini che si collegavamo a quelli di S. Felicita erano andati ad
incrementare il nuovo imponente giardino di Boboli. Orti e giardini di notevole
importanza e non a caso ricordati anche da Angiolo Pucci nella sua monumentale
opera sui Giardini di Firenze (Angiolo Pucci, I Giardini di Firenze,
vol. IV, Firenze, Olschki, 2017, pp. 491-493). La presenza di questi orti
puntualmente descritti negli inventari delle soppressioni documenta inoltre la
presenza di acqua nel sottosuolo del colle e quindi della sua fragilità
idrogeologica (non a caso una parte del lato verso via dei Bardi di fronte al
Palazzo Capponi registrò una tremenda frana che distrusse con perdite di vita
edifici e case posti nell’attuale giardino di lato a Costa Scarpuccia, e
denominò con l’appellativo “delle rovinate” questo ramo dei Capponi). I due
conventi dopo l’ultima soppressione seguita all’Unità d’Italia, data la
prossimità al Forte di Belvedere, furono uniti per ospitare una caserma
militare e poi nel 1928 l’alloggiamento degli allievi della Scuola di Sanità
Militare realizzata nell’ex Convento del Maglio. Destinazioni che sicuramente
hanno modificato profondamente gli ex conventi, mantenendo però intatti
l’organismo e la distribuzione originari. Ma perché allora non si è pensato sia
nel piano strutturale che nel regolamento urbanistico di indicare per la
dismissione di questo importante e storico contenitore destinazioni che
impedissero ulteriori definitive distruzioni e che potessero creare le premesse
di un suo restauro conservativo? Possibile che i nostri amministratori non
conoscano quel quadro del patrimonio dei conventi a Firenze e del riuso e delle
trasformazioni dal sec. XVIII minuziosamente ricomposto e pubblicato nel 1980
(Casa editrice LEF) da Osanna Fantozzi Micali e Piero Roselli? In quello studio
ben 40 anni fa si poneva il problema della dispersione di questo importante
patrimonio (quasi 100 edifici solo all’interno del perimetro delle mura
arnolfiane) del nostro centro storico. E già allora gli autori di
quell’importante regesto, sulla scia delle importanti acquisizioni emerse da
una delle esperienze pilota nel recupero dei centri storici come quella portata
avanti negli anni ’70 a Bologna sotto la regia di Pier Luigi Cervellati, ponevano
correttamente in relazione il tema del restauro/riuso di quanto era sopravvissuto
di quegli edifici conventuali al loro fondamentale rapporto con la città. Anzi
anche nel caso limite della perdita di ogni loro elemento di valore storico
artistico originario che possa averli ridotti a puro contenitore con unico
valore residuale nelle strutture murarie, pertanto non da restaurare ma da
riutilizzare liberamente, essi richiamavano ad un principio di cautela: «Ma
anche in quest’ultimo caso, se la scelta della funzione può in qualche misura
risultare indifferente ad una struttura architettonica che abbia perduto ogni
originaria connotazione, non può tuttavia non tenere conto di quel dato
importantissimo, cui abbiamo fatto riferimento, e cioè il rapporto del
complesso con la città».
Dall’esame degli atti di governo del territorio e
della variante in corso di approvazione tutto questo sembra essere
completamente ignorato e trascurato. Solo per questo, oltre che per le tante ragioni
indicate nelle osservazioni presentate dall’Associazione Idra, si doveva
decidere una pausa di riflessione e l’avvio di un vero dibattito pubblico. Ma,
come dice un antico aforisma, l’ignoranza si accompagna spesso all’arroganza di
chi non pensa di essere amministratore, ma proprietario della città. Accompagno questa sconsolata considerazione sulle
gravi lacune che stanno dietro all’approvazione della variante che dichiara
inutile la VAS su un procedimento di questa rilevanza e il cui espletamento è
assegnato appunto alle Giunte comunali con un’altra ancora più deprimente. Il
perfezionamento di questa pratica per il quale si rifiuta un processo
partecipativo richiesto da un elevato numero di cittadini è portato avanti
sulla base di un Regolamento Urbanistico decaduto ai primi di giugno del 2020 e
per il quale, invece di andare in regime di salvaguardia, si è richiesta ed
ottenuta, dalla Regione Toscana, una proroga prima di un anno, e addirittura
estesa ancora fino alla fine del 2021. E come se non bastasse questo permette
ancora l’utilizzo di una variante al Regolamento Urbanistico decaduto, la nota
variante all’art. 13 delle norme tecniche attuative che, impugnata da Italia
Nostra, è ancora in attesa di un giudizio definitivo da parte del Consiglio di
Stato. Questa proroga eccezionale è stata motivata con la emergenza sanitaria
creatasi con la pandemia da Covid 19. Sarebbe interessante che un’autorità
terza esaminasse quante di queste pratiche urbanistiche e edilizie perfezionate
grazie a questa proroga abbiano un interesse con la lotta alla pandemia e con
la conseguente emergenza sanitaria e sociale. *Storico, docente presso la Scuola di Specializzazione
in Restauro dei Monumenti, Giardini Storici e del Paesaggio La Sapienza, Facoltà di Architettura, Roma