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sabato 9 ottobre 2021

IL BUSILLIS
di Paolo Vincenti


In quei giorni”: il parroco ha iniziato a leggere il Vangelo ed ecco che io, seduto in fondo alla chiesa in una bircia domenica mattina d’autunno, uggiosa e sbiellata, subito mi distraggo, e per quelle insopprimibili associazioni di idee che si agitano nelle nostre teste, penso al “busillis” di un problema lavorativo che si trascina da molti giorni, troppi, per i miei tempi medi di risoluzione. Infatti, abituato ad affrontare e risolvere i problemi in tempi relativamente ristretti, non mi faccio una ragione del fatto che questo si trascini da settimane senza una risoluzione.  Non sono un genio del problem solving, ma riesco di solito a chiudere una partita in maniera veloce ed efficiente solo grazie ad una certa inquietudine che mi fa vivere male nelle tribolazioni e mi spinge dunque a scioglierle a qualsiasi costo. Cioè, quando un particolare problema assilla i miei giorni e mi impedisce di pensare ad altro, io mi sento in dovere con me stesso, prima ancora che con i colleghi, di risolverlo, per potermi dedicare con maggiore serenità alle mie occupazioni extralavorative. In questa domenica mattina di novembre, dunque, assistendo alla messa, riservo davvero poca attenzione alla liturgia e alle parole del prete. Solo quelle prime parole del Vangelo hanno catturato la mia attenzione, per portarmi però molto lontano dalla situazione contingente. Sono i primi versetti del Vangelo di Marco che mi hanno suggestionato, ed il motivo è presto detto: nella versione latina del Nuovo Testamento, la famosa traduzione di San Gerolamo, quelle parole si traducono: In diebus illis. Io penso che proprio da una loro errata grafia e interpretazione, nei secoli passati (in die busillis), è venuto il vocabolo italiano busillis, che significa appunto grosso guaio, faccenda intricata, difficile da risolvere, e poi, per estensione, anche rebus. Si tratta del cosiddetto latino maccheronico, quello che possedevano nel Medioevo le classi subalterne e gli illetterati, i quali, non conoscendo la lingua latina, la storpiavano a proprio uso e consumo. Ma i miei pensieri sono ormai del tutto assorbiti dalla intricata faccenda che domani mattina dovrò affrontare appena arrivato in ufficio e per tutta la durata della messa il tarlo non mi abbandona. Al momento della benedizione, vengo riscosso da mia moglie che, vedendomi ieratico e poco fidando in un mio mistico rapimento, mi dà di gomito per invitarmi ad uscire, sgombrando lo scranno che le impedisce di muoversi. Poi, conoscendo la mia natura e sapendomi costantemente sopra pensiero, sulla strada del ritorno mi chiede in quali elucubrazioni fossi immerso durante la funzione, ma abbandona subito la curiosità e nemmeno ascolta la mia svogliata risposta perché nel frattempo anche lei è probabilmente presa da un suo busillis.