Pensavamo
che fossero una cosa lontana, destinata dalla malasorte o per il capriccio
degli uomini ai Paesi poveri del mondo, invece eccole qui, sotto i nostri occhi
e appiccicate al sudore della nostra pelle, la siccità e le inondazioni, dopo
una calura fuori da ogni ragionevole previsione. Al sud dell’Italia quest’estate
abbiamo registrato una temperatura di 50 gradi che non s’era mai vista a
memoria d’uomo, seguita da diluvi scambiati per temporali e grandinate da sfondare
i tetti delle case, frantumare i tergicristalli delle automobili ed ammaccare
le capocchie degli umani. Così, nel volgere di pochi anni, abbiamo amaramente potuto
osservare prati ridotti a sterpaglie, alberi ingialliti prima del tempo, con le
foglie che cadono così rinsecchite da sguerciare la vista; letti di fiumi
ridotti prima a distese di sabbia e di ciottoli candenti, che improvvisamente
si fanno rabbiose cateratte che tutto travolgono; ghiacciai che più non sono, o
crollano nelle sottostanti valli. E l’acqua che scompare o è irrimediabilmente inquinata.
La calura non ha dato tregua per tutta
l’estate, con il sole che incombeva rabbioso come un predone ogni mattina e
sembrava non aver pietà di nessuno per il resto della giornata. E la notte:
un’afa che ti afferrava per la gola e non ti faceva respirare. Addio sonno, con
i sogni che si tramutavano in incubi e il letto in un sudario. Il tutto accompagnato
dalla tambureggiante conta dei morti per covid 19, che i mass media ci hanno martellato
in testa ad ogni ora del giorno e ad ogni sussurro nella notte. È l’estremo
avvertimento che la natura, così iniquamente calpestata, ci vuol dare su quello
che ci aspetta, se la nostra follia continuerà e desertificare il pianeta e ad
imbastardire l’aria, in nome degli interessi di pochi, che, più stupidi ancora
di chi queste conseguenze le subisce senza fiatare, pensano furbescamente di
farla franca.
Davanti all’evidenza clamorosa dell’effetto serra anche
nei Paesi una volta “temperati”, che cosa fanno i nostri responsabili del bene
pubblico? Tacciono. E gli intellettuali? Solo qualche sporadico sbuffo, o
qualche recriminazione generica per dirci che, tanto o purtroppo, l’economia da
rapina che abbiamo messo in piedi non può essere cambiata, altrimenti niente
profitti e, quindi, niente posti di lavoro. E i giornalisti? Ci scherzano
sopra, come se questi allarmanti segnali fossero curiose note di costume sulle
quali imbastire allegri servizi per la spensieratezza balneare del popolaccio
in vacanza. Pochi dei personaggi che contano e hanno voce in
questo Paese hanno sollevato il problema del perché di un’estate così anomala.
C’è un’irresponsabilità da far paura su questioni
così vitali per la nostra sopravvivenza. C’è una rassegnazione che rasenta la
volontà di suicidio. È calato il silenzio totale sulle cause di questo disastro
meteorologico, su questo dissesto ambientale di proporzioni apocalittiche: una
rimozione programmata attraverso un’informazione adulterata che non vede, non
sente, non ode. Solo una sparuta schiera di coraggiosi ragazzi ha il coraggio
di denunciare i responsabili, di spiegare a tutti come avviene il dissesto e di
domandarsi in nome di che cosa la madre terra viene saccheggiata, bruciata,
sfregiata. Silenzio criminale! La riprova? C’è un progetto globale di
privatizzazione dell’acqua nel cassetto dei potenti di turno e delle
multinazionali del quale nessuno osa parlare apertamente. Così la fonte stessa
della vita su questo pianeta, la res pubblica per antonomasia,
l’elemento simbolico usato da tutte le filosofie o religioni per marcare la
differenza tra l’uomo e la bestia viene assoggettata alle leggi del mercato,
come qualsiasi altra merce: una mostruosità anche solo concettuale. Eppure si
rafforza il silenzio pubblico su un progetto criminale che marca un salto di
qualità nell’imbarbarimento della razza umana, dove il concetto stesso di
civiltà ne viene stravolto: non la “roba” per l’uomo, ma l’uomo per la “roba”.
Non l’acqua per la vita, ma la vita per l’acqua, meglio, per il possesso
dell’acqua. Un movimento storico diametralmente opposto a quello che ha
consentito la nascita delle grandi civiltà sulle rive dei fiumi o sui bordi dei
grandi laghi: attorno all’acqua appunto, bene sacro e di tutti. Perciò
aspettiamoci le guerre per l’acqua, rispetto alle quali le guerre per il
petrolio sembreranno scaramucce locali. Ma poiché sarà una lotta per la
sopravvivenza, non ci saranno regole che tengano e la ferocia non avrà più limiti.
Ecco dove ci stanno conducendo questi irresponsabili silenzi.
A completare il quadro di questo disastro
antropologico, ancora quest’estate mi è accaduto un fatto che mi ha fatto molto
riflettere. A Loano, in Liguria, mi apprestavo a farmi un bagno ristoratore
sulle poche spiagge esistenti, trapuntate però da ombrelloni alla stregua di un
canneto e pavimentate con innumerevoli sedie a sdraio. Ero a pochi metri dalla
risacca e stavo svestendomi per tuffarmi in acqua, quando una giovane donna mi
assale come una furia e mi intima di andarmene immediatamente, perché lì è
proibito fare il bagno. Anzi, è proibito anche solamente fermarsi e persino
toccare l’acqua, perché un’ordinanza comunale ha stabilito che tutto lì è
proprietà privata e riservata ai clienti del suo bagno. Stento a credere ai
miei occhi, ma la donna mi mostra il testo dell’ordinanza che possiamo qui leggere
sul cartello che campeggia minaccioso all’inizio dalle spiagge. Mi ribello,
perché il mare è di tutti e ribadisco la mia determinazione a farmi un tuffo proprio
lì, tanto per rafforzare il concetto. La proprietaria chiama due suoi palestrati
bagnini per cacciarmi con la forza, ma, al mio avvertimento di una denuncia
penale qualora anche solo mi sfiorassero, la donna desiste indispettita
dall’intento minatorio e si limita a darmi del maleducato. Come risposta all’insulto,
mi metto il costume e mi rifugio in acqua, e ci sto per un bel po’ cullandomi pensieroso
tra le onde e sotto gli occhi stupiti dei clienti del suo stabilimento balneare.
Quando esco dall’acqua, chiedo proprio a loro se è legittimo per un cittadino essere
privato del mare: occhi che non mi guardano e imbarazzati silenzi. Lo sanno
benissimo, questi paganti beoti, che ci hanno sequestrato il mare, ma il
coraggio di ribellarsi non c’è.
A breve, è previsto il rinnovo delle concessioni
per la gestione degli impianti balneari, e, se questo è il clima, il mare tutti
noi lo vedremo solo da lontano e a pagamento. A meno che non ci sia una rivolta
dei cittadini per dissequestrare il mare, e speriamo che non rimanga solo un auspicio. Cambiamento climatico, inquinamenti, sequestri dei
beni primari, privatizzazione dell’acqua, dolce o salata che sia, devono essere
affrontati senza ipocrisie e senza dilazioni dalla Coop 26 di Glasgow,
organizzata per i primi di novembre dall’ONU per far fronte ai cambiamenti
climatici, ma i potenti della Terra avranno il coraggio di cambiare
radicalmente direzione di marcia? Non c’è più tempo, né sono possibili
mediazioni o accomodamenti per rimandare scelte drastiche e obbligate, se si
vuol dare un futuro alla schiatta umana, nella consapevolezza che madre natura
non perdona mai chi le fa violenza. Che non ci accada di venire additati dalle future
generazioni come coloro che hanno lasciato solo sentieri deserti per figli,
perché allora la nostra colpa si configurerebbe come un colossale delitto
contro l’umanità.