Un
breve ricordo di Papi per il suo amico filosofo scomparso
in questi giorni. Anche Salvatore Veca se n’è andato:
“unde negant redire quemquam”. Veca è un prezioso filosofo: un pensiero
limpido, anche nei momenti più ardui dal punto di vista teorico. Aveva quel
particolare dono della chiarezza della scrittura che deriva dalla ricerca della
condivisione di un dialogo collettivo. La vocazione critica era già tutta
compresa nella estensione del suo pensiero. Lo stile è sempre quello
propositivo, lontano come il cielo dalla drammatizzazione dei concetti.
Storicamente apparteneva (detto in largo) alla luce dell’Illuminismo che
sentiva gli echi epistemologici e morali della cultura inglese. Era il suo
modo, personale, originale di trovarsi nella ampia comunità dell’Illuminismo
italiano. Un’opera che mostra attraverso uno stile sociale le condizioni di una
positiva convivenza. Il bene e il male non sono mai destini da precipizio: sono
sfide di un pensiero che doveva e voleva valere per una comunità politica,
proprio perché il lavoro teorico conduceva alla relatività dei concetti e alla
relatività del tempo. La relatività era tanto più preziosa in quanto era il
solo dono che ognuno poteva fare a sé stesso e al mondo che circondava la sua
identità. Questo era anche lo stile della sua voce come essere pensatore
politico. Nessuna chiacchiera totalitaria, ma la più viva attenzione al
reticolo di istituzioni che garantiscono una pratica democratica. I tempi, come
sanno tutti, sono molto difficili, ma la storia di Salvatore non è un archivio,
è la sollecitazione di una memoria che oggi è solo ferita gravemente, ma il suo
orizzonte è ancora aperto. Se ci siamo noi, ci sei anche tu. A leggere bene si
trova proprio nella breve parola “addio”. Fulvio Papi