Reti Sociali,
Polarizzazione, Complessità e Democrazia. Gli
articoli di Franco Astengo (Odissea, giovedì 14 ottobre 2021 (1))
sul significato della Democrazia e del Centro Tagarelli (Odissea, lunedì 1°
novembre 2021 (2)) sul il capitalismo/imperialismo mi forniscono lo
spunto per alcune riflessioni. Franco
Astengo ascrive il presente forte indebolimento della Democrazia costituzionale
al “prevalere dell’individualismo competitivo sull’idea novecentesca
dell’aggregazione collettiva. Individualismo come punto di fondo del
riconoscimento dell’azione politica. Ognuno è richiamato a riconoscere la
propria sorte e diventa sempre più difficile muoversi sul terreno
dell’orizzonte comune e della trasformazione democratica”. Da queste
considerazioni discende la constatazione che i partiti populisti hanno saputo far
leva su questo individualismo, mentre i “politici della ragione” non hanno
saputo come rispondere al fenomeno. Astengo prende lo spunto dai disordini dei
gilet gialli in Francia e dalle manifestazioni No-Green-Pass di queste ultime
settimane in Italia per supportare la sua analisi che a me pare sostanzialmente
corretta. Il
quadro generale è dunque ben rappresentato nell’articolo di Astengo con
riferimenti ai valori socio-politici e psicologici ispiratori di questi
comportamenti. Tuttavia, i fenomeni descritti richiedono, a mio avviso, anche
un’analisi delle attuali dinamiche sociali soprattutto alla luce delle
possibilità e modalità di aggregazione offerte oggigiorno dalle reti sociali (i
cosiddetti social networks o social media, solitamenteabbreviati
in “social”). Al
contrario di quanto succedeva in passato, a partire dalle piazze nelle città
dove il tribuno di turno arringava le moltitudini, oggigiorno l’individualismo
così bene descritto da Astengo, è quello che anima i cosiddetti “leoni da
tastiera” che definirei piuttosto “onanisti digitali”, col loro seguito di
contatti social i quali a loro volta diffondono il “verbo” ai loro
contatti e così via in una sorta di reazione a catena in Rete, simile alla
diffusione di un virus (vedi l’uso del termine “virale”!). Si tratta di
individui o più spesso di organizzazioni ed anche partiti politici, che
sfruttano questi canali di diffusione e “informazione” per raggiungere in breve
tempo una gran moltitudine di persone, a volte persino da paesi diversi da quelli
dove si vuole far arrivare il messaggio. Il comportamento emulativo suscitato
nelle persone-bersaglio fa leva sulle reali frustrazioni e insoddisfazioni
esistenziali ed economiche e comporta una coazione a ripetere che viene portata
nelle strade e piazze, in risposta a slogan e parole d’ordine perlopiù
infarcite di disinformazione (le cosiddette fake news), usati con
tecniche oramai collaudate in tutti i paesi. Un
recente eclatante esempio di queste manipolazioni si è verificato il 6 gennaio
di quest’anno con l’assalto al Campidoglio di Washington fomentato col tam-tam
sui social dal deposto presidente, tutt’ora indisponibile a riconoscere
il risultato del più significativo evento democratico del suo Paese, nelle
votazioni del novembre di un anno fa (3).
Per
quanto riguarda le modalità pratiche di attuazione di questa spinta ad agire,
fomentata sui social, si tratta essenzialmente dello stesso meccanismo che dà
luogo all’improvviso e “imprevedibile” raduno di decine di migliaia di
individui in luoghi indicati da una o due persone per i cosiddetti rave
parties, come successo di recente in un ex stabilimento Fiat alle porte di
Torino. Le
stesse modalità attuative si applicano ai movimenti di “opinione” creati da
apposite agenzie, spesso collegate a partiti politici, associazioni o anche
aggregazioni estemporanee guidate da individui senza scrupoli in cerca di
seguito e visibilità. I principi animatori del fenomeno non sono una novità,
essendo alla base del successo degli stessi social media. In sostanza si
tratta di favorire la diffusione di messaggi simil-veri o di interpretazioni
plausibili ma scorrette, di fatti ed opinioni capaci di suscitare l’attenzione
(polarizzazione) di un’ampia categoria di persone attratte da “rivelazioni” di
cui non c’è traccia nei canali di informazione “ufficiali” e percepite
dall’individuo quale depositario di una verità alternativa a quella del
“sistema”. Da qui nascono le teorie del complotto, ordito da chiunque sia
immaginato, in base alla disinformazione, come causa dello stato delle cose. Il
negazionismo che solitamente si accompagna a queste convinzioni è frutto,
almeno in parte, delle stesse dinamiche; la parte rimanente è riconducibile a
cause psicologiche di nota origine (4). Le recenti dimostrazioni di
protesta No-Vax e No-Green-Pass nelle piazze italiane (e nel resto d’Europa e
nel Mondo) sono un evidente esempio di queste dinamiche e delle loro
conseguenze (5). Questo
meccanismo di persuasione e aggregazione di molti individui merita dunque una
corretta analisi, oltre che grande attenzione, perché è alla base del pericolo,
ben individuato da Astengo, che corre la democrazia rappresentativa, sia essa
“liberale” o “socialista”, nel nostro così come negli altri Paesi. Si
tratta in effetti di un metodo ben noto ai proprietari delle reti sociali e ai
loro “system managers” e creatori di algoritmi che, in nome della libertà di
opinione, o meglio nel libertarismo più sfrenato ed esasperato che non tiene in
nessun conto l’assioma: “la mia libertà finisce dove comincia la tua”,
promuovono, attraverso il sistema della partecipazione al consenso (i “like”),
i contenuti più polarizzanti. È in questi che c’è più profitto in termini di
raccolta pubblicitaria, amplificata dalla diffusione capillare e coinvolgente
vasti strati della popolazione, soprattutto in tempi e luoghi di difficoltà
socio-economica. I contenuti e i fini sono tipici dell’approccio populista alla
politica, similmente al tifo da stadio che non consente di vedere nemmeno un
briciolo di buono in un giocatore della squadra avversaria. Secondo il ben noto
schema: o di qua o di là (tertium non datur); l’avversario è percepito
come nemico assoluto. Queste sono alcune delle posizioni facilmente
riconoscibili in quel genere di politica. Il
confronto politico è avvelenato da questi principi di esclusione delle
sfumature e a vantaggio della polarizzazione, dell’estremizzazione; la
negazione del confronto democratico delle idee. Grave è la perdita del
principio della complessità e quindi dell’arte del possibile, tipica del confronto
politico nella dialettica. Ecco, dunque, la sofferenza della Democrazia.
Zuckerberg
e i suoi famosissimi e diffusissimi social, sono al momento sotto
inchiesta dopo le rivelazioni portate all’attenzione della stampa e della
magistratura da parte di una dirigente che, dimessasi, ne ha messo a nudo le
strategie di mercato, dando finalmente la stura al riconoscimento
dell’intrinseco pericolo per la democrazia che si cela nell’estensione alle
masse della comunicazione digitale, nel suo libero mercato e soprattutto nella
profilazione di miliardi di persone per mirati bersagli pubblicitari, di
mercato e non solo! Qui
sta anche l’attualità dell’appello del Centro Tagarelli (2) contro
il capitalismo/imperialismo ma con una opportuna precisazione. Non sono necessariamente
i rappresentanti del G20 coloro che incarnano il peggior tipo di
capitalismo/imperialismo. Infatti, negli Stati retti da sistemi con un buon
tasso di democrazia, le storture del capitalismo descritte nell’articolo, sono
fenomeni ben noti e trattandosi di regimi democratici, questi possono essere
mitigati se non aboliti completamente, ad iniziare dalla consapevolezza.
Viceversa, il capitalismo senza frontiere dei colossi della Rete, con le loro
enormi banche dati contenenti le nostre vite private fino ai più piccoli
dettagli, rappresenta la forma più temibile di imperialismo. In continuo
conflitto con gli ordinamenti democratici più evoluti ma a proprio agio dove la
democrazia si unisce a un alto tasso di inconsapevolezza nella popolazione
(democrazie giovani o immature). Ecco dove l’analisi di Franco Astengo sul
decadimento delle democrazie rappresentative trova un plausibile riscontro
causale. Insomma è vero che il capitalismo ha portato e tuttora
è in grado di portare le deviazioni descritte nell'articolo del Centro
Tagarelli fino all’imperialismo, tuttavia la sua compatibilità con i sistemi
democratici ne fanno un male necessario ancorché mitigabile e migliorabile,
secondo la volontà del popolo, per poter mantenere altri principi
irrinunciabili quali la libertà (personale, di pensiero, di parola, di impresa,
ecc.), l’autoderminazione ed altri diritti costituzionali che non sto qui ad
elencare, ai quali nessuno che ci pensi anche solo un attimo, è disposto più a
rinunciare. Si tratterà dunque di porre mano alle storture e deviazioni insite
nei sistemi democratici, piuttosto che buttare via il bambino con l'acqua
sporca. La politica è l’arte del possibile; l’uomo è un essere imperfetto e
tali sono le sue regole, anche in politica. L’importante è riconoscere i
difetti e apportare miglioramenti che li superino, al mutare delle condizioni
socioculturali e tecnologiche. L’avanzamento della ricerca scientifica e dello
sviluppo tecnologico forniscono esempi incontrovertibili di questo principio.
Basti pensare a quello che la medicina può fare oggi nel campo di molte
malattie che solo una ventina di anni fa erano definite “mali incurabili”. Lo
stesso vale per i vaccini a m-RNA, studiati per oltre due decenni per le cure
contro il cancro e messi a punto in pochi mesi per combattere, con buone
prospettive di vittoria, la peggior pandemia da cento anni a questa parte.
Le
frasi di chiusura dell’articolo del Centro Tagarelli, si prestano ad una
rilettura sulla base di quanto fin qui discusso anche in relazione all’articolo
di Franco Astengo. Il miglioramento della condizione umana non può più passare,
in epoca di armamenti nucleari capaci di distruggere l’intero ecosistema del
pianeta Terra più volte, per una rivoluzione globale o addirittura una guerra
mondiale. Prospettive che sembrerebbero adombrate nella frase: “Un altro
mondo è possibile solo dopo aver distrutto dalle fondamenta questo sistema
barbaro e inumano”.Viceversa, nella frase successiva viene indicato un
obiettivo assolutamente condivisibile:“Abbiamo bisogno di una
società, dove si produca per soddisfare i bisogni degli esseri umani e non per
il profitto di pochi sfruttatori”.Ecco, dunque, per raggiungere
tale obiettivo, siamo sicuri che si debba necessariamente passare per la totale
distruzione delle attuali Istituzioni, soprattutto nei paesi democratici? Anche
la frase finale: “Un altro mondo è possibile solo nel socialismo”deve
essere riletta alla luce della storia del secolo scorso. Non potremo certo
ripercorrere la strada che ha portato al “socialismo reale” oppure ai
“nazional-socialismi” a spese di tutta l’umanità. D’altra parte, il risultato
di quelle esperienze è rappresentato dalle società di oggi, sia nei paesi
“occidentali” sia in quelli “orientali”, dove purtroppo possono essere presenti
quelle storture del capitalismo descritte nell’articolo che vanno riconosciute
ovunque si manifestino ed avversate per quello che sono. Trovo
dunque che quanto sta emergendo in materia di social media e del loro
effetto sulla società e sulla politica, rappresenti bene il tipo di mondo che non
vogliamo. Soprattutto nelle democrazie, siano esse “liberali” o
“socialiste”, come evidenziato nell’articolo di Astengo (1). Le
stesse considerazioni valgono per tutti i mezzi di informazione (i cosiddetti media,
siano essi mass media o social media), basti pensare a Fox
News negli USA, ma gli esempi non mancano nel resto del mondo, soprattutto per
i canali Web delle emittenti private. Senza la consapevolezza delle persone e
una opportuna normativa sulla diffusione, questa “mala-informazione” può
arrecare gravi danni all’esercizio della ragione in democrazia. I governi
democratici, se tali vorranno rimanere, dovranno attuare interventi normativi
tali da garantire la libertà di espressione ma evitare al contempo la propagazione
della disinformazione, uno strumento già ben individuato in epoche di imperanti
totalitarismi per il controllo dell’opinione pubblica.