LA DOTTRINA SOCIALE DEL PAPA di Vincenzo Valtriani*
Il papa in Amazzonia
Riprendo il commento al libro La irrupción de los
movimientos populares. "Rerum Novarum" de nuestro tiempo, a cura
di Guzmán M. Carriquiry Lecour, Roma, Libreria Editrice Vaticana, 2019, perché
ritengo questo testo, per ciò che esprime, di una contemporaneità sorprendente. Il Papa
sottolinea che i poveri non solo subiscono l’ingiustizia ma lottano contro
questa e l’impegno personale del Pontefice è quello di edificare una Chiesa in
uscita e in ascolto per giungere alla periferia del nostro mondo, al contrario
dei governi dei paesi occidentali che considerano questa come un fardello
noioso, possibilmente da ignorare o da sopportare perché in questa parte della
terra traiamo quelle ricchezze che ci consentono un progresso economico,
tralasciando quello sociale. Il Santo Padre, invece, promuove il loro
protagonismo in tutti i campi, rendendoli soggetti sociali attivi, protagonisti
in tutti i valori, come quelli di godere dei diritti sacri come: il lavoro, la
terra, il tetto a differenza di noi che, avendo un uomo solo al comando,
osannato come Dio in terra, accettiamo passivamente ciò che ci viene imposto in
quanto non esiste un’opposizione che è l’essenza della democrazia. Questi
movimenti, che comprendono i più bassi strati sociali dell’America Latina, sono
definiti “economia informale” o del “settore informale”. Questa categoria comprende
tutta gli esclusi dal lavoro e, quindi, privi di possibilità economiche. Da ciò
dipende la precarietà, la insicurezza, la mancanza di protezione sociale e la
privazione dei diritti come conseguenza dell’informalità. Da noi vengono
inclusi in questa categoria tutti i lavoratori in nero, gli extracomunitari, i
senza cittadinanza che non possono godere degli aiuti per la pandemia in quanto
esseri senza diritti.
Chi desidera
entrare in contatto con questi desparasidos, deve uscire dal centro del
sistema economico, sociale e politico per dirigersi nelle periferie,
riproducendo quel cammino che Papa Francesco ha indicato dall’inizio del suo
pontificato, ma il nostro governo è ben lontano da questo percorso se solo pensiamo
alla discussione sul reddito di cittadinanza. Portare,
invece, le categorie di questi lavoratori poveri ed esclusi, nelle associazioni
e organizzazioni per lo sviluppo, che lavorano per loro, trasforma questo
incontro in un grande rinnovamento. Portare la periferia a occupare un posto
centrale genera una dinamica contraria che cambia le relazioni tra
cento-periferia, un’immagine molto amata da Papa Francesco in quanto questa
massa rappresenta quasi la metà della popolazione mondiale e con questa
moltitudine bisogna dialogare e ascoltarla, a differenza dei nostri governanti
che mettono la macroeconomia e quindi il liberalismo come risolutore di tutti i
mali, mentre la confisca o il furto della terra, l’accaparramento dell’acqua,
la fame mentre si getta il cibo, la famiglia senza tetto, la gioventù senza
lavoro, i lavoratori informali senza diritti, sono scarti visibili esclusi anche
da noi. Il Pontefice sottolinea, invece, che bisogna parlare non del “gigantismo”,
il sistema che genera i mali sociali descritti, ma dei temi concernenti la pace
e l’ecologia. Il Sommo Pontefice esorta che bisogna opporsi al sequestro della
natura che permette il ritmo frenetico dei consumi. È necessario parlare di
solidarietà come la risposta che si deve dare ai poveri “esa solidalidaridad
tan especial que existe entre los que sufren”, si tratta di una solidarietà che
significa pensare e attuare termini di comunità, di priorità di vita di tutti sull’appropriazione
dei beni da parte di alcuni. È anche necessario lottare contro le cause
strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, di terra e
della casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi. Questa solidarietà è
anche il fondamento di una ricca cultura popolare che trasforma la vita nella
periferia, creando un livello profondo di relazioni e favorendo un’integrazione
nella società. È questa la ragione fondamentale per la quale Francesco sta
facendo un appello alla Chiesa perché segua il cammino della periferia per
recuperare questa cultura e tali valori e dimenticare i centri arricchiti. Questo
appello ritengo che vada rivolto anche ai nostri governanti che ritengono il welfare
un costo che impedisce la crescita economica. Il metodo essenziale per
sviluppare questa lotta, è la cultura dell’incontro che non annulla le
particolarità, ma permette a queste di farsi conoscere e divenire parte del
tutto. Per ultimo il Papa fa appello alla rivitalizzazione della democrazia
come un frutto che potrà dare il maggior valore ai movimenti popolari. “È impossibile
immaginare un futuro per la società, senza la partecipazione come protagonista
della grande maggioranza e questo protagonismo eccede i procedimenti logici
della democrazia formale”. Anche da noi ritengo che con questo governo abbiamo
sostituito la democrazia con una forma di cesarismo elitario con la creazione
dei migliori.
La
prospettiva di un mondo di pace e giustizia duratura reclama il superamento di un
assistenzialismo paternalistico, esige di creare nuove forme di partecipazione
che includa i movimenti popolari e le anime della struttura dei governi locali,
territoriali e internazionali. Con questo torrente di energia morale che nasce
dall’anima degli esclusi si può costruire un destino comune. I poveri, i
contadini, gli indigeni hanno un loro modo di fare politica: sviluppare
l’economia popolare e fare attenzione all’ambiente, essere l’asse portante
delle relazioni umane e porre la dignità al di sopra di qualsiasi cosa.
Difendere la dignità del lavoro lottando “por la creacìon de fuentes de trabajo
digno” serve per superare l’informalità a favore dell’integrazione. Vivere bene
con la Madre Terra promovendo un’ecologia integrale. Spingere per il processo
di cambiamento come azione dei gruppi organizzati. Promuovere un’economia popolare
e sociale che riguarda la vita della comunità nella quale prevalga la
solidarietà sul lucro. Case degne: “politicas pùblicas partecipativas que
guaranticen el derecho a la vivanda, la integracion urbana de los barrios
marginados y acceso integral, al hàbitat para edificar hogares con seguritad y
dignidad”. Rifiutare il consumismo e difendere la solidarietà come progetto di
vita personale e collettiva.Il Sommo
Pontefice risponde alle accuse di utopia sostenendo che “un’economia che
accelera inconsapevolmente il ritmo della produzione, che sfrutta la madre
terra, ma contemporaneamente nega a milioni di uomini i più elementari diritti economici,
sociali e culturali, non si può chiamare economia”. Il Pontefice sottolinea che
a questa tavola della solidarietà devono sedere i rappresentanti dei movimenti
popolari e non l’élite ecclesiale e politica. Si dovrebbero sostituire
nel Consiglio dei Ministri i rappresentanti dell’élite del potere
economico con i portavoce delle categorie dei più deboli che sono la stragrande
maggioranza. C’è necessità di un cambio globale perché nessuno stato da solo
può riuscire a realizzare le famose tre “T”, opponendosi alla spinta della
guerra, della corsa agli armamenti, della violenza fratricida e della violenza
ecologica. Il Santo Padre per definire questa calamità si rifà a una
espressione di S. Francesco che le definì “lo sterco del diavolo”. “Quando il capitale
si trasforma in idolo e dirige la volontà dell’essere umano, quando l’avidità
per il denaro tutela tutto il sistema socio-economico, allora rovina la
società, condanna l’uomo, lo trasforma in schiavo, distrugge la fraternità
intra-umana, pone un popolo contro un altro popolo e mette a rischio la nostra
casa comune, la Sorella Madre Terra”. Il Papa sostiene che ci deve essere anche
un cambio interiore del cuore, altrimenti il cambiamento diviene solo esteriore
burocratizzazione che corrompe e opprime.
I movimenti popolari per giungere a questo cambiamento
devono stare a contato con la povertà, con la ingiustizia per conoscere in
prima persona la faccia di tali mali “non una fredda statistica ma la ferita
dell’umanità dolente, la nostra ferita, la nostra carne”. Questa attitudine a
dialogare con gli altri, promuove la cultura dell’incontro vissuto in maniera
sublime con i movimenti di base “questo radicamento al posto, alla Terra, all’ambiente
di lavoro è riconoscere il volto dell’altro, questo stare insieme con la
propria miseria, è l’eroismo quotidiano che ci permette di esercitare il
sentimento dell’amore, non a partire da concetti o da idee, ma da un incontro
genuino tra persone” e a ciò il Pontefice aggiunge che in questo modo si
costruisce un’alternativaumana alla
globalizzazione escludente. Per tutto ciò i Movimientos Popolaros hanno
definito il Papa come il seminatore del cambiamento. Il Sommo Pontefice
risponde alle accuse di utopia, sostenendo che “un’economia che accelera
inconsapevolmente il ritmo della produzione, che sfrutta la madre terra, ma
contemporaneamente nega a milioni di uomini i più elementari diritti economici,
sociali e culturali, non si può chiamare economia”. Affinché, dice Francesco,
l’utopismo si possa trasformare in utopia “Ci deve essere una responsabilità
comune da parte degli Stati e del popolo basata nella coscienza di “sana
indiperdencia” in questo modo si promuove una cultura dell’incontro dicendo “tal
vez porque nuestra fe es revolucionaria, perque nuestra desafìa la tiranìa del
ìdolo dinero”. Penso che anche la “globalizzazione” debba chiedere scusa
per i mali che sta causando a chi è senza potere. *dottore in Scienze per la pace