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giovedì 4 novembre 2021

LA DOTTRINA SOCIALE DEL PAPA  
di Vincenzo Valtriani*

Il papa in Amazzonia

Riprendo il commento al libro La irrupción de los movimientos populares. "Rerum Novarum" de nuestro tiempo, a cura di Guzmán M. Carriquiry Lecour, Roma, Libreria Editrice Vaticana, 2019, perché ritengo questo testo, per ciò che esprime, di una contemporaneità sorprendente.
Il Papa sottolinea che i poveri non solo subiscono l’ingiustizia ma lottano contro questa e l’impegno personale del Pontefice è quello di edificare una Chiesa in uscita e in ascolto per giungere alla periferia del nostro mondo, al contrario dei governi dei paesi occidentali che considerano questa come un fardello noioso, possibilmente da ignorare o da sopportare perché in questa parte della terra traiamo quelle ricchezze che ci consentono un progresso economico, tralasciando quello sociale. Il Santo Padre, invece, promuove il loro protagonismo in tutti i campi, rendendoli soggetti sociali attivi, protagonisti in tutti i valori, come quelli di godere dei diritti sacri come: il lavoro, la terra, il tetto a differenza di noi che, avendo un uomo solo al comando, osannato come Dio in terra, accettiamo passivamente ciò che ci viene imposto in quanto non esiste un’opposizione che è l’essenza della democrazia. Questi movimenti, che comprendono i più bassi strati sociali dell’America Latina, sono definiti “economia informale” o del “settore informale”. Questa categoria comprende tutta gli esclusi dal lavoro e, quindi, privi di possibilità economiche. Da ciò dipende la precarietà, la insicurezza, la mancanza di protezione sociale e la privazione dei diritti come conseguenza dell’informalità. Da noi vengono inclusi in questa categoria tutti i lavoratori in nero, gli extracomunitari, i senza cittadinanza che non possono godere degli aiuti per la pandemia in quanto esseri senza diritti.



Chi desidera entrare in contatto con questi desparasidos, deve uscire dal centro del sistema economico, sociale e politico per dirigersi nelle periferie, riproducendo quel cammino che Papa Francesco ha indicato dall’inizio del suo pontificato, ma il nostro governo è ben lontano da questo percorso se solo pensiamo alla discussione sul reddito di cittadinanza.
Portare, invece, le categorie di questi lavoratori poveri ed esclusi, nelle associazioni e organizzazioni per lo sviluppo, che lavorano per loro, trasforma questo incontro in un grande rinnovamento. Portare la periferia a occupare un posto centrale genera una dinamica contraria che cambia le relazioni tra cento-periferia, un’immagine molto amata da Papa Francesco in quanto questa massa rappresenta quasi la metà della popolazione mondiale e con questa moltitudine bisogna dialogare e ascoltarla, a differenza dei nostri governanti che mettono la macroeconomia e quindi il liberalismo come risolutore di tutti i mali, mentre la confisca o il furto della terra, l’accaparramento dell’acqua, la fame mentre si getta il cibo, la famiglia senza tetto, la gioventù senza lavoro, i lavoratori informali senza diritti, sono scarti visibili esclusi anche da noi. Il Pontefice sottolinea, invece, che bisogna parlare non del “gigantismo”, il sistema che genera i mali sociali descritti, ma dei temi concernenti la pace e l’ecologia. Il Sommo Pontefice esorta che bisogna opporsi al sequestro della natura che permette il ritmo frenetico dei consumi. È necessario parlare di solidarietà come la risposta che si deve dare ai poveri “esa solidalidaridad tan especial que existe entre los que sufren”, si tratta di una solidarietà che significa pensare e attuare termini di comunità, di priorità di vita di tutti sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni. È anche necessario lottare contro le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, di terra e della casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi. Questa solidarietà è anche il fondamento di una ricca cultura popolare che trasforma la vita nella periferia, creando un livello profondo di relazioni e favorendo un’integrazione nella società. È questa la ragione fondamentale per la quale Francesco sta facendo un appello alla Chiesa perché segua il cammino della periferia per recuperare questa cultura e tali valori e dimenticare i centri arricchiti. Questo appello ritengo che vada rivolto anche ai nostri governanti che ritengono il welfare un costo che impedisce la crescita economica. Il metodo essenziale per sviluppare questa lotta, è la cultura dell’incontro che non annulla le particolarità, ma permette a queste di farsi conoscere e divenire parte del tutto. Per ultimo il Papa fa appello alla rivitalizzazione della democrazia come un frutto che potrà dare il maggior valore ai movimenti popolari. “È impossibile immaginare un futuro per la società, senza la partecipazione come protagonista della grande maggioranza e questo protagonismo eccede i procedimenti logici della democrazia formale”. Anche da noi ritengo che con questo governo abbiamo sostituito la democrazia con una forma di cesarismo elitario con la creazione dei migliori.



La prospettiva di un mondo di pace e giustizia duratura reclama il superamento di un assistenzialismo paternalistico, esige di creare nuove forme di partecipazione che includa i movimenti popolari e le anime della struttura dei governi locali, territoriali e internazionali. Con questo torrente di energia morale che nasce dall’anima degli esclusi si può costruire un destino comune. I poveri, i contadini, gli indigeni hanno un loro modo di fare politica: sviluppare l’economia popolare e fare attenzione all’ambiente, essere l’asse portante delle relazioni umane e porre la dignità al di sopra di qualsiasi cosa. Difendere la dignità del lavoro lottando “por la creacìon de fuentes de trabajo digno” serve per superare l’informalità a favore dell’integrazione. Vivere bene con la Madre Terra promovendo un’ecologia integrale. Spingere per il processo di cambiamento come azione dei gruppi organizzati. Promuovere un’economia popolare e sociale che riguarda la vita della comunità nella quale prevalga la solidarietà sul lucro. Case degne: “politicas pùblicas partecipativas que guaranticen el derecho a la vivanda, la integracion urbana de los barrios marginados y acceso integral, al hàbitat para edificar hogares con seguritad y dignidad”. Rifiutare il consumismo e difendere la solidarietà come progetto di vita personale e collettiva. Il Sommo Pontefice risponde alle accuse di utopia sostenendo che “un’economia che accelera inconsapevolmente il ritmo della produzione, che sfrutta la madre terra, ma contemporaneamente nega a milioni di uomini i più elementari diritti economici, sociali e culturali, non si può chiamare economia”. Il Pontefice sottolinea che a questa tavola della solidarietà devono sedere i rappresentanti dei movimenti popolari e non l’élite ecclesiale e politica. Si dovrebbero sostituire nel Consiglio dei Ministri i rappresentanti dell’élite del potere economico con i portavoce delle categorie dei più deboli che sono la stragrande maggioranza. C’è necessità di un cambio globale perché nessuno stato da solo può riuscire a realizzare le famose tre “T”, opponendosi alla spinta della guerra, della corsa agli armamenti, della violenza fratricida e della violenza ecologica.
Il Santo Padre per definire questa calamità si rifà a una espressione di S. Francesco che le definì “lo sterco del diavolo”. “Quando il capitale si trasforma in idolo e dirige la volontà dell’essere umano, quando l’avidità per il denaro tutela tutto il sistema socio-economico, allora rovina la società, condanna l’uomo, lo trasforma in schiavo, distrugge la fraternità intra-umana, pone un popolo contro un altro popolo e mette a rischio la nostra casa comune, la Sorella Madre Terra”. Il Papa sostiene che ci deve essere anche un cambio interiore del cuore, altrimenti il cambiamento diviene solo esteriore burocratizzazione che corrompe e opprime.



I movimenti popolari per giungere a questo cambiamento devono stare a contato con la povertà, con la ingiustizia per conoscere in prima persona la faccia di tali mali “non una fredda statistica ma la ferita dell’umanità dolente, la nostra ferita, la nostra carne”. Questa attitudine a dialogare con gli altri, promuove la cultura dell’incontro vissuto in maniera sublime con i movimenti di base “questo radicamento al posto, alla Terra, all’ambiente di lavoro è riconoscere il volto dell’altro, questo stare insieme con la propria miseria, è l’eroismo quotidiano che ci permette di esercitare il sentimento dell’amore, non a partire da concetti o da idee, ma da un incontro genuino tra persone” e a ciò il Pontefice aggiunge che in questo modo si costruisce un’alternativa  umana alla globalizzazione escludente. Per tutto ciò i Movimientos Popolaros hanno definito il Papa come il seminatore del cambiamento. Il Sommo Pontefice risponde alle accuse di utopia, sostenendo che “un’economia che accelera inconsapevolmente il ritmo della produzione, che sfrutta la madre terra, ma contemporaneamente nega a milioni di uomini i più elementari diritti economici, sociali e culturali, non si può chiamare economia”. Affinché, dice Francesco, l’utopismo si possa trasformare in utopia “Ci deve essere una responsabilità comune da parte degli Stati e del popolo basata nella coscienza di “sana indiperdencia” in questo modo si promuove una cultura dell’incontro dicendo “tal vez porque nuestra fe es revolucionaria, perque nuestra desafìa la tiranìa del ìdolo dinero”.
Penso che anche la “globalizzazione” debba chiedere scusa per i mali che sta causando a chi è senza potere.
 
*dottore in Scienze per la pace