LA FINE DELLA STORIA E LA FINE DEL NOSTRO MONDO di
Franco Astengo
“Le
Monde diplomatique” nell’edizione italiana di novembre ospita un articolo di
Evelyne Pieller, “La politicizzazione della nostalgia”, sui cui contenuti vale
la pena di riflettere. L’autrice si colloca sulle tracce di Oswald Spengler e
del suo Tramonto dell’Occidente tracciando un quadro che può essere
riassunto riproducendo il “catenaccio” con cui la rivista completa il titolo
dell’articolo: “L’idea che il nostro mondo, o meglio la nostra civiltà, stia
per finire è nell’aria. E non solo a causa del cambiamento climatico, Chi
concorda con questa deplorazione, ancestrale, tende a incolpare la ragione
universalista, che separa l’uomo dal resto dei viventi e sostituisce l’inscrizione
nel concreto di una terra e di un gruppo con una democrazia astratta. Nozioni
che per alcuni non sono più appannaggio dell’estrema destra”. In
questo modo con la separazione dell’uomo dal resto dei viventi si compirebbe la
parabola della teoria della “fine della storia” che coinciderebbe con l’idea
della “fine del nostro mondo”. Da molte parti si riflette sulla diversità di
intrecci che si stanno determinando rispetto alla visione tradizionale della “teoria
delle fratture” (struttura e sovrastruttura) e si finisce concludendo che non
rimane altro che “sospirare il passato”, arrenderci all’esistente e ai dettati
imperativi della comunicazione mainstream ammettendo che “il nostro mondo è
perduto” e magari davvero “si stava meglio quando si stava peggio”. Così un
presunto progressismo si allinea alla destra all’interno di una sorta di teoria
della catastrofe. Nel
corso di questi mesi di emergenza sanitaria si è anche cercato di discutere
intorno alla possibilità di elaborare un progetto di “società sobria” intesa
proprio come soggetto di prosecuzione della storia: forse quell’eventualità
potrebbe essere già superata e un nuovo modello di vita ci sarà imposto dai
fatti e dal governo assoluto della tecnica inteso come la fine della democrazia
così come questa è stata concepita in una certa parte del mondo.
Non
possiamo e non dobbiamo permettere che la “fine del nostro mondo” coincida
appunto con la “fine della storia” confluendo in nuovo ordine del tipo di
quello descritto da Kurzweil quando prevede (per la fine di questo secolo) un “futuro
in cui le macchine intelligenti saranno umane, anche se non biologiche e
avranno corpi virtuali all’interno di realtà virtuali”. A
quel punto, secondo l’autore, gli esseri umani vivranno individualisticamente
all’interno di realtà virtuali e il destino del genere umano sarà quello della “Singolarità”. Se
vogliamo contrastare l’affermarsi definitivo dell’egemonia della forza basata
sull’esclusività del dominio della tecnologia e della conseguente
concentrazione di potere basato sul dominio dell’immateriale sul singolo bisognerà
dunque prometterci di “cercare ancora”. L’interrogativo più pressante appare
allora quello dello stabilire se saremo in grado di disegnare una nuova
collettività, un ruolo della “Cosa pubblica” (inteso come “stare assieme”):
quella che abbiamo definito “Stato” e/o “Sovranazionalità” proponendo un’alternativa,
un “socialismo della finitudine” (per André Tosel “comunismo della finitudine”)
e che adesso, senza richiamare necessariamente le “magnifiche sorti e
progressive” potremmo provare a intitolare al “socialismo dell’orizzonte”
utilizzando per definirne il pensiero d’origine l’inedita categoria dell’ “ottimismo
della ragione”. Non
servono voci figlie della catastrofe. Si può pensare di poter “cercare ancora”
per trovare vie di nuovo sviluppo per modificare le grandi storture della
modernità. Nel momento ci troviamo davanti alla necessità di un ripensamento
generale. Una riflessione rivolta al globale posta ad un livello che non
avremmo mai immaginato e che potrebbe essere indicato come “di civiltà”. Sarà
soltanto in quella dimensione, di vera e propria ridefinizione del concetto di
civiltà che si potrà rispondere a quegli “infingimenti scenici” che nascondano
il solito egoismo vorace dei più forti. Si tratta di trovare assieme la sede di
una riflessione e di ricerca di una strada utile anche per adeguare la nostra
pratica perché abbiamo disperato bisogno di ritrovare tutto il pragmatismo
necessario per affrontare le lotte del giorno per giorno che, beninteso,
continuano.