Pagine

mercoledì 10 novembre 2021

LA GABBIA DEL MASCHILISMO
di Augusto Cavadi

 
Imprigiona solo le donne? 
 
Dei femminicidi – e più in generale dei casi di violenza ai danni di donne in quanto donne – si parla ormai abbastanza. Meno, molto meno, di quell’impianto culturale, istituzionale e sociale che ne costituisce l’humus. Insomma: ci si concentra sulla punta dell’iceberg, senza preoccuparsi di analizzare la massa sommersa.
Il movimento nazionale “Maschile plurale”, nel cui alveo si riconosce anche il nostro piccolo “Gruppo noi uomini contro la violenza sulle donne a Palermo”, è impegnato invece proprio nell’analisi critica dell’ordine maschilista-patriarcale nella storia dell’Occidente: non solo per una (pur necessaria) chiarezza intellettuale, ma anche e soprattutto per una revisione delle pratiche, collettive e individuali, abitualmente più diffuse.
Schematizzando in maniera un po’ brutale per desiderio di sintesi, si potrebbero focalizzare quattro principali costellazioni di aspetti del sistema maschilista-patriarcale in cui - al di là, o meglio al di qua, di responsabilità morali soggettive – ci troviamo immersi come abitanti attuali del pianeta.
Già dal punto di vista biologico, la gravidanza, il parto, l’allattamento sono fasi della vita femminile che comportano inferiorità in caso di scontro ‘fisico’ nella coppia.
Meno appariscente, ma non meno pesante, la sperequazione subita dal genere femminile nell’ambito socio-economico: sin da bambine, le donne sono adibite a lavori domestici senza nessuna forma di retribuzione. Se decidono di lavorare fuori casa, hanno più difficoltà nell’essere assunte e più facilità nell’essere licenziate: e, nei periodi in cui sono in attività, sono costrette a “lavorare il doppio per guadagnare la metà”. È in questo contesto socio-economico che vigoreggia da secoli “il più antico mestiere del mondo”: la mercificazione del sesso viene oggi perpetrata in forme inedite e attraverso canali differenziati. La situazione non migliora dall’angolazione giuridico-culturale: per limitarci al nostro Paese, la parità dei coniugi davanti alla Legge è sancita solo nel 1975 ed è solo nel 1981 che si cancella il “delitto d’onore”. Alle donne, nonostante l’articolo 51 della Costituzione, l’accesso alla magistratura è stato concesso solo nl 1963: sino ad allora, infatti, era prevalsa la tesi di alcuni parlamentari che il ciclo mestruale le rendesse inadatte ad esercitare con obiettività la funzione giurisdizionale.
Sullo sfondo, o alla radice, di tanti pregiudizi anti-femminili dominano delle concezioni simbolico-teologiche che qualche teologa ha sintetizzato affermando: “sino a quando Dio viene concepito sempre e solo come Maschio, il maschio (non necessariamente credente, confessante, praticante) avvertirà la tentazione di concepirsi come dio”[1].


 

Sappiamo che la riflessione femminista ha indagato a fondo – e non senza inevitabili contrasti ‘interni’ – queste varie dimensioni dell’impianto maschilista-patriarcale da almeno mezzo secolo. Da alcuni decenni si sono aggregati alla ricerca diagnostica e terapeutica anche dei maschi: non solo perché animati da propositi di equità e insofferenti a ogni meccanismo strutturale violento, ma anche perché convinti (diciamo “egoisticamente”) che tale impianto danneggia almeno altrettanto gli uomini. Una società in cui le nuove generazioni non siano libere di scegliere il modello di maschilità ritenuto più congruo e debbano, passivamente, ereditare lo stereotipo tradizionale dell’uomo volitivo, dominatore, iper-produttore, virilista, anaffettivo, super-efficiente… è una società che mutila le potenzialità di relazioni felici di entrambi i generi. Per questo con i miei amici del Gruppo palermitano abbiamo voluto rilanciare, a conclusione di un nostro testo destinato soprattutto alle studentesse e agli studenti delle scuole medie di secondo grado, una pagina, di un’autrice anonima, rintracciata casualmente sul web: “Mio amato uomo, ti libero dalla storia in cui devi sempre essere il principe, il coraggioso o il soccorritore e, naturalmente, il principe azzurro. Ti libero dalla storia in cui cerchi, salvi e ami solo una principessa. Che ne dici se, invece, amassi la strega, la contadina, quella che si salva da sola, che non vive nel castello, che non è la più bella, tranne che per i tuoi occhi? […] Anche tu sei stato danneggiato e hai subìto stereotipi di coraggio, possesso e forza! Ti libero dalla storia in cui non ti è mai permesso di piangere, dove non esistono confusione, caos e sconfitta: E se tu non volessi essere l’eroe? […] Ti libero dalla storia in cui ci sono sempre mille battaglie, mostri, draghi, oscurità, e dallo slogan che tutto deve essere combattuto, che tutto è guerra e competizione. Quanto deve essere stancante essere un cavaliere in guerra per l’eternità!” [2]



 


Note
1. Cfr. A. Cavadi, L’arte di essere maschio libera/mente.
La gabbia del patriarcato, Di Girolamo, Trapani 2020, p. 64.
2. Cfr. A. Cavadi, Né Principi azzurri né Cenerentole.
Le relazioni di ‘genere’ nella società del futuro,
Di Girolamo, Trapani 2021, pp. 73 – 74.