Imprigiona solo le donne? Dei femminicidi – e più in
generale dei casi di violenza ai danni di donne in quanto donne – si parla
ormai abbastanza. Meno, molto meno, di quell’impianto culturale, istituzionale
e sociale che ne costituisce l’humus.
Insomma: ci si concentra sulla punta dell’iceberg, senza preoccuparsi di
analizzare la massa sommersa. Il movimento nazionale “Maschile plurale”, nel cui alveo si
riconosce anche il nostro piccolo “Gruppo noi uomini contro la violenza sulle
donne a Palermo”, è impegnato invece proprio nell’analisi critica dell’ordine
maschilista-patriarcale nella storia dell’Occidente: non solo per una (pur
necessaria) chiarezza intellettuale, ma anche e soprattutto per una revisione
delle pratiche, collettive e individuali, abitualmente più diffuse. Schematizzando in maniera un po’ brutale per desiderio di
sintesi, si potrebbero focalizzare quattro
principali costellazioni di aspetti del sistema maschilista-patriarcale in
cui - al di là, o meglio al di qua, di responsabilità morali soggettive – ci
troviamo immersi come abitanti attuali del pianeta. Già dal punto di vista biologico,la gravidanza, il parto, l’allattamento
sono fasi della vita femminile che comportano inferiorità in caso di scontro ‘fisico’
nella coppia. Meno appariscente, ma non meno pesante, la sperequazione
subita dal genere femminile nell’ambito socio-economico:
sin da bambine, le donne sono adibite a lavori domestici senza nessuna forma di
retribuzione. Se decidono di lavorare fuori casa, hanno più difficoltà
nell’essere assunte e più facilità nell’essere licenziate: e, nei periodi in
cui sono in attività, sono costrette a “lavorare il doppio per guadagnare la
metà”. È in questo contesto socio-economico che vigoreggia da secoli “il più
antico mestiere del mondo”: la mercificazione del sesso viene oggi perpetrata
in forme inedite e attraverso canali differenziati. La situazione non migliora
dall’angolazione giuridico-culturale:
per limitarci al nostro Paese, la parità dei coniugi davanti alla Legge è
sancita solo nel 1975 ed è solo nel 1981 che si cancella il “delitto d’onore”.
Alle donne, nonostante l’articolo 51 della Costituzione, l’accesso alla
magistratura è stato concesso solo nl 1963: sino ad allora, infatti, era
prevalsa la tesi di alcuni parlamentari che il ciclo mestruale le rendesse
inadatte ad esercitare con obiettività la funzione giurisdizionale. Sullo sfondo, o alla radice, di tanti pregiudizi anti-femminili
dominano delle concezioni simbolico-teologiche
che qualche teologa ha sintetizzato affermando: “sino a quando Dio viene
concepito sempre e solo come Maschio, il maschio (non necessariamente credente,
confessante, praticante) avvertirà la tentazione di concepirsi come dio”[1].
Sappiamo che la riflessione femminista ha indagato a fondo – e
non senza inevitabili contrasti ‘interni’ – queste varie dimensioni
dell’impianto maschilista-patriarcale da almeno mezzo secolo. Da alcuni decenni
si sono aggregati alla ricerca diagnostica e terapeutica anche dei maschi: non
solo perché animati da propositi di equità e insofferenti a ogni meccanismo
strutturale violento, ma anche perché convinti (diciamo “egoisticamente”) che
tale impianto danneggia almeno altrettanto gli uomini. Una società in cui le
nuove generazioni non siano libere di scegliere il modello di maschilità
ritenuto più congruo e debbano, passivamente, ereditare lo stereotipo
tradizionale dell’uomo volitivo, dominatore, iper-produttore, virilista,
anaffettivo, super-efficiente… è una società che mutila le potenzialità di
relazioni felici di entrambi i generi. Per questo con i miei amici del Gruppo
palermitano abbiamo voluto rilanciare, a conclusione di un nostro testo
destinato soprattutto alle studentesse e agli studenti delle scuole medie di
secondo grado, una pagina, di un’autrice anonima, rintracciata casualmente sul
web: “Mio amato uomo, ti libero dalla storia in cui devi sempre essere il
principe, il coraggioso o il soccorritore e, naturalmente, il principe azzurro.
Ti libero dalla storia in cui cerchi, salvi e ami solo una principessa. Che ne
dici se, invece, amassi la strega, la contadina, quella che si salva da sola,
che non vive nel castello, che non è la più bella, tranne che per i tuoi occhi?
[…] Anche tu sei stato danneggiato e hai subìto stereotipi di coraggio,
possesso e forza! Ti libero dalla storia in cui non ti è mai permesso di
piangere, dove non esistono confusione, caos e sconfitta: E se tu non volessi
essere l’eroe? […] Ti libero dalla storia in cui ci sono sempre mille
battaglie, mostri, draghi, oscurità, e dallo slogan che tutto deve essere
combattuto, che tutto è guerra e competizione. Quanto deve essere stancante
essere un cavaliere in guerra per l’eternità!” [2]
Note 1. Cfr. A. Cavadi, L’arte di essere maschio libera/mente. La gabbia del patriarcato, Di Girolamo, Trapani
2020, p. 64. 2. Cfr. A. Cavadi, Né Principi azzurri né Cenerentole. Le relazioni di ‘genere’
nella società del futuro, Di
Girolamo, Trapani 2021, pp. 73 – 74.