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mercoledì 10 novembre 2021

NORMALITÀ E PATOLOGIA
di Pierpaolo Calonaci

Opera di Max Hamlet Sauvage
 
Il concetto di norma è un concetto originale che non si lascia, in fisiologia più che altrove, ridurre a un concetto oggettivamente determinabile con metodi scientifici. Non si dà dunque, propriamente parlando, una scienza biologica del normale. Si dà una scienza delle situazioni e delle condizioni biologiche dette normali.
[George Canguilhem]
 
La normalità è assimilata tout court a ciò che è regolare – come conseguenza di effetti normativi - in quanto “normalizza” la vita biologica quanto quella sociale. Quale rapporto esiste tra normalità, anomalia e anormale? E rispetto a cosa si definiscono? Un’interpretazione la offre Canguilhem, storico e filosofo delle scienze biologiche e mediche del Novecento francese che, partendo dalla relazione tra normalità e patologia in fisiologia, giunge ad un’analisi socio-politica che indaga gli effetti normalizzanti del potere fascista sul corpo sociale degli individui (i contadini di allora). Canguilhem individua nel rapporto tra normalità e patologia una polarità, un dinamismo normativo intrinseco a quei due termini. Come dire, non c’è affatto bisogno di alcuno intervento esterno per definirne la relazione. Siccome l’autorità normativa ha buon gioco ad inserirsi come medium tra ogni opposizione  surrettiziamente creata,  presentandosi come potere che definisce cosa sia buono e cattivo, normale e patologico, l’analisi del filosofo evita razionalmente questo trabocchetto, suggerendo che nell’identificazione tra normalità e norma venga dissimulata la possibilità di capire chiaramente determinate condizioni fisiologiche e sociali che producono certi rapporti; cancellando, di fatto, tutte le relative contraddizioni inscritte nella storia del sintomo (in medicina), nei bisogni e nei comportamenti (come condizioni sociali di produzione di questi). “Ma una norma non è un imperativo di esecuzione sotto la minaccia di sanzioni giuridiche, è il suo monito per l’oggi. Anomalia, ricorda il pensatore, deriva dal greco an-omolos. Omalos è ciò che è unito, uguale, per cui anomalia rimanda a ciò che è diseguale o accidentato ma non in contrasto con Omalos. Per cogliere questa relazione occorrerebbe non cancellare il conflitto che essa possiede. Per qualche inganno interpretativo si è prodotto invece uno scivolamento per cui anomalia viene accostata ad anormalità, rendendo sinonimi i due termini. Sinonimia che abbisogna del nomos per tenersi in piedi, il quale però è costruito da un potere esterno. Questo slittamento etimologico è esiziale perché costruisce il senso di normalità derivante dal valore che la norma le conferisce, sradicandolo dal senso proprio che invece lo costituirebbe: quello appunto del dinamismo, tanto in fisiologia quanto sul piano dei rapporti sociali, della polarità tra disuguaglianza e uguaglianza; dove il normale non è, per capirsi, nemico del patologico.  
Quindi, questo dualismo esiste poiché viene instaurato dal regime della norma, che è surrettizio. 


Opera di Mario Bracigliano

I vari meccanismi di normalizzazione derivano da qui, giungendo ben presto a giustificare lo status quo, esemplificati dall’arbitrio del “ognuno al proprio posto”. La follia ne è l’esempio più drammatico, oserei direi proprio il topos; poiché spiega quanto la normalità veicolata dal nomos abbia operato violenza, da parte delle istituzioni mediche preposte alla “cura” del “folle”, sul piano della dignità della persona e abbia legittimato quel sistema di dominio e quell’ordine del discorso[1] che necessariamente lo accompagnò, propugnando stigma[2] sociale fino alla cancellazione dell’identità stessa dell’individuo. Foucault (nonché la denuncia della funzione sociale della medicina in un sistema capitalista formulata dai coniugi Basaglia e altri) descrisse, individuando nel metodo scientifico pensato da Cartesio, la genesi di quella follia. Quest’ultimo, nel tentativo di dare compimento e coerenza al suo modello scientifico con il quale pensare biologicamente e metafisicamente l’uomo, si trovò nell’imbarazzo di realizzare che l’uomo non è una macchina perfetta; detto meglio, che il cogito, per essere tale, necessita vitalmente dell’errore. Cartesio, per Foucault, rimosse questo errore dal metodo con cui pensava l’uomo e i suoi rapporti con la scienza e il mondo; relegando l’errore ad una zona cerebrale in cui si produrrebbe. Tutto ciò prestò il fianco (non per colpa di Cartesio, ovviamente) alla costruzione del comportamento deviante per il quale il potere della norma decide chi sia normale e chi no. Ne discesero i manicomi e un tipo di produzione normativa, espressione dell’idea di stato terapeutico-repressivo, metastasi dello stato sociale, che poterono prosperare proprio per aver avvalorato la norma quale valore scientifico. Trasformare la normalità in valore di norma assoluta e universale, significa garantire, in modo coercitivo, l’omogeneità della vita, biologica e sociale affinché ognuno, non solo rispetti il comando del “è così perché è così”, ma oltretutto non desideri ribellarsi. “Chi decide chi è normale? La normalità è un’invenzione di chi è privo di fantasia” (Alda Merini).

Note 
1. Cfr. Michel Foucault
2. Cfr. Erving Goffman