Spore,
con la presentazione di Alessandro Zaccuri e una nota di Lella Costa, è un
libro di poesie di Angelo Gaccione,narratore
e drammaturgo cosentino residente da anni a Milano, dove dirige il blog culturale
Odissea. Spore sono le cellule
riproduttrici che nei vegetali, nei funghi e nei batteri si disperdono volatili
nell’ambiente, e resistendo a condizioni avverse, generano organismi vitali. Titolo
appropriato per queste poesie molto particolari, che rivelano una loro robusta
e pungente vivacità. Nella prima sezione (Per
il verso giusto), si presentano in forma quasi epigrammatica, sferzanti
come gli aforismi dei moralisti, giocose e ironiche nei calembour linguistici, condite
talvolta da una notevole dose di civile indignazione, e addolcite più spesso da
un sentimento di solidale indulgenza. Scherza, il poeta, memore
del “lasciatemi divertire” di Palazzeschi, nelle composizioni più fresche e
briose (“C’era una volta un occhio / che aveva un solo orbo. // Vedere tutto a
metà / fu la fortuna sua”). Altrove mostra una vena irrispettosa e amaramente sarcastica
persino nella rivisitazione di brani evangelici (“Tre volte cantò il gallo / e
un uomo fu tradito. // Tre uomini furono traditi, / ma nessun gallo cantò”, “Beatiipoveriperché… /quellochelascerannodamorti/aivivinonnuocerà”, “Barabba!
Barabba!/gridavalafolla. // Èsemprel’innocenza/ chespaventaildelitto”),
oppure una velata malinconia nel commentare destini e comportamenti comuni agli
esseri umani (“Il tempo prende a tutti le misure. // Un metro o poco
più. // È tutto”, “Morì il padrone / e il cane lo
seguì. // Mai avvenne il contrario”, amarezza sempre riscattata dall’aculeus
del verso finale: “Piantòilpianto.
/Loseppellìprofondo, //volevaeliminarlo /dallafacciadelmondo. //Nacqueilsalice./Nefucontento”. Giustamente Zaccuri
avverte nel “piccolo canzoniere d’amore e di rabbia” di Angelo Gaccione una
tensione etica “sul
crinale che sta
tra attesa e memoria, tra rievocazione elegiaca delpassatoescommessacaparbiasuunfuturochetarda
ad avverarsi”. La seconda sezione del volume,La presenza dei morti, appare più distesamente
risolta e armoniosa, come nella commovente poesia iniziale: “È sorprendente
quanto siano vive, / le cose appartenute ai morti. // Non è solo il maglione, /
rimasto ripiegato sul divano, / o la vestaglia appesa alla parete. // Mio padre
la vede muoversi in giardino, / e ravvivare il fuoco del camino. // Le parla
spesso, dice, e lei risponde. / E per quanto incredibile, gli credo”. La rievocazione dei cari che non vivono più
non ha nulla di retorico, ma dichiara tutta la propria affettuosa riconoscenza
per il bene da loro ricevuto, nella consapevolezza che amore, amicizia e
rispetto verranno conservati per sempre, e tramandati in chi ci succederà. “Ho consegnato il testimone a te, figlia, /
e mi ricorderai. // Tu lo hai consegnato alla tua, / e ti ricorderà”.