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sabato 13 novembre 2021

SPIGOLANDO L’ANTOLOGIA PALATINA
di Paolo Vincenti

 
Spesso i classicisti, specie i grecisti e i latinisti, di fronte alla poesia contemporanea hanno un moto di riprovazione dovuto ad una presunta superiorità della letteratura del passato rispetto ai “balbettuzzi” pseudo sperimentali dei moderni, ed essi si astengono dal giudizio dichiarandosi incompetenti in materia. In realtà, lungi da una professione di modestia, la loro è una malcelata alterigia, derivante dal noblesse oblige della loro formazione classica, dalla presunzione cioè di esser parte di una aristocrazia culturale dalla quale i modernisti sarebbero esclusi. Ciò non capita solo in ambiti accademici e scientifici, ma anche a livelli molto più bassi, quando uno che semplicemente abbia frequentato il liceo classico si erga, a volte sfacciatamente, al di sopra di chi abbia invece frequentato, per esempio, un istituto tecnico o professionale, e lo guardi con sufficienza per il semplice fatto che egli non possegga il latino e il greco. Certo, un simile sciovinismo può essere fastidioso, davvero impossibile da sopportare anche per chi, come il sottoscritto, abbia formazione classica. E tuttavia basta che un qualsiasi lettore, pure fra i meno attrezzati, si metta a leggere qualche passo dei classici greci e latini, perché subito venga colto, non dico dal dubbio che quanto i classicisti i di cui sopra vanno sostenendo sia vero, ma dalla consapevolezza che la letteratura del passato possa reggere degnamente il confronto con quella moderna e contemporanea. Sol che si leggano i classici in greco o latino, o almeno con testo a fronte, ci si accorge della loro bellezza e della piacevolezza e dell’arricchimento interiore e, insomma, continuando a leggere, alla fine scatta la dipendenza, e ci si ritrova senza volerlo a ripetere a sé stessi l’abusato luogo comune: “i classici hanno detto già tutto”.