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venerdì 26 novembre 2021

L’OPINIONE
di Carmine Scavello

 

Massacro di donne e chiacchiere istituzionali.
     
Il fenomeno della violenza sulle donne è molto complesso e richiede interventi alla radice, facendo capire il concetto fondamentale di non fare agli altri ciò che gli altri non vorresti facessero a te. L’importante è non abbassare la guardia e non togliere i riflettori sui tanti fatti criminali di cronaca che mietono molte vittime a livello fisico, psicologico e morale. Ai tanti violenti occorrerebbe riservare la stessa violenza per far capire cosa si prova e denunciarli pubblicamente per farli riflettere sul loro comportamento disdicevole al di fuori delle regole del buon vivere civile, umano e cristiano; ma, poi, si combatterebbe la violenza usando violenza. Però, quando ci vuole, ci vuole con i sordi di comprendonio!
La punizione dovrebbe avere - in teoria - lo scopo educativo, se servisse a qualcosa; altrimenti, il monito “occhio per occhio e dente per dente” è contemplato anche nelle Sacre Scritture. Le mele marce non possono convivere con quelle sane; l’emulazione verso il basso costa meno fatica e trova più seguaci, pronti a copiarsi a vicenda. Se poi ci mettiamo i controlli e le punizioni all’acqua di rose questi sistemi non sono dissuasori convincenti a farli rientrare nei ranghi del buon vivere civile e rispettoso della vita umana e della dignità della persona.
L’educazione è importante, ma tra la teoria e la pratica c’è un abisso. L’emulazione, purtroppo, è una causa; le pene spesso non sono adeguate e non sono un deterrente molto persuasivo. Bisognerebbe lavorare sulla prevenzione e spegnere sul nascere ogni piccolo focolaio e vigilare su certi comportamenti, magari insignificanti all’inizio, ma che, poi, risulteranno determinanti su un incipit della violenza. Anche le parole offensive e a sproposito sono armi micidiali e possono uccidere nel morale fino a togliere la dignità e a far sentire un verme la vittima di turno.
L’atto violento non è mai subitaneo, si perpetua nel tempo; all’inizio si dà poca importanza al fenomeno e si pensa a una piccola mancanza di rispetto e si giudica involontaria o passeggera. Magari si chiede scusa alla prima mancanza di rispetto, ma poi le offese diventano un’abitudine e quelle scuse non vengono più pronunciate. A questo punto, ormai la vittima è in balia dell’offensore e non le resta che correre ai ripari, se pur tardivi.  
Col senno di poi, è proprio da lì che bisognerebbe partire e soffocare così sul nascere l’inizio della violenza. L’uomo diventa irascibile, possessivo e geloso e tratta la donna come una sua proprietà: si instaura una tensione palpabile. La donna si sente controllata attraverso la limitazione della libertà. L’uomo rompe gli oggetti di casa e il timbro della voce non è più dolce; cominciano gli spintoni e si torcono le braccia per far capire chi comanda e chi ubbidisce. Poi, egli passa a chiedere perdono, ma è solo un momento passeggero come una tregua. I veri guai cominciano quando la donna decide di interrompere il rapporto amoroso; l’uomo perde la testa e la sopprime perché non vuole perderla: dev’essere solo sua o di nessuno!
Comunque le donne non sono lasciate sole quando hanno il coraggio di denunciare la violenza; non mancano i centri antiviolenza; ci sono il telefono rosa e il supporto delle forze dell’ordine, pronte a intervenire. Ma spesso la paura è un deterrente a non denunciare il violento, sapendo che i tempi della giustizia sono molto lunghi e quegli uomini che dovrebbero essere da tutt’altra parte spesso incrociano la strada delle vittime designate e l’incontro non è mai pacifico. Chiudo con una frase che fa molto riflettere: “Chi ha paura della violenza non denuncia e muore tutti i giorni o la sua vita continua in un inferno; chi non ha paura della violenza denuncia e non muore mai o gli cambia la qualità della vita”.