Massacro di donne e chiacchiere istituzionali. Il
fenomeno della violenza sulle donne è molto complesso e richiede interventi
alla radice, facendo capire il concetto fondamentale di non fare agli altri ciò
che gli altri non vorresti facessero a te. L’importante è non abbassare la
guardia e non togliere i riflettori sui tanti fatti criminali di cronaca che
mietono molte vittime a livello fisico, psicologico e morale. Ai tanti violenti
occorrerebbe riservare la stessa violenza per far capire cosa si prova e denunciarli
pubblicamente per farli riflettere sul loro comportamento disdicevole al di
fuori delle regole del buon vivere civile, umano e cristiano; ma, poi, si
combatterebbe la violenza usando violenza. Però, quando ci vuole, ci vuole con
i sordi di comprendonio! La
punizione dovrebbe avere - in teoria - lo scopo educativo, se servisse a
qualcosa; altrimenti, il monito “occhio per occhio e dente per dente” è
contemplato anche nelle Sacre Scritture. Le mele marce non possono convivere
con quelle sane; l’emulazione verso il basso costa meno fatica e trova più
seguaci, pronti a copiarsi a vicenda. Se poi ci mettiamo i controlli e le
punizioni all’acqua di rose questi sistemi non sono dissuasori convincenti a farli
rientrare nei ranghi del buon vivere civile e rispettoso della vita umana e
della dignità della persona. L’educazione
è importante, ma tra la teoria e la pratica c’è un abisso. L’emulazione,
purtroppo, è una causa; le pene spesso non sono adeguate e non sono un
deterrente molto persuasivo. Bisognerebbe lavorare sulla prevenzione e spegnere
sul nascere ogni piccolo focolaio e vigilare su certi comportamenti, magari
insignificanti all’inizio, ma che, poi, risulteranno determinanti su un incipit
della violenza. Anche le parole offensive e a sproposito sono armi micidiali e
possono uccidere nel morale fino a togliere la dignità e a far sentire un verme
la vittima di turno. L’atto
violento non è mai subitaneo, si perpetua nel tempo; all’inizio si dà poca
importanza al fenomeno e si pensa a una piccola mancanza di rispetto e si
giudica involontaria o passeggera. Magari si chiede scusa alla prima mancanza
di rispetto, ma poi le offese diventano un’abitudine e quelle scuse non vengono
più pronunciate. A questo punto, ormai la vittima è in balia dell’offensore e
non le resta che correre ai ripari, se pur tardivi. Col
senno di poi, è proprio da lì che bisognerebbe partire e soffocare così sul
nascere l’inizio della violenza. L’uomo diventa irascibile, possessivo e geloso
e tratta la donna come una sua proprietà: si instaura una tensione palpabile.
La donna si sente controllata attraverso la limitazione della libertà. L’uomo rompe
gli oggetti di casa e il timbro della voce non è più dolce; cominciano gli
spintoni e si torcono le braccia per far capire chi comanda e chi ubbidisce.
Poi, egli passa a chiedere perdono, ma è solo un momento passeggero come una
tregua. I veri guai cominciano quando la donna decide di interrompere il
rapporto amoroso; l’uomo perde la testa e la sopprime perché non vuole
perderla: dev’essere solo sua o di nessuno! Comunque le donne non sono lasciate sole quando hanno
il coraggio di denunciare la violenza; non mancano i centri antiviolenza; ci
sono il telefono rosa e il supporto delle forze dell’ordine, pronte a
intervenire. Ma spesso la paura è un deterrente a non denunciare il violento,
sapendo che i tempi della giustizia sono molto lunghi e quegli uomini che
dovrebbero essere da tutt’altra parte spesso incrociano la strada delle vittime
designate e l’incontro non è mai pacifico. Chiudo con una frase che fa molto
riflettere: “Chi ha paura della violenza non denuncia e muore tutti i giorni
o la sua vita continua in un inferno; chi non ha paura della violenza denuncia
e non muore mai o gli cambia la qualità della vita”.