Ogni giorno si legge sui
giornali di violenza sulle donne, una violenza fatta da estranei, ma forse
anche di più da familiari fra le mura domestiche. È una mattanza le cui cause
sono quasi sempre da ricercare in un malcelato modo di concepire, da parte dell’uomo,
il rapporto con la donna, che troppo spesso è vista come bene di possesso, come
soggetto che, una volta conquistato, perde ogni diritto ad autodeterminarsi
soprattutto dal punto di vista dei sentimenti malamente vissuti. In questo
modo, anche nel caso in cui l’uomo è mafioso la donna, che è vicina a lui come
moglie, amante, fidanzata o figlia, dovrà condividerne ogni scelta, ogni valore
o disvalore, ogni amicizia o inimicizia, diversamente è destinata a pagarne le
conseguenze anche con la morte. Personalmente, dopo avere speso oltre
quant’anni nella scuola a fianco dei giovani, ritengo che buona parte di questo
maschilismo dilagante dipenda dall’assenza totale di educazione sentimentale
nell’atto formativo a partire dalla scuola primaria fino a quella secondaria di
secondo grado. Ma anche nella famiglia e nelle altre istituzioni formative,
come la Chiesa, l’educazione sentimentale non ha mai trovato spazio e, per così
dire, diritto di cittadinanza. Nella scuola italiana si parla di tutto, anche
di sesso degli angeli, ma mai e poi mai di educazione sentimentale, qualche
docente, che di volta in volta ha provato a farlo, è finito sulla graticola e
ha rischiato di rimetterci non solo il posto ma anche la galera. Le stesse
famiglie di fatto hanno sempre preferito che i loro figli scoprissero il sesso
e discutessero di sentimenti non nelle aule scolastiche con personale
specializzato, come medici, docenti di scienze, psicologi o pedagogisti, ma di
nascosto da soli, o con i coetanei in congreghe non sempre raccomandabili, oggi
sempre più guidate dalle perigliose strade del piccolo schermo del cellulare. Attraverso
quest’ultimo i giovani di ogni età, senza alcun sostegno, vengono a contatto
con realtà virtuali allettanti ma troppo spesso terribilmente deleterie,
distruttive di ogni sano costume morale ed etico. In quel piccolo schermo,
così, l’educazione sentimentale, di cui certamente è parte integrante anche la
dimensione sessuale, invece di diventare culto della bellezza che, come
affermava Dostoevskij, può salvare il mondo, rischia invece di trasformarsi in
disvalore, che rende l’uomo schiavo dell’edonismo ad ogni costo, un uomo pronto
ad utilizzare qualsiasi strumento pur di raggiungere i suoi scopi e a trattare
gli altri come mezzi. In questa logica aberrante, inevitabilmente la donna
viene percepita non più come soggetto di pari diritti, ma come strumento da
utilizzare per raggiungere il piacere, oggetto da distruggere quando si oppone
e si rifiuta di obbedire. A questo stato di cose, che si configura ormai come
un assurdo pedagogico nell’atto educativo dei nostri giovani, ha contribuito e
contribuisce, credo, anche una certa chiusura ideologica del cattolicesimo
nostrano più bigotto, che ha sempre arricciato il naso e fatta la voce grossa
ogni volta che da qualche parte si è proposta nelle scuole l’educazione
sentimentale come disciplina curriculare. E allora è lecito chiedersi: a quando
la risoluzione del problema di fronte al brutto, all’orribile spettacolo della
violenza quotidiana contro la donna? Perché non si vuole capire che essa è
soprattutto una questione culturale, che riguarda la formazione di base
dell’uomo, una questione che non può ulteriormente essere affrontata con il
ricorso alla sola, sterile condanna del reato, perché la condanna viene
applicata solo quando già il reato è stato irrimediabilmente consumato.