Sempre più spesso, negli ultimi tempi, frequentando tabacchi e
bar (di più nei primi, dal momento che i secondi hanno subito le gravi
limitazioni imposte dal covid e sono stati fra gli esercizi commerciali
maggiormente vessati dalla “decretazione emergenziale”), incontro donne in età
chine sul banco, monetina in pugno, a raschiare i tagliandini del gratta e
vinci e a giocare compulsivamente numeri del Lotto o delle mille altre lotterie
italiane. Prima della pandemia, erano di più gli uomini che, affetti dalla
febbre del gioco, occupavano gli angusti e bui spazi del retrobottega destinati
da bar e pub alle infernali macchinette succhiasoldi. Mi capitava di incrociare
le loro terga mentre consumavo il caffè al banco oppure i loro sguardi
inespressivi mentre mi dirigevo nella toilette di cui questi ciechi locali
molto spesso fanno da anticamera. Ora, così mi pare, sono di più le esponenti
del gentil sesso. In ogni caso, l’emergenza ludopatia ha assunto proporzioni
davvero allarmanti. La dipendenza dal gioco, di cui secondo alcuni dati soffre
il 3 % della popolazione nazionale, è significativa per un popolo come il
nostro che affida ad un terno, un ambo, insomma ai numeri, la svolta, il
jackpot della propria mediocre o insoddisfatta esistenza.La
febbre dell’azzardo ha contagiato tutti. Addirittura nelle Marche c’è una
cittadina nel Fermano, Porto San Giorgio, che detiene il record di 2700 euro a
testa per un totale di 43 milioni all’anno in slot. L’azzardo è una grande
piaga, se consideriamo che è intrecciato sempre con la malavita. Le grandi sale
di bingo e slot sono gestite dalle organizzazioni criminali attraverso i
piccoli imprenditori locali che ne fanno da testa di ponte e questi ritrovi
sono spesso anche piazze di spaccio perché dove si creano concentrazioni di
adolescenti, giovani e giovinastri persi dietro alla loro deriva, si annidano
anche gli sciacalli che gli vendono la roba. Dunque, un circolo vizioso. A voler
allargare lo sguardo, molto italiane in effetti sono alcune forme di dipendenza
come quella dalla droga, quella dal sesso e quella dal gioco. La pornografia,
attraverso Internet, è diventata una vera e propria ossessione negli ultimi
anni e ben simboleggia il clima di neo- decadenza in cui si dissolve la perdita
di ogni valore e punto di riferimento. Viene equiparata alla tossicodipendenza,
indotta da sostanze chimiche endogene, rilasciate dall’organismo di fronte alle
immagini stimolanti del porno, nel recente libro di Mark B. Castleman e Tullio
DeRuvo, L'ultima droga. La pornografia su
Internet e il suo impatto sulla mente (Il Grande Noce, 2016). Gli autori
indicano i pericoli che possono derivare da questa psicopatologia, in primis
per i bambini, nelle forme della pedofilia, ma anche per le donne, che possono
diventarne vittime come donne oggetto, e per gli uomini, che diventano
nevrotici compulsivi alienati. “La pornografia alimenta il crimine”, affermano
gli autori, “il porno è un killer silenzioso”. Del tutto italiane, anzi
italiote, sono alcune forme regressive di perversioni sessuali, determinate dal
consumismo e dalla mercificazione, le degenerazioni di questa sorta di
pansessualismo, per dirla con Freud, o di “pansessualità”, secondo le teorie di
Mario Mieli nei suoi Elementi di critica
omosessuale. Esse sono: l’esibizionismo, il voyeurismo, il feticismo, il
sadomasochismo e appunto la pedofilia. Del pari, insidiosa è la dipendenza da
stupefacenti; ma quello della droga è in verità un business mondiale e talmente
potente che vane sono state fino ad oggi le strategie adottate dai vari
governi, e la lotta contro l’uso e il commercio della sostanza si è rivelata
inefficace, una battaglia persa, insomma. “Povero il paese”, mi viene da dire,
parafrasando Bertolt Brecht, “che ha bisogno di gratta e vinci, lotterie e
youporn”.