Quante volte ho indugiato con lo
sguardo verso la facciata dell’Università degli Studi di Milano, la Ca’ Granda,
con le sue innumerevoli colonne, i suoi archetti, le sue bifore, i suoi tondi
da cui sporgono busti di santi e di personaggi di ogni genere. Ne ho annotati
complessivamente 179 fra quelli sopravvissuti, se i miei poveri occhi non mi
hanno ingannato. In uno dei pennacchi del lato destro, precisamente sotto la
colonna ottava del loggiato contando dal fondo, arrivando dal Vicolo Santa
Caterina, per intenderci, ho scoperto un busto di donna a seno nudo.
Il tondo col nudo
Può
apparire singolare fra tanti santi e austeri uomini di chiesa: c’è la statua di
Ambrogio che “leva in alto il pugno chiuso” (in verità nella mano ora vuota,
doveva brandire qualcosa: forse uno scettro vescovile) e c’è quella di Carlo
Borromeo che quanto a severità di costumi non scherzava. Ma qui si tratta di un
antico ospedale, e in ospedale il corpo è sempre stato esposto allo sguardo di
chi se ne doveva prendere cura. Dimenticatevi però un seno alla Fornarina
di Raffaello; il seno nudo e gonfio della donna di questo busto, fa pensare più
a una balia, ad un simbolo di maternità. Ma può darsi che io mi sbagli e che in
realtà raffiguri una santa. Di sante sono digiuno, ma di Madonne che allattano
dipinte dagli artisti ne conosco diverse, a cominciare da quella del
Lorenzetti, di Murillo, di Ferrari, di Verrocchio… Una mi è rimasta in mente in
maniera prepotente, quella del pittore francese Jean Fouquet compresa nella
tavola nota come Dittico di Melun. Raffigura una Madonna del latte
con un vitino da modella, un seno turgido e in rilievo come quello delle donne
siliconate di oggi. La sua carnagione è così bianca che fa pensare davvero al
colore del latte. La pitturabizantina, in particolare, è piena di madonne col Bambino
attaccato al seno. Il termine greco Γαλακτοτροφούσα (galaktotrophousa nel
nostro alfabeto) connota questa tradizione. Come si vede contiene la parola
latte. Il prezioso alimento della vita.