Gli
scrittori e le città
LA MIA CITTÀ
di
Angelo Gaccione
Scorcio della città di notte
Acri. Comunione con le ombre e con le cose.
Da dove cominciare non saprei:
qual è per davvero la mia città? Alcuni anni fa ho scritto ed annotato su un
piccolo taccuino questa breve considerazione: “L’emigrazione fa dello
scrittore uno sradicato. Egli non mette radici da nessuna parte”. Il luogo
dove sono nato mi è appartenuto per pochissimi giorni e dunque non dev’essersi
impresso nulla in me, se è vero quanto sostiene la pediatria che i neonati
vedono offuscato e sono praticamente miopi. Un alone confuso del viso di mia
madre, la palla del suo seno a portata di bocca, forse solo questo e poco altro.
Viuzza del centro storico
Dove sono cresciuto e maturato, invece, non c’è angolo in cui non abbia posato i piedi; non c’è muro, strada, anfratto, anche il più nascosto, che io non conosca. Tutto questo accumulo di memoria compone di per sé una città. Le storie che ho ascoltato, i fatti, gli eventi lieti o dolorosi, le facce, gli odori, i colori, i sapori, sono una città. Ed è una città la lingua che ho appreso in quel luogo e che non mi ha più abbandonato. Da questo punto di vista si può appartenere solo ad una città e a nessun’altra, per sempre, e dunque dovrei sentirmi sicuro.
La chiesa dell'Annunziata
Ma da tempo, da molto tempo, quella città è stata trasfigurata ai miei occhi e continua a trasfigurarsi perché nelle storie che vado inventando per me, aggiungo sempre nuovi innesti, nuovi strati, tanto che l’unica cosa che resta veramente immutata è la vastità del suo ineguagliabile cielo. Creo viali alberati dove non sono mai esistiti, innalzo colonne ed archi, predispongo fondali, colloco fontane di ogni foggia e stile persino negli spazi più improbabili. Càlamo scorre robusto e limpido scrosciando sotto le arcate di ponti imponenti dove nuotano allegri e scanzonati gruppi di ragazzi. Comitive di uomini e donne si incontrano in piazze armoniose e prive di rumori dove sostano amabilmente a conversare, e dai bar gli aromi dei caffè effondono il loro profumo intenso e stordente in ogni dove.
Gian Battista Falcone
Alle volte mi accade di vedere Gian Battista Falcone
scendere dal suo piedistallo di marmo, togliersi il moschetto dalle spalle,
rinfoderare la spada e, percorrendo la lunga gradinata di via Sprovieri,
inerpicarsi fino alla povera torre del Castello. Una torre misera, una specie
di tozza botte di cemento, ma che si fa perdonare quando l’orologio caricato a
pietra batte nitide le ore. O quando al tramonto il cocuzzolo di Padìa si
incendia di colori incredibili e lei pare assisa sopra un trono. Acquista tutto
il suo fascino d’inverno quando la neve la imbianca e la inargenta, e allora dà
davvero il meglio di sé. Ma chi non l’ha vista avvolta da una nuvola di nebbia dalla
luce rarefatta e grigia che sale dal Mucone e la coglie alle spalle, ignora la
sua regalità. Pare una creatura che stia emergendo dal sogno di un tempo
lontano, che si stia sciogliendo da un lungo torpido incantesimo. Non si spiega
altrimenti il fatto che ogni volta che ciò accade, venga fotografata come fosse
una diva.
Il borgo di Padìa nella nebbia
Ad un polo opposto della città, le cupole
della Basilica sono visibili quasi da ogni punto, e quando l’azzurro raggiunge
l’intensità che in nessun altro luogo è possibile, si capisce fino in fondo di quale
immenso miracolo la natura ci ha beneficati. Per il resto qualche raro decaduto
blasone, ora che né principe né notabile vi soggiorna.
Non c’è ritorno facile quando si è stati
sradicati così a lungo; da tempo io non vado nella mia città che alla ricerca
di morti, di case in rovina, di vite dissolte, di luoghi desolati dove non c’è che
vuoto e silenzio. È l’unica comunione possibile: con le ombre e con le cose. Con
i vivi no, la loro nuova lingua mi è divenuta estranea come il loro agire,
simili in tutto a quanto sento avverso. Diventati della medesima sostanza di
chi pensa come vive, come accade quasi dappertutto.
Resto di un affresco
Chiesa dell'Annunziata
Si sono fatti più rari i nostri incontri, è vero. Ma il nome della
mia città io non l’ho tradito, e del mio non si dovrà vergognare.
Chiesa dell'Annunziata
[Milano, 17 - 20 dicembre 2021]