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lunedì 20 dicembre 2021

Gli scrittori e le città
LA MIA CITTÀ
di Angelo Gaccione
 

Scorcio della città di notte

Acri. Comunione con le ombre e con le cose.
 
Da dove cominciare non saprei: qual è per davvero la mia città? Alcuni anni fa ho scritto ed annotato su un piccolo taccuino questa breve considerazione: “L’emigrazione fa dello scrittore uno sradicato. Egli non mette radici da nessuna parte”. Il luogo dove sono nato mi è appartenuto per pochissimi giorni e dunque non dev’essersi impresso nulla in me, se è vero quanto sostiene la pediatria che i neonati vedono offuscato e sono praticamente miopi. Un alone confuso del viso di mia madre, la palla del suo seno a portata di bocca, forse solo questo e poco altro. 


Viuzza del centro storico

Dove sono cresciuto e maturato, invece, non c’è angolo in cui non abbia posato i piedi; non c’è muro, strada, anfratto, anche il più nascosto, che io non conosca. Tutto questo accumulo di memoria compone di per sé una città. Le storie che ho ascoltato, i fatti, gli eventi lieti o dolorosi, le facce, gli odori, i colori, i sapori, sono una città. Ed è una città la lingua che ho appreso in quel luogo e che non mi ha più abbandonato. Da questo punto di vista si può appartenere solo ad una città e a nessun’altra, per sempre, e dunque dovrei sentirmi sicuro. 


La chiesa dell'Annunziata

Ma da tempo, da molto tempo, quella città è stata trasfigurata ai miei occhi e continua a trasfigurarsi perché nelle storie che vado inventando per me, aggiungo sempre nuovi innesti, nuovi strati, tanto che l’unica cosa che resta veramente immutata è la vastità del suo ineguagliabile cielo. Creo viali alberati dove non sono mai esistiti, innalzo colonne ed archi, predispongo fondali, colloco fontane di ogni foggia e stile persino negli spazi più improbabili. Càlamo scorre robusto e limpido scrosciando sotto le arcate di ponti imponenti dove nuotano allegri e scanzonati gruppi di ragazzi. Comitive di uomini e donne si incontrano in piazze armoniose e prive di rumori dove sostano amabilmente a conversare, e dai bar gli aromi dei caffè effondono il loro profumo intenso e stordente in ogni dove.


Gian Battista Falcone

Alle volte mi accade di vedere Gian Battista Falcone scendere dal suo piedistallo di marmo, togliersi il moschetto dalle spalle, rinfoderare la spada e, percorrendo la lunga gradinata di via Sprovieri, inerpicarsi fino alla povera torre del Castello. Una torre misera, una specie di tozza botte di cemento, ma che si fa perdonare quando l’orologio caricato a pietra batte nitide le ore. O quando al tramonto il cocuzzolo di Padìa si incendia di colori incredibili e lei pare assisa sopra un trono. Acquista tutto il suo fascino d’inverno quando la neve la imbianca e la inargenta, e allora dà davvero il meglio di sé. Ma chi non l’ha vista avvolta da una nuvola di nebbia dalla luce rarefatta e grigia che sale dal Mucone e la coglie alle spalle, ignora la sua regalità. Pare una creatura che stia emergendo dal sogno di un tempo lontano, che si stia sciogliendo da un lungo torpido incantesimo. Non si spiega altrimenti il fatto che ogni volta che ciò accade, venga fotografata come fosse una diva.


Il borgo di Padìa nella nebbia

Ad un polo opposto della città, le cupole della Basilica sono visibili quasi da ogni punto, e quando l’azzurro raggiunge l’intensità che in nessun altro luogo è possibile, si capisce fino in fondo di quale immenso miracolo la natura ci ha beneficati. Per il resto qualche raro decaduto blasone, ora che né principe né notabile vi soggiorna.



La Basilica dei Cappuccini

Non c’è ritorno facile quando si è stati sradicati così a lungo; da tempo io non vado nella mia città che alla ricerca di morti, di case in rovina, di vite dissolte, di luoghi desolati dove non c’è che vuoto e silenzio. È l’unica comunione possibile: con le ombre e con le cose. Con i vivi no, la loro nuova lingua mi è divenuta estranea come il loro agire, simili in tutto a quanto sento avverso. Diventati della medesima sostanza di chi pensa come vive, come accade quasi dappertutto.


Resto di un affresco
Chiesa dell'Annunziata

Si sono fatti più rari i nostri incontri, è vero. Ma il nome della mia città io non l’ho tradito, e del mio non si dovrà vergognare.


[Milano, 17 - 20 dicembre 2021]