Avventurosa
è la percezione di una Pace non priva di contraddizioni nei secoli.
La
parola Pace è comunemente intesa come "assenza di conflitti", a
partire dagli ambienti familiari, è l'aspirazione a una quiete senza ansie, il
leopardiano «e il naufragar m'è dolce in questo mare»; è la parola più
frequentemente impressa in lingua italiana e latina su tombe e monumenti
funebri, sotto i quali ogni essere umano ha raggiunto la fine delle angosce,
delle lotte, delle amarezze, delle travolgenti gioie della vita. Una pace
passiva; è, dunque, sia trionfo dell'egoismo e dell'inerzia, ma anche
esaltazione dell'altruismo e della generosità nel caso di una rinuncia pacifica
all'autoreferenzialità. Pace è talvolta una generica proclamazione del nulla.
Pensiamo agli iridati tessuti di borse e valigie, alle bandiere arcobaleno
pendenti dalle finestre di case e balconi al tempo della guerra in Iraq
(2002-2003) con al centro la scritta PACE, lasciate pian piano sbiadire prima
della decisione individuale/collettiva di toglierle. Cosa
intendevano coloro che le avevano appese? Chi pensava al mito di Iride? Chi al
ponte variopinto tra Dio e l'umanità? Pace significava essere uniti nel dire NO
a una guerra lontana, a indicare (ma non tutti consapevolmente) da che parte si
stava; soprattutto auspicare per sé stessi e i propri familiari una vita
"sicura", come se lo stendardo della pace fungesse da amuleto e
potesse servire a tener lontani gli appetiti violenti, le aggressioni alla propria
abitazione. Ma "Un mondo di pace" significa anche un mondo in cui
tutti/e abbiano cibo e lavoro nella giustizia sociale; a questo tendono i
gruppi di volontari, a casa nostra e nel mondo, uomini e donne, ragazzi e
ragazze che impegnano la propria vita nell'educazione dei bambini,
nell'assistenza agli anziani, e, in questi anni recenti, nell'accoglienza dei
migranti; ma anche volontari e volontarie che si scontrano su terreni di guerra
mettendo a rischio la propria vita per un sogno.
Il sogno di un mondo di pace. Sono
costoro una netta minoranza. La stragrande maggioranza della popolazione, a
partire dai più giovani, intreccia oggi la pace con l'emergenza climatica e il
rispetto per l'ambiente: battaglie ideali che affascinano come sull'orlo di un
precipizio. Non trovano, però, riscontro in una quotidianità fatta di abitudini
consolidate che mettono a repentaglio una pace vagheggiata, sì, ma contrastata
quotidianamente dalle politiche di governi protesi alla conservazione del
potere, da una parte, e volte, dall’altra, ad assecondare al meglio le
aspettative dei propri cittadini, aspiranti, in verità, solo a un maggiore
benessere, incuranti delle conseguenze, in primis l'inquinamento, che mettono a
forte rischio la sostenibilità del pianeta.
Qui
sta la grande contraddizione. I sistemi adottati dagli Stati nel mondo
globalizzato restano gli stessi di sempre. «Si vis pacem para bellum» si diceva
a Roma alla vigilia della caduta dell'Impero Romano d'Occidente. L'uso delle
armi, la cui vendita è oggi moltiplicata al parossismo, serve a essere sempre
pronti a proseguire nella direzione del possesso di beni e dello sfruttamento
di popolazioni, ciò che ha contribuito allo sviluppo delle nostre società nella
direzione che oggi i sostenitori della green
economy contestano, pur non essendo in grado di opporre le necessarie
rinunce a livello individuale. Un
esempio lampante è l'incendio delle foreste dell'Amazzonia, che consente la
prosecuzione della direzione intrapresa dai poteri forti mondiali. Troppo
flebili sono le voci nel mondo dei gruppi che si oppongono. La
Pace è stata storicamente il prodotto di guerre. La
famosa pax augustea ne è la
rappresentazione. Le
"orrende" armi tacciono quando si stende la "pace" sulle
migliaia di morti, sui viventi che hanno perso le proprie case, suoi luoghi
cari passati in mano nemica, sulle leggi dettate dallo Stato vincente: una
"pace subìta" dai vinti, che porta in sé il germe della ribellione,
una "pace proprietà esclusiva" dei vincitori, pronti a gestirla con
le proprie modalità. Così è stato sempre.
Come
superare la contraddizione lacerante tra una pace intesa come "serenità
individuale" e l'astrattezza del concetto quando si passa al piano della
"pace bene comune", ovunque proclamata, ma lungi dall'essere
praticata? Alcune
delibere ONU ci vengono in aiuto, a partire dalla celebre risoluzione 1325 del
2000 «Donne, Pace, Sicurezza», epigono di varie altre risoluzioni sui «Diritti
delle Donne e della Pace». La
Pace finalmente nel suo autentico connotato. L'obiettivo
è la formazione di una generazione in grado di "gestire la pace",
senza tabù, in un clima di laicità, in cui le diversità non siano da
respingere, le armi convenzionali e nucleari siano il nemico da distruggere, la
green economy non sia un finto
stratagemma, la parola Pace non significhi nascondere la testa sotto la sabbia
o sventolare vessilli di facciata ma la fucina dove forgiare gli strumenti per
una reale pacifica convivenza a partire dai territori in cui si vive. *Wilpf
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