SPIGOLATURE
di
Angelo Gaccione
Massimo Arrigoni
(foto di Daniele Ferroni)
Teatro
da camera.
Ci eravamo persi di vista da un lungo
arco di tempo, con Massimo Arrigoni, e improvvisamente una telefonata e un
libro (Teatro da camera e altri poemi, La Vita Felice ed. 2021) mi
ricordano che da quella esperienza sono passati più di trent’anni. Si tratta di
quella che allora fu considerata una vera e propria sfida all’editoria
italiana: obbligare gli scrittori a mettersi alla prova inviando i loro dattiloscritti
ad un notaio in forma anonima o con uno pseudonimo, sarebbe stato il solo a
conoscerne la vera identità. Il notaio avrebbe consegnato i lavori alla
Redazione che li avrebbe distribuiti in lettura ad un comitato altrettanto
anonimo per verificarne la qualità. I dattiloscritti meritevoli sarebbero stati
pubblicati con lo pseudonimo suggerito al notaio dall’autore che avrebbe
stipulato con lui il contratto, e solo dopo tre anni la Casa editrice (Gitti
Editore in una prima fase, e poi Gitti Europa) avrebbe rivelato alla stampa il
nome vero. In questo modo, tale era l’intento di Giovanni Tritto e del gruppo
di letterati che ne appoggiò l’idea, il nome non avrebbe avuto alcuna influenza
sul comitato di lettura e si sarebbero pubblicati libri senza pressioni e senza
condizionamenti di sorta. A questa idea aderirono numerosi e notissimi autori
italiani, ma molti anche gli stranieri: Josif Brodskij, Lawrence Ferlinghetti,
Guattari, Volponi, Sanguineti, Fernanda Pivano, Sanesi, Roversi, Consolo,
Finzi, Spinella…
Massimo Arrigoni (foto di Daniele Ferroni) |