Abitudine
all’incertezza. Credo
che non vi sia nessuno che in questo tempo di diffusa epidemia tenti una
qualsiasi ragionevole previsione sulla sua durata. Una pioggia liberatoria come
quella famosa delle pagine di Manzoni è un artificio letterario e una metafora
provvidenziale. È più facile che si trovi una intelligenza emotiva che parli di
una trasformazione del mondo che rende difficile la sua statica abitudine.
Questa tesi così immediatamente drammatica ha a suo vantaggio la verità severa
secondo cui il mondo è sempre stato un processo di trasformazione per lo più
invisibile agli occhi e quindi assente alla semantica quotidiana. Ma a questo
vuoto troppo difficile la gente risponde con il pregiudizio della domanda. La
normalità che passata la catastrofe costruirà il mondo come prima. È una
illusione che ignora le variabili della temporalità e ci restituisce un pianeta
disponibile ad ogni avventura dell’uomo “grande miracolo” che governa un mondo
che tuttavia procede secondo una facile normalità. È l’oggetto che risorge
sempre e che le nostre invenzioni tecnologiche riescono a vedere nel diritto e
anche nel rovescio. Di
definitivo non c’è nulla e questo è il nostro appello e dobbiamo abituarci a un
nuovo mondo fatto magari di piccole variabili fatali.