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sabato 29 gennaio 2022

MEMORIA
di Giuseppe O. Pozzi
 


Non solo per la memoria ma per interrogarci sul mistero della vita.
 
Trovo importante celebrare il Giorno della Memoria ma per ragioni differenti da quelli storici consueti. Da clinico, so che la memoria è uno strumento delicato dal momento che serve anche per dimenticare, non per cancellare. La questione è tutta nel come si dimentica sapendo che l’essere parlante non fa che rimuovere ciò che non riesce a tollerare. La realtà rimane nella traccia mnestica ma la verità che sta dentro questa realtà storica, funziona in modo differente e riguarda il soggetto, uno per uno, con la sua volontà di non volerne sapere nulla. La verità può essere detta solo a metà, ci ricorda Jacques Lacan, mentre la realtà è descritta e narrata da qualcuno. È questa narrazione che fa il bagno costantemente nella verità che il soggetto narra a sé stesso, prima ancora di narrarlo o testimoniarlo ai suoi simili. Certe verità, tuttavia, viaggiano più facilmente, sulle ali dell’arte e della poesia più che su quelli della narrazione storica. Per questo occorre investire nella cultura e nella formazione di base di un popolo ma attraverso la responsabilità con l’uno per uno dei soggetti. Non una formazione al sapere ma una formazione al conoscere. C’è una bella differenza tra conoscere e sapere. La conoscenza rimanda a Socrate ed al suo/nostro “Conosci te stesso”. La domanda è sempre e solo quella: Chi sono io? e ancor di più: Chi sono io per l’Altro? Il Das Ding che abbiamo perso e che vogliamo ritrovare sta in quelle domande a cui nessun essere parlante è mai veramente pronto a rispondere ma sono anche le uniche per le quali vale la pena prepararsi. Il sempre negletto “Estote parati” è a queste domande che si riferisce. Il sapere è diventato un prodotto prêt-à-porter, un gadget della modernità per cui si sa tutto di tutti e di tutto. Si tratta di un sapere che vale ormai sul piano dell’uno per uno ma nel senso mortifero e dispersivo. Non esiste più la parola del maestro. La mia parola vale quanto quella dello scienziato premio Nobel dove però, il valore della parola ha perso il suo legame con ciò che significa. La parola per la parola che, ormai, non conta più. Amara consolazione che, purtroppo, offre alla parola/gadget il potere di illudere che si possa fare a meno di varcare la porta della conoscenza. Porta che, per varcarla, occorre dimostrare a sé stessi di non avere paura dell’angoscia che ne presidia il passaggio. Un passaggio che spalanca il buco sull’Ade, come ben riconosce Dante. Senza Virgilio, però, a nulla può il potere salvifico di Beatrice e, poi, è comunque attraverso di lei che si arriva a riveder le stelle della conoscenza, le stelle del chi sono io? e del chi sono io per l’Altro? Mi è sempre apparsa palpitante e trasparente la frase misteriosa di un’anonima signora morta nei Gulag sovietici che lascia una testimonianza vitale sul muro che la seppelliva: Non puoi dire di avere amato fino in fondo, / se non hai scritto fino in fondo (vedi C. Pieralli, La lirica nella ‘zona’: poesia femminile nei Gulag staliniani e nelle carceri in https://fupress.com/archivio/pdf/2713_6338.pdfE ancora, a pag. 233 dello stesso testo: “Conservare i versi nella memoria era una necessità poiché era la via più sicura per non incappare in ulteriori vessazioni. Non solo, ci si doveva salvaguardare anche dalla possibilità che estranei vedessero o carpissero parole. Una poesia di Platon Nabokov rende bene questa atmosfera, ribadisce la necessità di non verbalizzare la propria verità che è definita sacra, di non affidarla alla carta: Con l’anima erra solitario, / che gorgheggi e sbuffi fino al limite, / ma un sorso di verità sacra / non affidarlo alla carta (Veselaja 2009:22-23). L’insegnamento è sempre orale ed ha valore perché sollecita alla ricerca del non detto. Per questo ogni lettore, ogni ascoltatore sa di poter imparare a partire da ciò che non sa. In analogia alla psicoanalisi, l’analizzante riesce a leggere/ascoltare/incontrare sé stesso e cioè il proprio inconscio a partire dal suo non sapere chi è. La burocrazia dei protocolli, anche quelli che riguardano la scuola e la produzione del sapere non possono nulla di fronte al mistero della vita dell’essere parlante. Occorre lasciare lo spazio al lettore che vuole leggere ed ascoltare a partire da ciò che non sa, dal mistero dell’esistenza umana che è il solo, paradossalmente, a poterlo sostenere.