Racconto UNA BEFANA GIOVANE E BELLA di
Angelo Gaccione
Per Allegra Acasa sua non aspettavano alcuna
Befana; in verità non l’aspettava quasi nessuno nel quartiere; sapevano per
certo che da lì non sarebbe passata. Come avrebbe fatto, del resto, ad
orientarsi in quell’intrico di vicoli tanto stretti, fra quei budelli così poco
illuminati, in mezzo a quelle case sbilenche addossate le une alle altre, a
restare in equilibrio su quell’acciottolato sconnesso? E potevano chiamarsi comignoli
quei miseri mozziconi di malta sbrecciata, quei poveri tubi di lamiera
arrugginiti che si alzavano sui tetti? Non era mai passata dai loro padri, non
era mai passata dai loro nonni, e non sarebbe passata da loro. Non ricordava di
aver mai visto un regalo tra le mani degli altri bambini del rione: erano
poveri come lui e la Befana si teneva lontana da quartieri come il loro. Solo i
ricchi sono buoni, e solo i ricchi ricevono regali, questo lo aveva imparato
presto. Era vecchia dicevano gli adulti, una vecchia stanca e affaticata, e non
possedeva gambe per andare dappertutto, giungere in tutte le case. Di vecchie
stanche e oppresse dalla fatica ce n’erano in ogni casa, con le mani
raggrinzite, le dita stortate, le gonne fino ai piedi, i fazzoletti neri fra i
capelli. Le insultavano chiamandole brutte befane, ed era certo che la Befana
fosse brutta e vecchia e non avrebbe mai potuto essere generosa.
“Questa notte passerà” annunciò sua madre cogliendo tutti di
sorpresa una gelida sera di gennaio in cui la neve aveva spento ogni voce,
attutito ogni rumore, seppellito sotto una spessa soffice coltre bianca,
vicoli, slarghi, tetti, ballatoi, davanzali, tanto da rendere il paesaggio
un’unica massa informe luccicante e immota. “La calza è già sospesa al ferro
del camino” aggiunse, ed era vero. Una robusta calza di lana grezza che mani
sapienti avevano lavorato ai ferri, pendeva vuota, sotto la misera cappa del
focolare che il fumo aveva reso di un nero infernale. Aveva la sinuosa forma
del piede e allungava verso l’alto il cilindro del gambale. Le anziane
sferruzzavano in tutte le case, spesso scucendo e recuperando lana da vecchie
maglie per farne calze, berretti, mutandoni, che i nipoti si passavano l’un
l’altro. Com’era possibile che proprio quell’anno la Befana sarebbe
passata dal loro quartiere per giungere alla loro casa? E come avrebbe potuto
una vecchia priva di forze muoversi con un pesante sacco sulle spalle in tutta
quella neve in cui si sprofondava quasi fino al bacino? L’avrebbe riconosciuta
sommersa da tanta neve? E perché sua madre era così sicura di quella visita? Cos’era
accaduto di particolarmente straordinario perché si compisse il miracolo? Lui
non ricordava nulla, e se c’era stata qualche buona azione non se ne aveva avuta
notizia. Provava a pensarci ma non affiorava che qualche frammento sbiadito,
qualche brandello evanescente.
“Se ha proprio deciso di passare, io la sorprenderò” disse fra
sé, e si ripromise di restare sveglio tutta la notte, fino a quando non avesse
sentito il chiavistello della porta sollevarsi. Perché dal loro comignolo la
Befana non avrebbe giammai potuto calarsi, di questo era fin troppo certo. Guadagnato il letto infilò la testa sotto un risvolto di
coperta e finse di dormire. Restò immobile per un lasso di tempo che a lui
parve interminabile e solo quando si accorse che la casa era piombata
nell’oscurità e nel sonno, si tirò su e sbarrò gli occhi. Era buio pesto e non si
distingueva neppure un’ombra. Non restava che mettersi in ascolto, disporsi ad
una paziente e vigile attesa. Man mano che la notte avanzava il silenzio diveniva
sempre più denso e più solido. Infine si era fatto così totale, che se un topo
avesse osato uscire dal nascondiglio, l’eco del suo zampettare gli sarebbe
arrivato nitido e preciso fino al giaciglio. Arrivò invece l’eco dei passi di
sua madre, un eco che si era impresso dentro di lui da un tempo lontano e che
vi risuonava. Un eco che avrebbe saputo riconoscere fra mille, in qualunque
luogo e in qualunque tempo, ad occhi chiusi, al buio come ora, e come gli era
poi accaduto nell’età adulta quando ogni innocenza muore.
Nella calza aveva trovato due mandarini, dei fichi cotti al
forno intrecciati a crocetta, una noce, una manciata di lupini, due mele piccole
e sode dalle guance rosse e gialle, dei mostaccioli a forma di pesce, di
alberelli, di comete. Si vergognava di tanta abbondanza e non fece parola con
nessuno, non rivelò nulla neppure ai compagni del quartiere. Non gli avrebbero
creduto se avesse detto loro che era arrivata ed era stata generosa, lo avrebbero
preso per un bugiardo. Preferì tenersi tutto per sé: come convincerli che la sua
era stata una Befana giovane e bella?
“Passerà la Befana quest’anno, nonno?” “La tua sì, la mia non più”. [Milano, 8 dicembre 2021]