Qualche
appunto necessario. Forse
è necessario che ripeta; anzi non ripeto io, perché meglio di me lo fa un bravo
economista americano, Thomas Palley, che ritrovo con piacere grazie a
Giancarlo de Vivo. Putin si è deciso a stare al gioco americano, perché la
Russia è ormai alle corde. Ciò che varia, rispetto al copione americano, è la
consapevolezza del presidente che l’intervento in Ucraina, se non fermato dalla
disponibilità occidentale – o anche solo europea – a negoziare la fine
dell’assedio militare ed economico alla Russia, porta dritto alla guerra
mondiale. Un modo rapido per arrivarci è il via libera dato dall’organizzazione
criminale, la NATO, ai picciotti orientali di continuare a fornire armi
all’Ucraina. Palley condivide l’idea che l’obiettivo egemonico americano, dei
"neocon liberal” che sono l’élite vincente, è non tanto
di umiliare la Russia, ma di impedire che si riunisca, nell’interesse di
tutti i membri, alla grande famiglia europea. Alle considerazioni di Palley si
possono aggiungere quelle di Nicholas Mulder che ha scritto una storia delle
sanzioni – l’articolo è un estratto dal suo libro. La nozione che si è persa
per strada – le sanzioni in tempo di pace sono state concepite nella
famigerata Versailles, scrive l’autore – è che le sanzioni sono un’arma, ossia
un atto di guerra, e lo sono tanto più quando non hanno il sigillo della legge
internazionale. Anche con tale sigillo, della Società delle Nazioni, esse hanno
tuttavia contribuito allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Infine ai
nostri vari smemorati – i Draghi e i Mattarella in primis – Branko Milanovic
ricorda che una guerra europea c’è già stata 23 anni fa, e che il bombardamento
della sua Belgrado è durato 78 giorni.