Non ci siamo arresi:
portiamo in tribunale i dirigenti della Breda/Ansaldo. Il 6 febbraio 2003 il Giudice per l’Udienza
Preliminare dott. Guido Salvini, questa volta su richiesta del P.M. Edy Pinato,
rinvia a giudizio 14 dei 19 dirigenti Breda/Ansaldo sotto accusa per l’omicidio
colposo di Giancarlo Mangione - operaio prima alla Breda Ferroviaria e poi
all’Ansaldo - stroncato da mesotelioma pleurico. Giancarlo faceva il
“tracciatore”, tagliava le lastre di amianto con cui venivano coibentate le
vetture ferroviarie. Dei 19 indagati iniziali, le posizioni di 5 di essi
vengono archiviate. Fra i rinviati a giudizio appare nuovamente Vito Schirone,
già imputato e assolto nel precedente processo. La nostra lotta ha contribuito
a porre sotto processo un’intera generazione di grandi capi della Breda, gente
che ricopriva incarichi autorevoli all’interno del Consiglio di amministrazione
tra gli anni Settanta e Ottanta. Per noi si tratta di un altro passo avanti
nella lotta per ottenere giustizia, dopo che la Procura di Milano aveva tentato
di archiviare (sono 19 le denunce archiviate) anche questa. Le proteste
organizzate dal nostro Comitato, le lettere inviate ai giudici contro le
richieste di archiviazione sottoscritte da centinaia di lavoratori, le precise
testimonianze rese al pubblico ministero dai compagni di lavoro di Giancarlo,
sono servite. Ai dirigenti viene contestata l’inosservanza delle
norme sull’igiene e del lavoro e l’omissione delle misure che avrebbero potuto
evitare, o quantomeno contenere, l’esposizione all’amianto dell’operaio
deceduto: la ripulitura dei locali, l’installazione di aspiratori adeguati e
controlli sanitari. Così scrive il giudice Salvini, nel dispositivo di rinvio a
giudizio: «La condotta omissiva contestata agli imputati è di non aver
adottato, sin dall’inizio degli anni ‘80, i provvedimenti tecnici e
organizzativi, e soprattutto i dispositivi di aspirazione e umidificazione
delle polveri di amianto, che avrebbero potuto contenere l’esposizione
all’amianto». Quando avevamo iniziato questa battaglia, undici anni
prima, le grandi fabbriche di Sesto erano ancora tutte in attività, anche se in
crisi. Allora prevaleva la paura che sollevando la questione della sicurezza
nei reparti, si accelerasse la loro chiusura, con la perdita di migliaia di
posti di lavoro. Cercando di “governare la ristrutturazione” Cgil-Cisl-Uil
firmarono accordi che prevedevano cassa integrazione a perdere e licenziamenti,
contribuendo alla dispersione dei cosiddetti “esuberi” sul territorio. Le
fabbriche furono chiuse, i posti di lavoro persi, i lavoratori cominciarono ad
ammalarsi e a morire. Se
ne va anche Giuseppe Gobbo (il primo a sinistra nella foto in alto,
l’ultimo a destra è Giambattista Tagarelli).
Il 1° Maggio 2003, il Comitato con il suo striscione
era al concentramento dei lavoratori alle ore 9.30 ai Bastioni di Porta Venezia
a Milano in attesa che partisse la manifestazione. Aspettavamo, tra gli altri,
anche Giuseppe, partito pochi giorni prima con Giuseppina per la Sicilia.
Sarebbe tornato per il corteo. Ma lui, sempre così puntuale, non c’è. La
manifestazione parte, sfiliamo per corso Venezia, fino a piazza San Babila.
Squilla il cellulare di Michele: con le lacrime in gola Concetto ci dice che
Giuseppe è morto, ha avuto un infarto. Dopo un lungo momento di incredulità - non è
possibile, ci ha telefonato ieri, proprio lui così pieno di vita, doveva essere
qui oggi, - arrotoliamo lo striscione e torniamo, col cuore pesante, a Sesto.
Anche i ragazzi della Compagnia degli Stracci, che sfilavano con noi, ci
seguono. La brutta notizia gira in fretta. Nel pomeriggio
decine di suoi ex compagni di lavoro, amici, soci del Comitato arrivano al
Centro d’Iniziativa Proletaria “G. Tagarelli”, la nostra sede. Nel giorno della Festa dei Lavoratori, con Giuseppe
Gobbo se ne andava una parte di noi. Giuseppe, sempre in prima fila,
scanzonato, generoso e caparbio, se n’è andato a 59 anni. Come i suoi compagni
di reparto portava nel corpo le conseguenze di anni di sfruttamento in mezzo a
fumi e polveri d’amianto. Per tre volte era stato operato, e aspettava per la
quarta volta un altro intervento chirurgico per cercare di vincere il male. Scriviamo
in fretta un manifesto: «In questi anni Giuseppe è stato sempre in prima fila
nella lotta per affermare il diritto alla salute e ad una vita dignitosa.
Giuseppe lascia un vuoto nelle nostre fila e nei nostri cuori. Ci mancheranno i
suoi occhi azzurri e il suo coraggio: ma ci lascia l’esempio di chi non si è
mai arreso. Con la scomparsa di Giuseppe abbiamo un motivo in più per
continuare la nostra lotta contro lo sfruttamento capitalista, per ottenere
giustizia per le tante, troppe, vittime del profitto. Ciao Giuseppe! Il tuo
ricordo e il tuo esempio resteranno nella vita e nella lotta di tutti noi». Giuseppe,
che più volte aveva detto che quando fosse toccato a lui voleva un funerale
civile e la cremazione, ebbe una funzione religiosa e fu messo sottoterra. Sabato 3 maggio a Segrate, paese alle porte di Milano,
in una chiesa affollatissima dai suoi compagni e amici, si celebra il funerale. In chiesa Isabella ed Erica, le figlie, leggono il
manifesto con cui il Comitato gli dà l’ultimo saluto. Il lungo corteo che si
forma fuori dalla chiesa e che accompagna il feretro al cimitero è aperto da
una bandiera rossa listata a lutto e da uno striscione, portato dai membri del
Comitato. Nei mesi seguenti ci accorgeremo quanto ci manca, ogni
volta che qualcuno dirà “Giuseppe farebbe… Ci vorrebbe Gobbo...”. Comitato per la Salute nei
luoghi di lavoro e sul territorio Centro Tagarelli, Sesto San
Giovanni