“Nel
grande gioco globale si impone un nuovo ordine. La democrazia si compie nella
fase repubblicana che supera le appartenenze”. Né
destra, né sinistra, né centro, l’istituzione sprigiona l’energia con cui ha a che
fare la politica oggi, soprattutto in Italia. Un "caso italiano" di
nuovo conio, quale indice di sublimazione della crisi della democrazia rappresentativa? In
questo quadro la “capacità di custodia delle porte del sistema politico” (il
gate-keeping nella terminologia politologica) dei partiti e delle élite
politiche appare strutturalmente indebolita. Si sono così fatti strada fenomeni
di verticalizzazione delle istituzioni di governo e di maggiore visibilità
degli attori-chiave dei processi decisionali. È emerso il “fattore
leaderizzazione”, ovvero la tesi che lega la stabilità politica di un sistema
alla capacità di comunicazione mediatica e al gradimento di un leader
costantemente alle prese con le valutazioni del pubblico in quella che molti
studiosi hanno identificato come “campagna elettorale permanente”. Tale
fenomeno viene anche definito come “presidenzializzazione della democrazia”
quando l’oggetto di questa particolare attenzione del pubblico si restringe ai
capi degli esecutivi nazionali. Se allora vogliamo limitare l’analisi al tipo
di proposta di elezione diretta del Presidente della Repubblica così come
questa è stata avanzata nel quadro specifico del sistema politico italiano si
tratta, prima di tutto, di valutare quanto l’enfasi sulla figura e sul valore
aggiunto garantito da un dato leader debba necessariamente rappresentare una
componente decisiva del rapporto tra pubblico e politica anche oltre il momento
elettorale. Deve
essere chiaro che per superare questo elemento della “campagna elettorale
permanente” l’idea presidenzialista contempla oggettivamente proprio l’idea di
abbandonare la “palude parlamentare” con un conseguente stravolgimento
dell’impianto costituzionale e uno spostamento secco del ruolo delle
istituzioni verso forme dirette (appunto non parlamentari) di “decisionalità”
(bonapartismo, cesarismo?).
Dalla
fine della guerra fredda in avanti abbiamo registrato, nel sistema politico
italiano, il tramonto dell’ipotesi bipolare e, successivamente, anche quella di
un ritorno alla “teoria dei due forni” rielaborata attraverso la formazione di
due governi avvenuta nel corso della XVIII legislatura avendo assunto il M5S ,
in maniera del tutto inadeguata, il ruolo di “partito pivotale”: il risultato è
stato quello di un’assunzione di “primato esecutivo” della tecnica con la
conseguente emersione di una larga sfiducia verso la delega partitica. Gli
elettori “telespettatori” guardano alle persone piuttosto che ai partiti come
organizzazioni e hanno imparato ad utilizzare gli strumenti di comunicazione
politica, trasformando le modalità di partecipazione ed esponendosi nella
campagna elettorale permanente con fette dell’opinione pubblica che subisce
influssi emotivi post-razionali come si è dimostrato nel corso dell’emergenza
sanitaria. Si tratta di elementi di allineamento con i trend conosciuti su
scala globale: ma non si debbono dimenticare le caratteristiche originarie del
sistema italiano e la complessità dell’attuale competizione politica. Il
sistema politico italiano presenta, infatti, una propria specifica
articolazione che ha comunque pesato anche nella fase di trasformazione della
“democrazia del pubblico”. Le difficoltà che si incontrano nella messa a punto
anche degli strumenti più semplici di regolazione dei rapporti tra economia, media
e politica ben rappresentano l’evidenza più nitida della specificità del “caso
italiano”. L’opposizione al progetto di istituzionalizzare il fenomeno della
leaderizzazione attraverso l’avvento della formula di elezione diretta del
Presidente della Repubblica deve allora tener conto di questi elementi di
complessità. Non è sufficiente agire all’insegna dello slogan “Difendere la
Costituzione”, che pure deve essere mantenuto con chiarezza. Occorre tenere
salda un’idea di sistema politico che affermi l’istituto parlamentare come
centrale degli equilibri decisionali (voto di fiducia all’esecutivo, elezione
parlamentare del Presidente della Repubblica, limitazione dell’intervento
legislativo su iniziativa del Governo, statuti dell’opposizione, sistema elettorale
proporzionale).
Per
muoversi nella direzione di un efficace contrasto verso l’ipotesi
presidenzialista sarà però necessario rilanciare e ridefinire il ruolo dei
partiti, che rimangono il soggetto decisivo per mantenere la centralità del Parlamento.
È ormai superata la fase che aveva mostrato partiti impegnati per lo più nella
difesa statica della propria identità ideologica, ma non necessariamente
decisivi nello svolgimento delle politiche pubbliche. Veri
e propri “sconvolgimenti di sistema” (cessione di sovranità dello “Stato-
Nazione”, mutamenti profondi nell’identità sociale, utilizzo delle nuove
tecnologie) hanno causato una caduta di riconoscibilità con una conseguente
perdita di capacità di rappresentanza. Oggi per contrastare ed evitare una
torsione autoritaria serve far ritornare il soggetto collettivo organizzato ad
una funzione di dinamico innovatore di policy. Occorre
che i partiti sappiano ritrovare la capacità di un “esercizio della critica”
rispetto alle difficoltà delle nuove tematiche tecnologiche, ai temi eticamente
sensibili, all’impatto dell’interdipendenza economica. Le
organizzazioni politiche debbono tornare a fornire di nuovo le “armi della
critica” rispetto all’attenzione crescente verso i media e nei confronti dell’attuazione
e della valutazione dei processi decisionali. Il
punto di riaffermazione del sistema parlamentare passa attraverso una sconfitta
dell’idea presidenzialista ponendo in discussione una visione “complessa”
dell’azione politica da esercitarsi attraverso forme non collaudate di
interazione sociale. I partiti debbono saper intendersi quali espressioni di
nuova capacità di funzionare come soggetti di integrazione di massa e di
pedagogia politica, ricostruendo così senso di appartenenza e identità.