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domenica 20 marzo 2022

Confronti
L’UCRAINA E LE RESPONSABILITÀ DELL’EUROPA     
Stefano Levi Della Torre*


 
Se i movimenti e i governi d’Europa volessero giustamente formare uno schieramento contro l’invasione russa dell’Ucraina senza però rinunciare alla responsabilità di mediazione dovrebbero dichiarare di essere contro l’estensione della Nato e a favore di una zona militarmente neutrale ai confini orientali e a favore di un’autonomia europea anche nella difesa. Questa è una sensata proposta di mediazione con gli interessi della Russia, posizione che avrebbe dovuto esprimersi preventivamente, ma è comunque inevitabile al tavolo di trattativa, anche se, a invasione avvenuta, risulterà un successo di Putin. Riguardo all’Ucraina, la Nato ha dimostrato non solo la sua dannosità politica ma anche la sua impotenza, proprio perché il suo carattere militare, improntato all’equilibrio atomico della Guerra Fredda, la rende inabile a interventi militari territoriali a scala subnucleare. Per questo la Nato è condannata a restare sullo sfondo, risposta implicita alla minaccia nucleare agitata da Putin. Ma è tempo di ridiscutere l’atlantismo e la Nato. L’autonomia dell’Europa dagli Usa è sostanziata dal differenziarsi degli interessi economici e commerciali nella globalizzazione. E d’altra parte l’inaffidabilità degli Usa è stata dimostrata in modo crescente, in particolare dalla guerra in Iraq del 2003, dal tradimento dei Curdi, dall’impotenza in Siria, dal disastro in Afghanistan, nonché dalla degenerazione della democrazia in Usa, in cui gli insuccessi di Biden preparano una rivalsa di Trump e della sua carica golpistica. Pur restando l’alleanza con gli Usa, meglio allentare i rapporti organici tra Europa e Usa. Ormai si tratta di muoversi in un mondo non più bipolare, tanto meno mono-polare (assetti inattuali, ispiratori della continuità della NATO) bensì multipolare.
Il crollo dell’URSS ha prodotto un riflesso disastroso, già sperimentato con la pace di Versailles dopo la Prima Guerra Mondiale, che con l’umiliazione della Germania ha favorito lo sviluppo del nazismo: quel riflesso per cui ai vincitori non basta aver vinto ma vogliono stravincere espandendo la NATO, umiliando la Russia e fomentandone la rivalsa.
Il discorso del patriarca ortodosso di Mosca, Kirill, sulla “giusta guerra” contro le democrazie sostenitrici di diritti umani dissolutori delle tradizioni patriarcali afferma che quella di Putin non è solo guerra territoriale ma conflitto tra civiltà, a sfondo religioso e antropologico-culturale. Uno scontro in atto da tempo da parte islamistica. Kirill incoraggia Putin a pensare che per opporsi alle democrazie e ripristinare l’impero l'ideologia reazionaria, religiosa e autoritaria già diffuse nel mondo possa sostituire le funzioni svolte un tempo dal prestigio ideologico del comunismo.
Utile ri-potenziare non la NATO ma l’ONU. Non la Nato ma i governi europei dovrebbero sostenere la resistenza ucraina anche con l’invio di armi: il logoramento degli occupanti nel tempo grazie alla capacità di durata della resistenza è necessario perché nella trattativa l’asimmetria delle forze tra occupanti e resistenza sia ridotta.
Tuttavia, l’invio di armi significa “armiamoci e partite”, versate il vostro sangue per conto nostro. Né è facile controllare se quelle armi andranno alla resistenza “patriottica” o a qualche fazione. In ogni caso sulla delega agli ucraini deve prevalere per gli europei l’assunzione diretta della responsabilità della mediazione, che rimetta in discussione l’atlantismo: una trattativa volta a ridisegnare gli assetti geo-politici in Europa.
Tra i danni in cui il regime di Putin incorre nella guerra c’è la sua esposizione al mondo, non solo della sua aggressività verso l’Europa, ma anche dello sviluppo in Russia dell’ingiustizia sociale attraverso l’appropriazione di risorse da parte di un’oligarchia. Logico che il regime si veda costretto a criminalizzare l’informazione, perché le evidenze non si diffondano in Russia. Logico che Putin con la guerra nel cuore d’Europa abbia voluto fomentare la coesione nazionalistica dei russi per aggirare i contrasti sociali interni prima che diventino espliciti.
Mi sembra positivo che si sia manifestata una inconsueta coesione tra i paesi d’Europa nelle sanzioni, nella espropriazione delle oligarchie russe, nonché nel sostegno alla resistenza ucraina e nell’accoglienza della massa dei profughi. Tutto ciò rimette in discussione la politica dell’immigrazione in Europa, i criteri di gestione dei potentati economici multinazionali, la politica imperiale, compresa quella della Cina, e anche la politica israeliana circa i territori palestinesi occupati. Per tutte queste implicazioni, la guerra in corso è un evento carico di trasformazioni, possibili se ci si lavora.

[* Docente di architettura Politecnico Milano]