O DISARMO O GUERRA, NON C’È ALTRA VIA di Angelo Gaccione
Tutto ciò che può produrre un “addolcimento dei
costumi”, come direbbe un pensatore ottocentesco, è il benvenuto. Benvenuto è
tutto quello che le diverse discipline possono apportare di specifico per
tenere a bada l’aggressività degli uomini e le loro pulsioni di morte. Lo
considereremo come un dono prezioso. Ogni tassello che si aggiungerà per
rendere solido l’edificio della pace non può che suscitare il nostro
apprezzamento, perché la pace ha bisogno del contributo di tutti e di ciascuno:
delle ricerche degli studiosi e della determinazione appassionata del singolo
individuo. Una cultura della pace, lo sappiamo, ha bisogno di tempi lunghi, ma
alla lunga potrà essere la sola a mutare a fondo le cose. Il tempo a nostra
disposizione è tuttavia molto contratto e c’è il serio rischio di non farcela.
La cultura della guerra e della morte corre molto più veloce rispetto alla
cultura della pace e si è dotata di strumenti molto più efficaci per prevalere:
eserciti, armi nucleari di sterminio, mezzi di informazione pervasivi, e
soprattutto disponibilità economica gigantesca. Per la guerra e lo sterminio si
stanziano miliardi, per l’educazione alla pace e alla tolleranza, zero.
Inoltre, la cultura della guerra e del conflitto può contare su una storia
millenaria, mentre quella della pace è terribilmente giovane. Di suo può
vantare il precario spazio che intercorre fra l’interruzione di una guerra e
un’altra che comincia.
È per
tutto questo e molto altro ancora che io ho scelto una strada altrettanto
impervia: quella del disarmo unilaterale. Questa proposta concreta di disarmo,
da me avanzata, è stata definita dallo psicanalista Giuseppe O. Pozzi come
appartenente “all’utilità pura”. Così ha scritto sulle pagine di “Odissea” ed
ha perfettamente ragione: una proposta concreta, fattiva, utile, assolutamente
indispensabile. E, ciò nonostante, avversata in molti ambienti, non solo in
quelli più pervicacemente militaristi. È sulla sua utilità pura che io
voglio insistere prima che sia troppo tardi; prima che la presenza di 13 mila
ordigni nucleari oggettivamente reali nella loro effettuale minaccia, possano
procurare la fine della storia umana, impedendo alla cultura della pace di
proseguire il suo lungo e faticoso cammino. Dovremmo concentrarci ora e subito
su questo obiettivo concreto e sulla sua utilità per tutelare la
sopravvivenza di ciascuno di noi e delle generazioni che verranno, poi potremo
pensare al resto una volta che la minaccia totale sarà scongiurata. Disarmo,
trasformazione dei corpi militari in strutture utili per la società intera,
riconversione dell’industria bellica. Perché il governo Draghi e la quasi
totalità dei parlamentari che hanno votato per portare a 38 miliardi di euro la
spesa militare italiana, non hanno invece destinato questa immensa cifra agli
imprenditori che producono armi per cambiare la produzione? Esiste una
sterminata gamma di possibilità perché una fabbrica di armi e di morte possa
individuare settori diversi e realizzare prodotti e manufatti utili alla
società e richiesti dal mercato: basti pensare al settore sanitario rivelatosi
drammaticamente sguarnito nel corso della recente pandemia mondiale. Senza
trascurare, ovviamente, la neutralità disarmata, la convivenza pacifica,
l’impegno a risolvere i contrasti solo per via negoziata e non-violenta. Siamo
consapevoli di vivere in un’era che non ha precedenti? Si chiama era nucleare;
era in cui lo sterminio di tutti si è fatto tragicamente concreto. Era in cui
difendersi con armi nucleari segnerebbe la fine dell’intero consorzio umano. È
l’era che ci obbliga a convivere pacificamente, a mettere la guerra fuori dalla
storia, se non vogliamo correre il rischio che sia la guerra a mettere fuori la
storia, a segnarne la fine. È utopia tutto questo o semplice prudente
buonsenso? Se il disarmo unilaterale da me proposto lo giudicate irrealistico,
non ci rimane che accettare la realistica certezza della guerra.