RIARMO E SPAZIO EUROPEO DI DIFESA di
Franco Astengo
Ecco
come preparano la pace… La
prima risposta concreta all’invasione dell’Ucraina è stata quella della
proposta di riarmo della Germania, intenzionata a portare le spese militari al
2% del PIL. Analogo intendimento è stato espresso dall’Italia le cui forze
armate, in determinati settori, appaiono tecnologicamente piuttosto arretrate,
specialmente se il quadro strategico complessivo dovesse davvero dirigersi
verso una aggiornata riedizione della guerra fredda e della logica dei blocchi. Allora
si possono tentare alcune considerazioni affrettate e approssimative: 1).
Sicuramente si verificherà uno spostamento di risorse arretrando da subito a
favore dei processi di riarmo il procedere delle due grandi transizioni quella
ecologica (verso la quale si profila un combinato: crisi energetica/esigenze
militari) e quella digitale. Questo fatto inciderà, a livello europeo, sul
Recovery Fund che l’Italia sta faticosamente tentando di tradurre nel PNRR.
Situazione internazionale e spostamento di risorse interne incideranno
sicuramente anche su altre filiere produttive prima fra tutte quella
agroalimentare (ricordate il Pertini del “Si svuotino gli arsenali e si riempiano
igranai”: la storia del rapporto burro/cannoni è sempre stata
strettamente correlata); 2).
Sullo slancio del riarmo della Germania si sta tentando da più parti di
rilanciare l’ipotesi del cosiddetto “esercito europeo”. Attorno a questa idea
sorgono questioni molto complesse, prima fra tutte quella riguardante il
controllo politico di questo ipotetico nucleo di forza armata in una situazione
nella quale l’UE continua a soffrire di un forte “deficit democratico”.
Sorgerebbe anche un problema non facilmente risolvibile di equilibrio tra la
costruzione di questa ipotetica “difesa europea” e il mantenimento degli
eserciti nazionali (tenuto conto anche della presenza nell’Unione di diversi
Paesi governati da “democrature”). 3).
L’idea della necessità di accelerare la corsa al riarmo si tradurrà
probabilmente in una crescita di profitti per i giganti del settore con
relativa concentrazione di profitti e di intelligenza tecnologica. In
un suo rapporto lo “European network against arms trade”(anticipato
da “Domani”) fa notare come i giganti dell’industria bellica di Francia, Germania,
Italia, Spagna trattengono il 70% dei fondi UE del settore e coordinano il 68%
dei progetti. Il
fondo per la difesa europea 2021-2027 ha una dotazione di 8 miliardi (i primi
programmi a partire dal 2009, trattato di Lisbona, non arrivavano al miliardo)
“per ricerca e sviluppo di prodotti militari”. Il report di Enaat su “come l’UE
sta alimentando una corsa agli armamenti” prende in esame i progetti pilota: 90
milioni dell’azione preparatoria per la ricerca sulla difesa (Padr) e il mezzo
miliardo del programma per lo sviluppo industriale della difesa (Edidp). I
principali beneficiari sono Leonardo (23,6 milioni) la spagnola Indra (22,8) e
la francese Safran (22,3). Se si considerano anche le aziende sussidiarie, Leonardo,
Thales (francese) e la multinazionale Airbus ricevono altre cifre molto
importanti: Leonardo 29 milioni. Il
sistema è fatto per favorire pochi colossi privati raggrumando anche la
proprietà intellettuale: lo spazio di difesa europea nasce quindi in una
situazione di deficit democratico e di concentrazione di risorse economiche e
di “know-how”. Ci troviamo in una situazione di pieno rispetto della tradizione
storica dell’opacità che ha sempre riguardato il complesso del “militare” e
delle logiche di guerra da sempre gestite da soggetti e in dimensioni ai
margini della democrazia.