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martedì 8 marzo 2022

SIAMO SERI…

 
Collegare bocca e cervello.
 
Caro Angelo,
sono assolutamente d’accordo con Laura Margherita Volante. Un nuovo conformismo, appiccicoso e pervasivo, va da un po’ di tempo in qua prendendo piede: infierendo sulla lingua italiana con ridicoli neologismi (un po’ come quando si doveva dire mescita invece di bar, bevanda arlecchina invece di cocktail), obbligando a cancellare la storia, riscrivendo le opere letterarie, censurando gli autori, e mettendo a tacere ogni voce non conforme. Un autoritarismo bigotto tanto più attanagliante, in quanto sembrano ormai esser venuti meno gli anticorpi. Quando l’ottusità presentava, non solo ma prevalentemente, il volto di un tradizionalismo di stampo clerico-fascista, dal mondo intellettuale si levavano voci di dissenso. Si trattava di una reazione minoritaria ma autorevole, e in ogni caso tali pronunciamenti testimoniavano l’esistenza di una nicchia da cui un dissenziente poteva sentirsi rappresentato. Il nuovo conformismo si nutre viceversa di parole d’ordine progressiste, legate a nobili battaglie del passato (in nome della pace, dell’uguaglianza uomo-donna e quant’altro), facendone però la caricatura e con ciò volgendole in burletta; forse perché la stupidità non conosce confini ideologici, essendo evidentemente, almeno in una certa misura, funzionale alla conservazione della nostra specie: non se ne spiegherebbe altrimenti l’abnorme diffusione. Come scrive Nietzsche, “fra le condizioni della vita ci potrebbe essere l’errore”).
Di fronte a una tale deriva, il mondo intellettuale, a parte qualche lodevole eccezione, tace. Se il recente esempio di scempiaggine rappresentato dalla cancellazione della conferenza di Nori su Dostoevskij ha per fortuna suscitato una reazione corale (il troppo stroppia), questo non mi sembra esser avvenuto per un caso non identico ma per certi versi simile occorso nelle stesse circostanze. Parlo del direttore d’orchestra Valerij Abisalovic Gergiev, cacciato dai principali teatri d’Europa, compresa la Scala, per non aver condannato l’invasione dell’Ucraina da parte del suo Paese. A parte il fatto che un principio cardine della democrazia liberale vuole che, se non si può essere liberi di fare tutto (la mia libertà finisce là dove andrebbe a limitare la libertà di altri), si deve però esserlo di esprimere comunque la propria opinione, qui non si tratta neppure di difendere la libertà di parola, ma la semplice libertà di starsene zitti. Se nessuno viene a chiedere al tale o al talaltro personaggio in vista di pronunciarsi contro questa guerra pena l’ostracismo, perché la stessa richiesta viene viceversa avanzata a Gergiev? Perché è amico di Putin? O perché è russo? L’amicizia, fino a prova contraria, è un fatto personale: un sentire, e nell’altrui sentire nessuno dovrebbe permettersi di mettere il becco. Quanto all’esser russo, non mi pare che sia una colpa. E invece ora, con neppure troppo larvato razzismo, si pretende da qualcuno ciò che non si pretende da altri. Se tutto ciò non basta (e dovrebbe bastare), vorrei ancora aggiungere che confondere la persona e l’artista, l’artista e l’opera, è segno di infantilismo e confusione mentale. Come ho già avuto modo di scrivere su “Odissea”, volendo stabilire una tale equazione, dovremmo, per coerenza, eliminare dalle pinacoteche, oltre che dai muri di alcune chiese, quadri e affreschi di Caravaggio (aveva commesso un omicidio), accanirci a colpi di piccone contro le opere di Bernini (aveva mandato un sicario a sfregiare la sua amante), per non parlare di quel che meriterebbe la produzione di Benvenuto Cellini, che ovunque andasse trovava modo di ammazzare qualcuno. L’elenco potrebbe continuare, spaziando dalla musica alla poesia alla letteratura, con Gesualdo da Venosa, che aveva fatto assassinare la moglie e il suo amante, quel trafficante d’armi di Rimbaud, i filofascisti Céline e Eliot… Persino un apparentemente innocuo Giovanni Pascoli, osservato al microscopio, si rivela patologicamente possessivo nei confronti delle sorelle; senza contare la sua neppure troppo senile conversione guerrafondaia: “La grande proletaria si è mossa”. Alla fine ne uscirebbe indenne forse solo La vispa Teresa. 
Un fantasma si aggira per l’Europa (e non solo): il fantasma di un nuovo perbenismo. E di un eterno cretinismo. Parafrasando uno slogan del Sessantotto: la mancanza di una risata ci seppellirà.
Con affetto
Luca Marchesini (drammaturgo)