25 APRILE 1945: CORSI E
RICORSI STORICI di Antonia Sani
Il mio 25 aprile. Avevo allora quasi 8 anni e
dopo giorni di “sfollamento” lungo le rive del Po, accompagnati da improvvisi
bagliori rossi in direzione di Ferrara, la mattina di quella storica
giornata, verso mezzogiorno, un carroarmato si fermò solitario nella piazza di
Ambrogio, il paese di campagna dove allora ci trovavamo. Due giovani soldati in
tuta mimetica balzarono a terra sorridenti distribuendo a noi, gruppetto
di bambini incuriositi, cioccolatini e «Amlire» che avevamo appena intravisto
vicino alle nostre lire italiane di carta col ritratto di Vittorio Emanuele
III. Mia nonna si affacciò sulla strada dalla cucina agitando tra le mani il
mestolo in segno di sollievo come per la fine di un incubo. I genitori si
affrettarono a chiamarci a casa ordinandoci di rifiutare i dolciumi offertici
dai soldati americani. Il paese, nel frattempo, si mobilitava: chi, da un lato,
spinto dall'entusiasmo, si mostrava, con nostra sorpresa, apertamente
antifascista lasciando da parte le remore dei giorni precedenti come se si
trattasse di persone improvvisamente sconosciute; e chi, dall’altro, se ne stava
rintanato dentro casa con le serrande abbassate obbligando noi bambini a non
uscire per evitare ogni contatto coi fascisti, i quali chiamavano
“ribelli” i partigiani. Ora, ripensando a quel giorno, rivivo una specie di
gioia priva di senso. Se da un lato quanto stava accadendo avrebbe di lì a poco
significato che la guerra era finita e non avremmo più dovuto ogni sera
rifugiarci nelle case dei contadini per evitare i temuti disperati scontri tra
gli inglesi in risalita e i tedeschi in fuga, dall’altro densi di incertezze erano
gli eventi che ci sovrastavano. Come collocarci nel nuovo scenario che andava
prospettandosi? Era meglio chiedere appoggi ai Comitati di Liberazione
Nazionale, al cui interno già prendevano posto figure emergenti
dell’antifascismo locale, o tornare nelle nostre case bombardate? Io seguivo tutti i giorni alla radio le puntate dei processi, dalle cui
sentenze scaturivano condanne, vendette e regolamenti di conti, non
diversamente da quanto andava accadendo al processo di Norimberga. Il fascismo
aveva scavato solchi profondi nella nostra società e nella vita di tutti i
giorni, dando corpo, all’interno delle famiglie, a odi e contrasti accumulatisi
nel corso degli anni. Ricordo, ancora nel 1951, un interminabile litigio tra mio
padre e i miei due zii: il primo fascista, il secondo democristiano e il terzo comunista.
Si accusavano vicendevolmente dandosi del “voltagabbana”. La donna che
portava in tavola la zuppiera coi cappelletti in brodo, in segno di solidarietà
con lo zio comunista e senatore nelle file del PCI sollevò il braccio col pugno
alzato chiamandolo “compagno”.
Gli anni Cinquanta non hanno fatto altro che prolungare gli esiti nefasti della
seconda guerra mondiale. La divisione del mondo in due blocchi ideologici
contrapposti ha preparato e rafforzato negli anni la cosiddetta “guerra fredda”,
di fatto mai fino ad oggi arrestatasi. I due nemici di un tempo, i convitati di
pietra, ossia la destra e la sinistra, sono ancora lì, oggi come ieri, al pari
degli ideali assunti nelle sedi istituzionali come valori, come principi, come
criteri guida, come scelte, come analisi storiche compiute dai rappresentanti
politici. E ora, improvvisamente, la guerra anche se c’è chi si rifiuta di
chiamarla come tale non essendo stata dichiarata ufficialmente. Chi sono i due
nemici? Da un lato Putin con il retaggio della grande Russia staliniana da
difendere, dall’altro gli stati dell’occidente riuniti sotto l’ombrello dell’ONU
e della NATO con la regia degli Stati Uniti d’America e la partecipazione
straordinaria dell’Ucraina come miccia per la tanto attesa e programmata
deflagrazione antirussa. In altre parole ci troviamo, nonostante la creazione, in
questi decenni che ci separano dalla fine della Seconda guerra mondiale, di una
fitta rete di relazioni internazionali improntate al principio del disarmo
militare e della solidarietà tra i popoli, davanti ad un vero e proprio
inesorabile ritorno della “guerra fredda”.