La
retorica mainstream sulla guerra, la polemica distruttiva verso l’ANPI, il
goffo tentativo di distorcere la realtà storica della Resistenza Italiana ci
hanno privato, in questo drammatico 2022, di poter esplicitare fino in fondo la
storia e il senso di quello che fu il momento fondativo della nostra
Repubblica. La
Resistenza come guerra civile, come individuato a suo tempo da Claudio Pavone
nel suo fondamentale saggio sulla “moralità della Resistenza”, è stata percorsa
da una categoria di fondo, quella della “non legittimità” nell’origine del
potere statuale del fascismo e quindi dalla necessità “storica” del combattere
quel potere distinguendo tra Nazione (Patria) e Stato. Il
ventennio era stato così percorso da una lotta antifascista sicuramente
minoritaria nei numeri e i cui protagonisti anch’essi divisi nelle opzioni
ideali proprio secondo lo schema poi usato da Pavone e successivamente dal più
recente lavoro di Franzinelli e Flores. Al
momento dello scoppio della guerra era entrata in scena, nella coscienza di
molti, la categoria del “tradimento”: tra grandi tormenti ideali, infatti,
l’antifascismo italiano era stato percorso dalla convinzione che fosse
necessaria la sconfitta militare per eliminare il fascismo. I
comunisti (e anche gli azionisti, mi pare) non nutrirono dubbi al proposito
(alcuni, pur nel dramma, tirarono un sospiro di sollievo quando iniziò
l’operazione Barbarossa) ma in altri settori dell’antifascismo sicuramente il
problema si pose. La
questione del “tradimento” entrò potentemente nel dibattito dell’epoca alla
data dell’8 settembre: la “fedeltà” era posta su tre piani, quella della
continuità antifascista per chi l’avesse conservata con coerenza durante il
ventennio, quella del mantenere il giuramento al Re (nonostante la fellonia
della fuga), quella di stare dalla parte della “Nazione (Patria)” che era stata
e tornava ad essere quella fascista.
Una
generazione intera si trovò di fronte ad un vero e proprio “spartiacque morale”
e dopo vent’anni di fascismo ci fu chi trovò intelligenza e coraggio per
compiere una scelta che poteva anche essere considerata come contraria alla
Patria. Esaminando
i vari aspetti riguardanti le scelte e le opere resistenziali Flores e
Franzinelli affrontano questo quadro con grande vigore: anche i punti che,
sotto l’aspetto di una certa agiografia possono essere considerati come
“scomodi” sono valutati tenendo sempre ben conto l’elemento della reciprocità
dell’accusa di aver tradito lanciata da entrambe le parti in lotta. L’appoggio
all’invasione tedesca è la ragione per la quale la Repubblica di Salò non può
essere considerata parte della continuità dello Stato: aver intuito questo
elemento contribuendo al riconoscimento del governo Badoglio come governo
legittimo nella linea di prosecuzione dell’identità statuale è stato il grande
merito del CLN (o almeno della maggioranza dei suoi componenti) e della
“svolta” togliattiana.
La
scelta del riconoscimento del governo Badoglio e la formazione della Resistenza
consentirono una rilegittimazione dello Stato assolutamente decisiva per
l’avvenire, anche se la legittimazione della Patria fu conquistata soltanto al
momento della Liberazione delle grandi città del Nord da parte dei partigiani Non
si tratta di una distinzione capziosa: il 25 aprile Stato e Patria si
ricongiunsero ponendo le basi per la formazione di una democrazia posta al di
fuori da un binario di mera prosecuzione con quello che era stato l’antico
Stato liberale frutto dell’incompleto Risorgimento (come ben intuito da Gramsci
nei “Quaderni”). La
gran parte della classe operaia non ebbe tentennamenti: nelle 5 giornate di
Napoli, a Roma a Porta San Paolo, al Nord nelle grandi fabbriche a partire
dagli scioperi del novembre 1943, poi del Marzo 1944 fino al segnale dell’insurrezione
generale del 24-25 aprile dato con il suono delle sirene di fabbrica. L’esito
del 25 aprile consentì di ricostruire la democrazia e arrivare nel giro di
pochi mesi a libere elezioni nel marzo – aprile 1946 quelle amministrative, il
2 giugno elezioni per l’Assemblea costituente e referendum istituzionale. Le
contraddizioni non mancarono nel testo di Flores e Franzinelli, ma rimane il
dato prevalente di uno Stato ricongiunto alla Nazione (Patria) che poteva ben
essere considerato, a questo punto, come sorto dalla Resistenza.
A
questo punto però sorge una domanda rivolta nel senso di approfondire il
concetto di rilegittimazione dello Stato. La Repubblica è nata solo dalla
Resistenza, sciogliendo il nodo del “tradimento” oppure anche dalla crisi del
tipo di “Stato – Nazione” (Patria) costruito dal fascismo? La crisi del
fascismo colpì più la nazione (Patria) che lo Stato di cui molto fu conservato,
come scrive ancora Franzinelli in un suo recentissimo saggio: l’Italia è stata
com’èben noto, zona di frontiera tra il
blocco occidentale e quello orientale, ed è stata attraversata al suo interno
da una sorta d’invisibile confine che ne ha condizionato lo sviluppo
democratico addirittura dividendo il sistema politico in due sottosistemi:
l’arco costituzionale e l’arco di governo al riguardo del quale vigeva la
“conventio ad excludendum” rivolta agli opposti estremismi anche se PCI e MSI
furono di volta in volta associati alla maggioranza (Governo Tambroni 1960,
governo Andreotti 1978). Il tipo di democrazia repubblicana disegnato dalla
Costituzione fu pensato come adatto a quel tipo di situazione mentre al momento
della caduta del Muro si era ritenuto che ormai si potesse superare quel tipo
di assetto e riunificare il sistema politico “sbloccandolo”. Invece il tema
della rilegittimazione dello Stato e la differenza tra il concetto di Stato e
quello di Patria erano ancora d’attualità e non risolvibile in una prospettiva
sovranazionale come molti avevano ritenuto potesse essere possibile. Oggi si
può dire che tutto sommato è ancora valido il tipo di mediazione raggiunto dai
grandi partiti di massa prima tra l’8 settembre e il 25 aprile e poi tra il 25
aprile 1945 e il 18 aprile 1948. Una mediazione tutto sommato ancora valida
perché la Repubblica è quella nata dalla Resistenza riunificando con grande
difficoltà e molte incertezze Stato e Nazione (Patria). La sparizione dei
partiti che avevano realizzato, essenzialmente attraverso il lavoro della
Costituente, quel momento unitario non ha lasciato comunque nessuna nuova
possibilità di legittimazione per un’eventuale “Seconda Repubblica” che si era
pensato di fondare modificando il sistema elettorale e aderendo al processo di
presunta unificazione europea sull’onda dell’euforia del grande equivoco della
“fine della storia”.
La Resistenza come fatto fondativo e costituente invece
non ha avuto eredi e l’eterna transizione che è seguita all’89 ne è ancora
testimonianza. Tentare di modificare quest’assetto primario magari cambiando la
Costituzione ha via via causato una fragilità del sistema che dovrebbe
rappresentare l’immediata preoccupazione di un ceto politico sempre più in
difficoltà nella sua capacità di esprimere assieme identità per i diversi
soggetti e valori riunificanti che rendano Stato e Nazione (Patria) soggetti
credibili agli occhi delle nuove generazioni.