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sabato 30 aprile 2022

PRO E CONTRO L’INVIO DI ARMI ALL’UCRAINA
di Guido Viale


Dovremmo meditare a fondo su queste parole di buon senso, soffocate dal frastuono del senso comune che ci condurrà alla rovina.
  
I pro non ci sono. Giorno dopo giorno vediamo sempre meglio come la guerra in Ucraina non sia che distruzione di vite, di famiglie, di ambiente, di socialità, di umanità, di intelligenza. Come tutte le guerre. Ma questa di più. Che senso ha mandare armi sempre più potenti ai combattenti dell’Ucraina perché ammazzino, si facciano ammazzare, e facciano ammazzare la popolazione civile, vera vittima di tutte le guerre moderne, e poi pagare a Putin gas, petrolio, carbone, fertilizzanti e tante altre cose di cui non sappiamo fare a meno, continuando così a finanziare e rafforzare la sua guerra di aggressione? Non è forse la moltiplicazione delle armi in campo a rendere la guerra sempre più intensa, estesa, mortifera, ad avvicinarci al ricorso alle bombe atomiche che aspettano solo, ben sistemate nei loro silos, di essere usate? Tutte le armi sono concepite, costruite, comprate e vendute, prestate (come nel caso dell’Italia) per essere usate. Per questo è sempre più urgente battersi contro le guerre e contro l’industria delle armi che le alimenta, a discapito di ciò che servirebbe, e manca, a sostenere la vita di tutti.


La potenza delle armi moderne, al cui apice ci sono gli ordigni dello sterminio nucleare, ha cambiato radicalmente l’orizzonte dei conflitti armati: “un popolo in armi” può certo intralciare un’occupazione, pagandone un prezzo molto alto; ma che possa tener testa a eserciti dotati di tutti gli armamenti sviluppati dalla tecnica è una favola: può farlo solo delegando il confronto a un esercito professionale dotato di strumenti paragonabili, e soccombere di fronte a entrambi. Fare a meno delle guerre significa affermare le ragioni della vita contro quelle della morte, mobilitarsi contro la distruzione di tante esistenze, sostenere le possibilità concrete di comporre il contenzioso con rinunce accettabili da entrambe le parti, ma anche promuovere il disfattismo e la disgregazione delle gerarchie che rendono operativi gli eserciti.
La visione delle devastazioni, della morte, del dolore, della disperazione che colpiscono le persone, sia civili che militari, coinvolte in questo assurdo macello, quella che giornali, Tivù e social esibiscono quotidianamente, dovrebbe indurci rigettare per sempre l’idea di combattere la guerra con altra guerra, con più guerra. E infatti, sondaggi, pur ampiamente manipolati, continuano a dirci che la maggioranza della popolazione italiana è contraria all’invio di armi e a un coinvolgimento diverso dal sostegno materiale ai profughi e alle persone colpite dall’invasione: vuole proposte di mediazione, di tregua, di accordo, senza venir meno, ma anzi adempiendo, al dovere di solidarietà nei confronti di persone che sentiamo nostri fratelli e sorelle.



Quanto più dolore e sofferenza percepiamo in loro, tanto maggiore è la spinta a sentirsi una o uno di loro. Ma appena dalle persone che affrontano con crescente difficoltà la propria vita quotidiana si passa a coloro che hanno responsabilità politiche, governative, imprenditoriali o nel giornalismo, la musica cambia. Per loro non c’è alternativa alla guerra, all’invio di sempre più armi; non condividere questa scelta lo considerano un tradimento di cui vergognarsi, quasi che il dolore e le sofferenze provocate dalla guerra che i media esibiscono ogni giorno non possano trovar rimedio e conforto se non nei campi di battaglia. In questa logica manichea ci sono solo buoni e cattivi. E poiché Putin, l’aggressore, è sicuramente cattivo, ne consegue che tutti gli ucraini sono buoni, e noi, che li appoggiamo, anche. Ma le cose non stanno così: la guerra è per tutti una scuola di crudeltà, di cinismo, di menzogne che ci coinvolge tutti: combattenti e non. Per chi non pensa che alle armi, invece, la pace può arrivare solo con la vittoria. Ma quale vittoria? E di chi, se più continua la guerra e più cresce il numero delle vittime immediate, ma anche quello delle persone che per gli anni a venire non avranno più la loro famiglia, o qualche suo membro, e una casa, un lavoro, o la vita che avrebbero voluto per sé e i propri figli?



Ma c’è di più: il ricorso ad armi sempre più potenti, con le loro devastazioni, e l’abbandono anche dei più timidi propositi di transizione ecologica, con il ritorno al carbone, al petrolio e con la ricerca spasmodica di altro gas per compensare le per ora irrinunciabili forniture della Russia, non fanno che accelerare la crisi climatica e ambientale Per cercare di arrestarne il corso e l’esito catastrofico e sempre più vicino occorre abbandonare l’idea stessa della guerra e la fabbricazione di armi: un proposito da inserire tra le premesse irrinunciabili di ogni progetto di conversione ecologica. La compassione per le vittime di questa guerra, certo condivisa sia dai favorevoli che dai contrari all’invio di armi all’Ucraina, non si estende però alle sofferenze, comprese le migrazioni, a cui la crisi climatica e ambientale già oggi costringe centinaia di milioni di esseri umani. Ma, soprattutto, non si estende all’esistenza invivibile a cui stiamo condannando le prossime generazioni – se non i nostri figli, certamente i nostri nipoti – che poco differirà da quella provocata alle sue vittime da questa guerra. Il futuro che stiamo preparando è lì, davanti ai nostri occhi. Forse la vera differenza tra chi sostiene e chi è contrario all’invio delle armi in Ucraina è proprio la diversità dello sguardo rivolto al futuro.

Lettori e guerra
UN ALTRO SGUARDO
 


In tutti questi giorni di guerra abbiamo capito alcune cose:
 
1.- L’Italia ripudia la guerra fino a quando non lo dice la Nato;
2.- Che se fai il saluto fascista sulla tomba di Mussolini sei perseguibile per legge, se inneggi al nazismo con il sole nero, la runa del lupo e la svastica, contornati però dai colori della bandiera Ucraina, allora sei pacifista;
3. - Gli oligarchi russi sono cattivi, gli oligarchi ucraini sono buoni;
4.- I nazisti sono sempre stati cattivissimi, tranne quelli ucraini che inneggiano ad Hitler ma non sono nazisti (cit. Mentana);
5.- Che tutte le arti russe, musica, poesia, letteratura, cinema, sono merda purissima e quel poco che c’è di buono è sicuramente di origine ucraina e i russi se ne sono appropriati;
6.- I referendum che fanno in Kosovo sono validi, quelli fatti nel Donbass no (per ulteriori informazioni chiedere a Cuperlo);
7.- Che i russi uccidono i giornalisti scomodi, gli stati democratici no, in effetti Mino Pecorelli e molti altri si sono suicidati;
8.- Che in Russia i giornalisti non hanno libertà di parola, mentre nel mondo democratico Julian Assange ed Edward Snowden sono liberi di raccontarvi i segreti delle amministrazioni democratiche dei paesi democratici;
9.- Che le invasioni russe di Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, e poi Afghanistan, Cecenia e Georgia sono state fatte perché i russi sono cattivi e comunisti (almeno a quei tempi), se invece sei democratico e sponsorizzi colpi di stato in Cile, Argentina, Nicaragua, El Salvador, Guatemala, Venezuela, Bolivia, Panama, Uruguay, Brasile, Cuba, Repubblica Dominicana, Grenada, Ucraina sei bravo. Sempre se sei democratico e radi al suolo, Korea, Vietnam, Iran, Iraq, Libia, Siria, Serbia, Afghanistan va bene. A volte sei talmente democratico da sganciare 2 bombe atomiche su un paese ormai in ginocchio, ma hai un tale livello di democrazia che le bombe non le sganci su obbiettivi militari ma su 2 città abitate da poveri cristi (350.000 morti in 24 ore, oltre il milione per le conseguenze);
10.- I calciatori russi sono cattivi e non possono andare ai mondiali di calcio. I calciatori dell’Arabia Saudita sono bravissimi, non sono molto democratici, ma sono amici dei più democratici del mondo, e quindi anche se l’Arabia Saudita uccide in 7 anni 400.000 yemeniti, un’eccezione si può sempre fare e che cazzo gli amici sono amici;
11.- Se poi sei il più furbo di tutti e vuoi boicottare i russi cattivi, non compri più il gas russo, ma lo compri dagli amici della Russia, la cui rete è gestita da una compagnia russa, ma lo paghi il 30% in più perché sei democratico ma anche un po’ furbo;
 
Poi ti devi giustificare sul perché ti girano le palle.
Un lettore di “Odissea” incazzato

 

HOMO STUPIDUS



 
“L’uomo, credendo di dare il meglio di sé stesso con la guerra,
sempre finisce per averne il peggio sottoterra”.
Nicolino Longo

venerdì 29 aprile 2022

PRIMO MAGGIO IN PIAZZA


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ANPI E DETRATTORI
di Monica Quirico

 
Resistenza, Anpi e intellettuali (minuscoli):
dieci spunti di riflessione
 
I. Nemico pubblico numero uno. Il linciaggio, personale oltre che politico, cui è sottoposto da settimane il presidente dell’Anpi, Gianfranco Pagliarulo, ha pochi precedenti nella storia repubblicana; che a compierlo siano per lo più giornalisti, intellettuali e politici “progressisti” (alcuni con trascorsi rivoluzionari), a cui la destra ben volentieri delega il lavoro sporco, rende la vicenda paradigmatica dell’imbarbarimento del sistema mediatico e dell’irreversibile declino di un intero ceto intellettuale.


II. Maiuscole e minuscole. La nostra Resistenza (ma anche quella francese, norvegese, jugoslava…) si fregia dell’iniziale maiuscola perché costituisce uno specifico fenomeno storico (la guerra partigiana contro l’occupazione nazifascista); allo stesso modo, si scrive Rinascimento per distinguere, nella storia della cultura, una determinata epoca da usi generici, talvolta impropri, del termine - come ad esempio il luminoso avvenire che Renzi preconizza per l’Arabia Saudita. Che le altre resistenze, a partire da quella ucraina, si scrivano con la minuscola non comporta una loro deminutio capitis, ma semplicemente il riconoscimento di diverse condizioni storiche.



III. Solidarietà a senso unico. Giornalisti e intellettuali con l’elmetto (indossato sulla poltrona) vedono nell’invio di armi all’Ucraina un discrimine morale: la solidarietà (dei veri democratici) contro l’inerzia (delle anime belle). Vano sarebbe cercare, nei loro interventi passati, tracce di un appoggio altrettanto incondizionato ad altre resistenze, che pure ci sono state, negli ultimi decenni: quella irachena (non riducibile ai sostenitori di Saddam Hussein), quella afghana (non identificabile coi soli talebani), per tacere di quella curda (scomoda, con il suo confederalismo democratico) e, ça va sans dire, quella palestinese. Tutti popoli che hanno subìto l’aggressione di uno o più paesi stranieri (dagli Stati Uniti alla Turchia) e che però, anche quando non sono mancate espressioni di condanna dell’occupante, non sono stati considerati meritevoli, da parte del “Corriere” o di “Repubblica” o di “Micromega”, di un sostegno armato da parte dell’Occidente e dell’Italia. Forse perché gli aggressori erano gli Stati Uniti o qualche loro irrinunciabile (per quanto impresentabile) alleato. E meno che mai si è rispolverata la nostra Resistenza. Quanto ai civili siriani bombardati implacabilmente dalla Russia, hanno agonizzato nell’indifferenza generale. Certo non hanno chiesto di inviare armi a movimenti per cui pure simpatizzano (come quello curdo o palestinese) l’Anpi o altre organizzazioni pacifiste, ritenendo che in qualsiasi caso rispondere alla guerra con più guerra conduca solo alla catastrofe, come ha ben visto Emergency in questi anni. Piuttosto, hanno insistito per una soluzione diplomatica dei conflitti. Inascoltati, come oggi. Chi è di parte, dunque? Chi è “passivo”?


IV. Quale Resistenza? Polemizzando con Luigi Salvatorelli, che equiparava la lotta partigiana a quella dei caduti del Grappa e del Piave, Franco Antonicelli, fulgido intellettuale che per fare il suo dovere aveva assunto la presidenza del CLN Piemonte, puntualizzava: “Il definire meglio le due «resistenze» non significa opporle fra loro per farne risultare vincitrice una: significa fare una più perspicua opera di storia e trarne le naturali conseguenze. Nasce il sospetto che nell’equiparazione si voglia a bella posta togliere i caratteri distintivi, annullarli in una superiore ma arbitraria identità”. In alcuni paesi, tra cui il nostro, la Resistenza fu, certo, una lotta di liberazione nazionale (dall’invasore nazista), ma anche una guerra civile (contro il fascismo come regime e contro i fascisti che quel regime incarnavano) e, per una parte del movimento partigiano, una guerra di classe (contro il padronato agricolo e industriale, che aveva appoggiato Mussolini come “soluzione” della crisi sociale). Quest’ultima dimensione costituisce uno dei maggiori rimossi della nostra storia, non secondariamente per la scelta del PCI di oscurarla, con la svolta di Salerno, per accreditarsi come partito dell’unità nazionale. Della Resistenza invocata oggi come “patentino” della legittimità della resistenza ucraina si recupera ovviamente solo la componente di liberazione nazionale nella sua dimensione armata, con buona pace del contributo della resistenza non violenta.



V. Strategie complementari di manipolazione della storia. La memoria pubblica funziona ormai come Amazon: chiunque può cliccare sull’articolo (il personaggio o il fenomeno) che più gli conviene in quel momento, senza curarsi né della filiera, né della destinazione e dell’impatto. La strumentalizzazione della storia, una piaga non solo italiana, si presenta sotto due volti. Il più rozzo, che nel nostro paese produce effetti particolarmente mefitici, è quello dell’appiattimento di processi ed eventi sul paradigma vittimario: nell’indistinzione dei morti, si compie l’assoluzione dei vivi (i fascisti e gli esponenti del potere istituzionale ed economico), mentre il giudizio della Storia condanna all’infamia i “rossi”. Il volto più raffinato, per così dire, consiste nell’appropriazione di personaggi e processi “eccentrici”, non prima di averli depurati delle loro componenti disturbanti: così il socialdemocratico Olof Palme, odiato dalla destra in vita, da morto viene canonizzato, ma in quanto campione del liberalismo; analogamente, Antonio Gramsci diventa icona di italianità, ma per la sua indiscutibile (?) ispirazione liberale. Nel caso della Resistenza, si è passati con la massima disinvoltura dalla criminalizzazione degli ultimi decenni a una repentina (e verosimilmente assai transitoria) beatificazione. L’arroganza intellettuale e morale della classe dirigente ha passato ogni limite. 


VI. La resa degli intellettuali. Scomparse le organizzazioni di massa (se non quelle di destra) che assicuravano loro un ruolo sociale, gli intellettuali “progressisti” (il maschile è intenzionale) si sono adeguati alle modalità comunicative di un sistema mediatico ibrido, in cui la logica binaria dei social avvelena anche i media tradizionali; non vi è posto per l’argomentare razionale e il confronto civile tanto cari ai liberaldemocratici, ma solo per la rissa. Ecco allora che, anziché contribuire al dibattito pubblico mettendo a fuoco le aporie del diritto internazionale (dalle ambiguità del principio di autodeterminazione dei popoli all’impotenza dell’Onu di fronte al militarismo), i nostri intellettuali democratici hanno sfoderato, in occasione dell’aggressione russa all’Ucraina, una logica binaria amico-nemico, alleato-traditore, degna delle peggiori fasi della Guerra fredda e per giunta incattivita da una comunicazione urlata e diretta alla delegittimazione dell’interlocutore. Pochi vi si sono sottratti; tra loro, Michele Serra, che, pur dichiarandosi a favore dell’invio di armi all’Ucraina, si è rifiutato di partecipare al derby fra le opposte tifoserie, confessando anzi il suo tormento interiore. Ma, appunto, si tratta di casi isolati. Lo “stile” del dibattito è stato dettato piuttosto da chi, come Paolo Flores d’Arcais, ha definito “oscena” la posizione di Pagliarulo, salvo poi invitarlo a un confronto pubblico (prima ti demolisco, poi parliamo, insomma).  



VII. Acribia filologica a corrente alternata. Mediocri pennivendoli con l’elmetto si sono presi la briga (sottraendo tempo a cause più nobili) di andare a spulciare i post sul Donbass scritti da Pagliarulo a partire dal 2014, per dimostrarne in modo inequivocabile il “putinismo”. Dunque, commenti di sette-otto anni fa, su cui si può essere più o meno in accordo, sono usati per squalificare le dichiarazioni di oggi, e con esse la persona tout-court; un procedimento metodologicamente assai discutibile, considerando che Pagliarulo, e l’Anpi, hanno immediatamente e ripetutamente condannato l’aggressione russa. Ancora più strumentale appare poi una pubblicazione dei post di Pagliarulo completamente avulsa dalle contemporanee prese di posizione di organismi transnazionali al di sopra di ogni sospetto, che constatavano nella regione contesa gravi violazioni dei diritti umani da entrambe le parti: i nazionalisti filorussi come l’esercito e le formazioni paramilitari ucraine (si veda, tra gli altri, il rapporto del 2017 dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, https://www.ohchr.org/sites/default/files/Documents/Countries/UA/UAReport19th_EN.pdf). La stessa sorte è toccata del resto al comunicato di Pagliarulo sul massacro di Bucha. Il presidente dell’ANPI ha chiesto una commissione d’inchiesta indipendente per accertare le effettive responsabilità: esattamente quello che ha sollecitato il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, per la semplice ragione che è ciò che prevede il diritto internazionale. Ma questo particolare deve essere sembrato ininfluente, ai guerrafondai nostrani, che lo hanno per lo più taciuto.


VIII. Il capro espiatorio. Per gli avversari dell’Anpi e del movimento pacifista, Pagliarulo rappresenta un bersaglio perfetto: ha un passato comunista (una colpa da cui non ci si redime, in Italia, se non rincorrendo la destra fino ad autoliquidarsi) e non può contare sull’appoggio di organizzazioni di massa. Il PD, che di massa non è più, si pone anzi come uno dei suoi più accaniti detrattori. Attribuendo a Pagliarulo posizioni “vergognose”, si vende all’opinione pubblica una narrazione rovesciata, in cui a essere faziosi (perché “putiniani”) e inerti (perché complici) sono i pacifisti. In questo modo, si devia l’attenzione da chi è davvero compromesso con Putin così come da chi si preoccupa soltanto di vendere armi, non di perseguire la pace per via negoziale. Così, mentre i sinceri democratici chiedono le dimissioni di Pagliarulo, Salvini, i cui rapporti con Mosca sono noti a tutti, se l’è cavata con la passeggera umiliazione patita in Polonia. Anche in questo caso sono stati rispolverati vecchi post, che hanno, sì, dato adito a sarcasmo, ma non alla richiesta di dimissioni della Lega dal governo. Mentre Pagliarulo viene additato al pubblico ludibrio come traditore della patria e della democrazia, chi sacrifica i diritti sociali delle classi popolari, imponendo, dopo due anni di pandemia, l’aumento delle spese militari e le ricadute energetiche di una guerra che in alcun modo tenta di arrestare, riceve il plauso di un apparato mediatico nelle mani di un oligopolio (i cui azionisti controllano anche buona parte dell’industria bellica: si pensi a Gedi/Exor). Infine, mentre si infierisce su Pagliarulo, nessuno chiede lo scioglimento di Forza Nuova, che ha legami ideologici nonché militari con la Russia di Putin.



IX. L’Anpi, la Costituzione e la democrazia. Perché l’Anpi oggi è ancora, anzi, più che mai, necessaria? Dovrebbe bastare un semplice dato, per chiudere la questione: l’Associazione dei partigiani conta 120.000 iscritti; Fratelli d’Italia 130.000. In un paese in cui, stando ai sondaggi, il 40% dell’elettorato voterebbe per due partiti di estrema destra, l’Anpi, con tutti i limiti che può avere, è uno dei pochi presidi di democrazia rimasti. Ed è proprio per questo che la si vorrebbe liquidare, con argomenti pretestuosi, come la sua obsolescenza (come se non si fosse rinnovata, nelle finalità e nel corpo militante, già da diversi anni) o la sua “faziosità”: celebri pure il 25 aprile, ma non si impicci di politica (una logica introiettata, purtroppo, anche da non pochi dei suoi iscritti). Delegittimando l’Anpi, si vuole archiviare definitivamente l’antifascismo come DNA della cultura politica nazionale e, con esso, quella Costituzione che, nata dalla Resistenza, ne raccoglie la triplice eredità di lotta di liberazione, guerra antifascista e lotta di classe: un circolo virtuoso che risulta intollerabile, nell’epoca di irreggimentazione permanente che sempre più ci imprigiona.


X. La Resistenza come promessa. “Come non illudersi che il nuovo Stato italiano avrebbe preso atto di tutto quello che la lotta partigiana significava: la forza di un popolo quando gli comanda la coscienza morale; l’intuito giusto della salvezza e libertà nazionali; la distruzione dei vecchi sistemi statali a base militaristica; la possibilità di un’esperienza di autogoverno? Come non ritenere inevitabile che la Resistenza, che oggi osava affrontare armata il fascismo e lo sconfiggeva, avrebbe distrutto tutto quanto il fascismo aveva rappresentato nella storia italiana e non soltanto italiana: la boria nazionalistica, lo spirito di divisione dell’Europa e del mondo intero, l’ossessione imperialistica, il bruto attivismo, lo stato etico, il capitalismo cieco? La «liberazione» doveva diventare «tutta la libertà»”
. In queste parole, pronunciate da Antonicelli nel 1949, sono scolpiti i fondamenti dell’antifascismo italiano, quello rinnovatore, nato ben prima dell’8 settembre 1943 e non esauritosi con il 25 aprile 1945; a noi, fuori e dentro l’Anpi, il compito di inverare la promessa di redenzione dal nazionalismo, dal militarismo e dall’ingiustizia che esso ha dischiuso.

SCIOGLIERE LA NATO
di Laura Tussi 



Dal Premio Nobel per la pace per il disarmo nucleare allo scioglimento della Nato
 
Noi Ecopacifisti e Disarmisti siamo parte della Rete internazionale Ican insignita del premio Nobel per la pace 2017 per l’abolizione degli ordigni di distruzione di massa nucleari e per il disarmo nucleare universale e a cui molte associazioni a livello nazionale e internazionale sono affiliate e sono membri attivi. Alcuni di noi attivisti Disarmisti sono stati a New York a palazzo di vetro nel 2017 con 122 nazioni e la società civile organizzata in Ican per varare il trattato di proibizione delle armi nucleari, il TPAN, un trattato Onu che in Italia e in tutti i paesi sotto l’egida Nato non è stato ancora ratificato, ossia non è passato al vaglio della legislazione parlamentare e non è stata discussa e approvata in parlamento l'adesione dell'Italia.
Nel gennaio del 2021, il trattato di proibizione delle armi nucleari è diventato attuativo, ma non per la Nato. Il TPAN è un trattato ONU che è valso alla rete internazionale Ican il Premio Nobel per la pace e ricordiamo, purtroppo, le risoluzioni Onu come in Palestina sono sempre state disattese. L'ONU andrebbe potenziata nel suo ruolo di pace internazionale.
Gli Stati Uniti vogliono stoccare le nuove bombe nucleari di ultima generazione molto più sofisticate, elaborate e mortifere le B 61-12 ad Aviano, a Ghedi e a Buchel in Germania come a Comiso negli anni '80 in piena guerra fredda furono stoccati gli euromissili.
Noi siamo dalla parte della terra contro il flagello della guerra e stiamo attivando un coordinamento antinucleare europeo, quindi la mobilitazione dell’Europa di pace, dell’Europa dei popoli, che deriva direttamente dall’Europa di Ventotene, frutto della visione di una Europa mai più teatro di guerre come affermato appunto nel Manifesto di Ventotene, scritto dai Partigiani che ci hanno donato la Costituzione e la dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 che risultano essere un disturbo per chi vuole la guerra e per tutti i guerrafondai.

 

Le imposizioni della Nato 
La Nato impone all’unione europea l’innalzamento delle spese militari e questi sono fondi tolti alla transizione ecologica e alla conversione energetica.
Per questo motivo in Germania viene addirittura rallentata la rivoluzione 'green'. E a tutto questo si adeguano le nazioni sottoposte alla Nato.
Ogni nazione Nato deve contribuire al settore militare per questo sono tolti alle spese di bilancio i fondi economici sanitari, gli investimenti nell’istruzione, nell’università e nella ricerca e nello stato sociale.
Il coordinamento antinucleare europeo, progetto in nuce negli ambienti ecopacifisti e disarmisti, prevede un grande dialogo tra est e ovest del mondo dove occorre sollevare i problemi dei trattati antinucleari come non solo il TPAN, ma anche ad esempio il trattato INF contro il nucleare che è saltato e abolito in epoca Trump. 
Il nostro obiettivo è quello di far esprimere la cittadinanza europea sulla presenza delle armi nucleari nel territorio europeo e la denuclearizzazione anche civile e non vogliamo la tassonomia UE cioè l’inserimento del nucleare tra le fonti annoverate nell'elenco dei derivati dell'energia sostenibile.
La società va sensibilizzata su un orizzonte ancora più vasto della guerra in Ucraina ad esempio sui trattati antinucleari che mancano purtroppo e sono stati aboliti dal potere. E nel frattempo, si assiste a un ritorno agli euromissili ipersonici a medio raggio in una guerra limitata al teatro europeo.

 

Le parole per convincere i potenti a deporre le armi. 
La violenza ingenera violenza. Nella guerra nessuno è vincitore, ma tutti siamo vinti. La guerra ingenera morte, distruzione, stragi e porterebbe al conflitto ultimo, alla terza guerra mondiale ossia alla guerra nucleare e a un iniziale inverno nucleare. Questo condurrebbe inesorabilmente alla fine del genere umano. Alla eliminazione totale della presenza nell'universo del genere umano e del valore della storia e dei progressi dell’umanità.
Margherita Hack diceva che siamo figli delle stelle di questa cosmogenesi femminile come di madre terra e abbiamo il diritto e il dovere di tutelare la natura dalla distruzione non solo ecologica e climatica, ma appunto anche nucleare. In questo stato di allerta, emergenza, minaccia occorrono invece corridoi umanitari, occorre sensibilizzare l’opinione pubblica contro la guerra, occorrono negoziati tra i potenti e trattative e compromessi di pace per risolvere embarghi, restrizioni, sanzioni, installazioni delle basi Nato che ingenerano guerra, violenza, morte. I massmedia non lo dicono, ma tutto questo odio innescato dal sistema di potere alimenta l’industria delle armi e l’apparato e il sistema e il complesso militare, industriale, fossile. I governi soprattutto non devono inviare armi ai Paesi belligeranti, ma devono fornire beni di prima necessità, viveri, alimentari, medicinali. Occorre che tutte le nazioni aiutino i profughi. Ogni nazione deve accoglierli attraverso i corridoi umanitari e bisogna fare molta attenzione ai bombardamenti per le centrali nucleari presenti in Ucraina e in Russia.
 
La guerra è solo tra Russia e Ucraina? 
Non è scoppiata adesso la guerra. Noi siamo da sempre in guerra.
La guerra in Iraq, in Afghanistan, in Jugoslavia, in Libia, in Siria. I bambini continuano a morire sotto le bombe. La Nato vuole tutto questo. La Nato è un organo militare istituito dagli Stati Uniti dopo la Seconda guerra mondiale con il patto di Varsavia, l’alleanza atlantica, la cortina di ferro, il muro di Berlino. Ora queste entità geopolitiche non esistono più e per questo la Nato va eliminata. Va sciolta. E deve essere invece potenziato il ruolo dell'Onu per la pace universale.

 
L’equilibrio con madre terra e la natura. 
Noi che siamo dalla parte dell’equilibrio vivente di cui facciamo parte, ci opponiamo alle guerre che lo violentano attentando alla vita di tutti. Ricordiamo che l’attività militare è causa di circa il 20 per cento delle emissioni di co2 e abbiamo partecipato alla cop26 di Glasgow perché questo dato terribile fosse certificato negli accordi di Parigi sul clima globale. La guerra con epicentro in Ucraina è particolarmente pericolosa perché la sua escalation può precipitare in un conflitto nucleare globale e noi sosteniamo questo fatto, ossia che dalla proibizione, non ratificata dalle potenze nucleari e dai paesi Nato, si passi alla eliminazione effettiva degli ordigni nucleari, di tutte le armi di distruzione di massa nucleari. Siamo contrari al fatto che si giochi a far crollare le economie con sanzioni energetiche, mentre dovremmo unire gli sforzi sulla Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile. 
Siamo con i popoli che risultano dai sondaggi avversare il riarmo, e siamo contro l’alimentare con l'invio di armi conflitti che possono degenerare, e non accettiamo che l'economia possa essere gestita come arma di guerra. 
Proseguiamo sulle tre partite che andrebbero aperte a livello europeo: denuclearizzazione e decarbonizzazione e piani nazionali per la conversione ecologica, il lavoro verde che si innesti sulla promozione di un modello rinnovabile al cento per cento e la base per una società strutturalmente pacifica: la pace con la natura consente la pace tra gli esseri umani.
 

CONTRO LA GUERRA











NONVIOLENZA


Vignetta di Claudio Fantozzi


giovedì 28 aprile 2022

DA ACRI UNA LEZIONE DI PACE
di Rocco Altieri*

Acri. Il monumento contro le guerre
realizzato da Gino Scarsi
 
Un messaggio culturale importante.  
 
Pisa. Acri, importante e storico comune calabrese di circa 20.000 abitanti in provincia di Cosenza, che dal 17 settembre 2001 si fregia del titolo di città, dal 25 aprile 2022 ha acquisito a buon diritto quello di Città per la Pace che lo eleva in Calabria al rango culturale di altre già blasonate località: San Giovanni in Fiore, insediamento monastico dell’abate Gioacchino di spirito profetico dotato; Stilo, Città del Sole di Tommaso Campanella; Palmi, paese natale del filosofo e poeta Domenico Antonio Cardone, candidato negli anni sessanta al premio Nobel per la pace.
A dare lustro alla città calabrese di Acri è stata la recente decisione dell’amministrazione comunale di collocare in uno spazio pubblico il monumento contro tutte le guerre, arrivato in Calabria grazie ai buoni uffici dello scrittore Angelo Gaccione, nativo di Acri e fondatore con Cassola della Lega per il disarmo unilaterale.
Da anni si aspettava di vedere il monumento esposto in un luogo consono, ma evidentemente tante sono state le incomprensioni, le ottusità, le resistenze.
Da tutti è accettato costruire sepolcri per le vittime, non le opere che ne denuncino il crimine. È significativo che, a dare la spinta per vincere le paure del passato, sia stata negli amministratori la volontà di dare un messaggio di pace in un momento così tragico per la minaccia incombente di un’escalation verso la guerra atomica. Finora nelle piazze di tutt’Italia si possono incontrare unicamente i monumenti voluti dal fascismo per esaltare la retorica della guerra. Tali monumenti, a dispetto della lunga tradizione cristiana, sono una forma di idolatria cui tutti si sono piegati in un rigurgito pagano di esaltazione militaristica. In Italia non ci sono monumenti per la pace. Quello di Acri è in assoluto il primo del genere contro la guerra, che ne denuncia le cause, figurate nelle tre teste mostruose dell’idra di Lerna, il mostro assassino che infierisce sull’uomo che è a terra prostrato.
Gli educatori devono affiancare i ragazzi e i cittadini nel rendere intelligibile l’opera perché si intenda come la violenza organizzata degli stati si alimenta della forza bruta, della volontà di dominio e di accumulazione di ricchezze e queste sono la negazione dell’umana convivenza. La guerra non è un fatto ineluttabile. La guerra è follia, per cui, come afferma il preambolo costitutivo dell’UNESCO nel 1945: “Se le guerre iniziano nella mente degli uomini, è nella mente degli uomini che devono essere costruite le difese della pace”.
 
*Presidente del Centro Gandhi di Pisa

DOMANDE


Uno dei capi di Stato è chiamato Zar Putin, l’altro Sultano Erdogan. Allo Zar non viene perdonato nulla, se lo merita, ma qualcosa sarebbe da approfondire, cioè di criticare un’informazione ossessiva e a senso unico tutta tesa a nascondere che lo statuto della NATO le vieta sia di intervenire a sostegno di paesi non appartenenti alla NATO, sia di aggredire altri Stati. Al Sultano, invece, viene perdonato tutto. Sono anni che bombarda i curdi in Iraq e in Siria (oltre che nella sua Turchia). Egli ha pagato, armato e protetto i jihadisti dell’ISIS, un movimento terroristico ben noto creato con armi occidentali e portato a combattere una guerra che si è trasformata nell’annientamento della Siria e di vasti territori iracheni. Sia il Sultano che l’allora Segretaria di Stato USA Hillary Clinton avevano presentato l’ISIS al mondo come un movimento di resistenza ispirato a ideali di libertà (cosa che non si ricorda più). Inoltre il Sultano ha spostato a suo vantaggio territoriale i confini con la Siria, rubando 30 chilometri di terreno alla regione del Rojava, cacciando dai loro territori 300 mila curdi siriani, e mettendo bandiere e truppe turche. Da settimane c’è una vasta invasione turca di territori curdi iracheni che bombarda civili, tra cui anche donne e bambini, bombarda anche la popolazione curda yazida, già massacrata nel 2014 dai jihadisti, e ora sempre in Iraq sta installando basi militari turche.
Domanda: c’è una differenza tra una bomba dello Zar che uccide gli ucraini e una bomba della NATO (di cui il Sultano fa parte) che uccide i curdi? E perché se un ucraino prende le armi per difendersi dallo Zar è uno che fa opera di resistenza, mentre un curdo che prende un’arma per difendersi viene etichettato come terrorista?
Silvana Barbieri

 

PRIMO MAGGIO CON I POPOLI
CONTRO I GOVERNI DELLA GUERRA


Elaborazione grafica di
Giuseppe Denti
 
Nell’ambito del percorso unitario di “Milano contro la Guerra”.
 
Primo Maggio 2022 uniti e solidali per la pace contro la guerra.
Ampliamo l’unità di chi vuole mobilitarsi e reagire contro tutte le guerre, affermando la pace.
A fianco delle popolazioni ucraine, contro Putin e la criminale aggressione delle sue truppe.
Per un immediato cessate il fuoco e per il ritiro dell’esercito russo.
Contro l’espansione della Nato, l’invio di armi all’esercito ucraino che alimentano il rischio di allargare il conflitto.
Siamo a fianco di chi in Russia manifesta per la pace.
Siamo contrapposti e distanti dal nazionalismo russo e da quello speculare e xenofobo del governo ucraino di Zelensky.
Per la solidarietà tra i popoli e per l’accoglienza incondizionata di chi fugge da tutte le guerre senza nessuna discriminazione etnica e di nazionalità. Uniamoci contro le logiche belliche: con le donne contro la violenza maschilista e patriarcale, con le lavoratrici e i lavoratori contro lo sfruttamento e la violenza padronale, con i fratelli e le sorelle immigrate contro il razzismo e tutte le discriminazioni, contro l’ulteriore immiserimento e peggioramento delle condizioni di esistenza come conseguenza dell’escalation bellica.
Primo Maggio di incontro e dialogo per costruire solidarietà, con mostre, stand di tutte le associazioni, intrattenimenti, dibattiti e assemblea contro la guerra .
 
Piazza del Cannone (Castello Sforzesco - MM1 Cairoli)
dalle ore 15.00

 
Primi promotori:



La Comune Milano
(lacomunemi@gmail.com; 0229517232 – 392 2630283)
Le Veglie contro le morti in Mare Milano
(leveglie21@gmail.com)
Odissea (giornale di cultura, dibattito e riflessione)   
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LETTORI GUERRA



Essere pacifista in tempo di Guerra.
 
Mi sento pacifista integrale, "senza se e senza ma"; cerco di seguire, nel mio piccolo, gli insegnamenti sulla non violenza di Gandhi, don Milani, Ernesto Balducci, Aldo Capitini, Bruno Bauer e quanti nei secoli li hanno preceduti (ricordo il frammento di Archiloco, lirico greco, che si disinteressava dello scudo e del suo onore, ritenendo più importante aver salva la vita...) e non manderei le armi ad alcuno dei contendenti. Ma sento la domanda che sempre viene rivolta a chi la vede come me, da parte di chi, quelle armi, le manderebbe: "cosa faresti ora?". Ecco il punto: proprio la domanda è sbagliata, in questo caso, come in tutti i casi passati. Chiedere ad un pacifista, che non vuole la guerra, che cosa farebbe durante una guerra, sarebbe come chiedere a chi non sa nuotare, che cosa farebbe per salvarsi mentre sta annegando: avrebbe deciso prima di non entrare in acqua!
Se la "guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi", la domanda andrebbe rovesciata:"voi che oggi inviereste le armi, cosa avete fatto, quando era il momento della politica, prima che la situazione degenerasse e la politica proseguisse con le armi della guerra?".
Abbiamo da poco festeggiato il 25 aprile: da quella lotta di liberazione nacque la nostra democrazia. I padri costituenti, usciti dalle macerie, scrissero che “L'Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali". Intendevano questo: che le controversie si risolvono con la politica, "senza se e senza ma".
Antonio Prattella