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UNA NUOVA ODISSEA...
DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES
Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.
Angelo Gaccione
LIBER
L'illustrazione di Adamo Calabrese
FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
Buon compleanno Odissea
sabato 30 aprile 2022
PRO E CONTRO
L’INVIO DI ARMI ALL’UCRAINA
Lettori
e guerra
UN ALTRO SGUARDO
In
tutti questi giorni di guerra abbiamo capito alcune cose:
1.-
L’Italia
ripudia la guerra fino a quando non lo dice la Nato;
2.- Che se fai il saluto fascista sulla tomba di
Mussolini sei perseguibile per legge, se inneggi al nazismo con il sole nero,
la runa del lupo e la svastica, contornati però dai colori della bandiera
Ucraina, allora sei pacifista;
3. -
Gli oligarchi
russi sono cattivi, gli oligarchi ucraini sono buoni;
4.-
I nazisti
sono sempre stati cattivissimi, tranne quelli ucraini che inneggiano ad Hitler
ma non sono nazisti (cit. Mentana);
5.-
Che tutte le
arti russe, musica, poesia, letteratura, cinema, sono merda purissima e quel
poco che c’è di buono è sicuramente di origine ucraina e i russi se ne sono
appropriati;
6.-
I referendum
che fanno in Kosovo sono validi, quelli fatti nel Donbass no (per ulteriori
informazioni chiedere a Cuperlo);
7.- Che i russi uccidono i giornalisti scomodi, gli
stati democratici no, in effetti Mino Pecorelli e molti altri si sono suicidati;
8.-
Che in Russia
i giornalisti non hanno libertà di parola, mentre nel mondo democratico Julian
Assange ed Edward Snowden sono liberi di raccontarvi i segreti delle
amministrazioni democratiche dei paesi democratici;
9.-
Che le
invasioni russe di Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, e poi Afghanistan,
Cecenia e Georgia sono state fatte perché i russi sono cattivi e comunisti
(almeno a quei tempi), se invece sei democratico e sponsorizzi colpi di stato
in Cile, Argentina, Nicaragua, El Salvador, Guatemala, Venezuela, Bolivia,
Panama, Uruguay, Brasile, Cuba, Repubblica Dominicana, Grenada, Ucraina sei
bravo. Sempre se sei democratico e radi al suolo, Korea, Vietnam, Iran, Iraq,
Libia, Siria, Serbia, Afghanistan va bene. A volte sei talmente democratico da
sganciare 2 bombe atomiche su un paese ormai in ginocchio, ma hai un tale
livello di democrazia che le bombe non le sganci su obbiettivi militari ma su 2
città abitate da poveri cristi (350.000 morti in 24 ore, oltre il milione per
le conseguenze);
10.-
I calciatori russi sono cattivi e non possono andare ai mondiali di calcio. I
calciatori dell’Arabia Saudita sono bravissimi, non sono molto democratici, ma
sono amici dei più democratici del mondo, e quindi anche se l’Arabia Saudita
uccide in 7 anni 400.000 yemeniti, un’eccezione si può sempre fare e che cazzo
gli amici sono amici;
11.-
Se poi sei il più furbo di tutti e vuoi boicottare i russi cattivi, non compri
più il gas russo, ma lo compri dagli amici della Russia, la cui rete è gestita
da una compagnia russa, ma lo paghi il 30% in più perché sei democratico ma
anche un po’ furbo;
Poi
ti devi giustificare sul perché ti girano le palle.
Un
lettore di “Odissea” incazzato
venerdì 29 aprile 2022
ANPI E
DETRATTORI
di Monica Quirico
Resistenza,
Anpi e intellettuali (minuscoli):
dieci spunti
di riflessione
I. Nemico pubblico numero uno. Il
linciaggio, personale oltre che politico, cui è sottoposto da settimane il
presidente dell’Anpi, Gianfranco Pagliarulo, ha pochi precedenti nella storia
repubblicana; che a compierlo siano per lo più giornalisti, intellettuali e
politici “progressisti” (alcuni con trascorsi rivoluzionari), a cui la destra
ben volentieri delega il lavoro sporco, rende la vicenda paradigmatica
dell’imbarbarimento del sistema mediatico e dell’irreversibile declino di un
intero ceto intellettuale.
II. Maiuscole e minuscole. La
nostra Resistenza (ma anche quella francese, norvegese, jugoslava…) si fregia
dell’iniziale maiuscola perché costituisce uno specifico fenomeno storico (la
guerra partigiana contro l’occupazione nazifascista); allo stesso modo, si
scrive Rinascimento per distinguere, nella storia della cultura, una
determinata epoca da usi generici, talvolta impropri, del termine - come ad
esempio il luminoso avvenire che Renzi preconizza per l’Arabia Saudita. Che le
altre resistenze, a partire da quella ucraina, si scrivano con la minuscola non
comporta una loro deminutio capitis,
ma semplicemente il riconoscimento di diverse condizioni storiche.
III. Solidarietà a senso unico. Giornalisti
e intellettuali con l’elmetto (indossato sulla poltrona) vedono nell’invio di armi
all’Ucraina un discrimine morale: la solidarietà (dei veri democratici) contro
l’inerzia (delle anime belle). Vano sarebbe cercare, nei loro interventi
passati, tracce di un appoggio altrettanto incondizionato ad altre resistenze,
che pure ci sono state, negli ultimi decenni: quella irachena (non riducibile
ai sostenitori di Saddam Hussein), quella afghana (non identificabile coi soli
talebani), per tacere di quella curda (scomoda, con il suo confederalismo
democratico) e, ça va sans dire,
quella palestinese. Tutti popoli che hanno subìto l’aggressione di uno o più
paesi stranieri (dagli Stati Uniti alla Turchia) e che però, anche quando non
sono mancate espressioni di condanna dell’occupante, non sono stati considerati
meritevoli, da parte del “Corriere” o di “Repubblica” o di “Micromega”, di un
sostegno armato da parte dell’Occidente e dell’Italia. Forse perché gli
aggressori erano gli Stati Uniti o qualche loro irrinunciabile (per quanto
impresentabile) alleato. E meno che mai si è rispolverata la nostra Resistenza.
Quanto ai civili siriani bombardati implacabilmente dalla Russia, hanno
agonizzato nell’indifferenza generale. Certo non hanno chiesto di inviare armi
a movimenti per cui pure simpatizzano (come quello curdo o palestinese) l’Anpi
o altre organizzazioni pacifiste, ritenendo che in qualsiasi caso rispondere alla guerra con più guerra conduca
solo alla catastrofe, come ha ben visto Emergency in questi anni. Piuttosto,
hanno insistito per una soluzione diplomatica dei conflitti. Inascoltati, come
oggi. Chi è di parte, dunque? Chi è “passivo”?
IV. Quale Resistenza? Polemizzando
con Luigi Salvatorelli, che equiparava la lotta partigiana a quella dei caduti
del Grappa e del Piave, Franco Antonicelli, fulgido intellettuale che per fare
il suo dovere aveva assunto la presidenza del CLN Piemonte, puntualizzava: “Il
definire meglio le due «resistenze» non significa opporle fra loro per farne risultare vincitrice
una: significa fare una più perspicua opera di storia e trarne le naturali
conseguenze. Nasce il sospetto che nell’equiparazione si voglia a bella posta
togliere i caratteri distintivi, annullarli in una superiore ma arbitraria
identità”. In alcuni paesi, tra cui il nostro, la Resistenza fu, certo, una
lotta di liberazione nazionale (dall’invasore nazista), ma anche una guerra
civile (contro il fascismo come regime e contro i fascisti che quel regime
incarnavano) e, per una parte del movimento partigiano, una guerra di classe
(contro il padronato agricolo e industriale, che aveva appoggiato Mussolini
come “soluzione” della crisi sociale). Quest’ultima dimensione costituisce uno
dei maggiori rimossi della nostra storia, non secondariamente per la scelta del
PCI di oscurarla, con la svolta di Salerno, per accreditarsi come partito
dell’unità nazionale. Della Resistenza invocata oggi come “patentino” della
legittimità della resistenza ucraina si recupera ovviamente solo la componente
di liberazione nazionale nella sua
dimensione armata, con buona pace del contributo della resistenza non
violenta.
V. Strategie complementari di manipolazione
della storia. La memoria pubblica funziona ormai come Amazon:
chiunque può cliccare sull’articolo (il personaggio o il fenomeno) che più gli
conviene in quel momento, senza curarsi né della filiera, né della destinazione
e dell’impatto. La strumentalizzazione della storia, una piaga non solo
italiana, si presenta sotto due volti. Il più rozzo, che nel nostro paese
produce effetti particolarmente mefitici, è quello dell’appiattimento di
processi ed eventi sul paradigma vittimario: nell’indistinzione dei morti, si
compie l’assoluzione dei vivi (i fascisti e gli esponenti del potere
istituzionale ed economico), mentre il giudizio della Storia condanna
all’infamia i “rossi”. Il volto più raffinato, per così dire, consiste
nell’appropriazione di personaggi e processi “eccentrici”, non prima di averli
depurati delle loro componenti disturbanti: così il socialdemocratico Olof
Palme, odiato dalla destra in vita, da morto viene canonizzato, ma in quanto
campione del liberalismo; analogamente, Antonio Gramsci diventa icona di
italianità, ma per la sua indiscutibile (?) ispirazione liberale. Nel caso
della Resistenza, si è passati con la massima disinvoltura dalla
criminalizzazione degli ultimi decenni a una repentina (e verosimilmente assai
transitoria) beatificazione. L’arroganza intellettuale e morale della classe
dirigente ha passato ogni limite.
VI. La resa degli intellettuali. Scomparse
le organizzazioni di massa (se non quelle di destra) che assicuravano loro un
ruolo sociale, gli intellettuali “progressisti” (il maschile è intenzionale) si
sono adeguati alle modalità comunicative di un sistema mediatico ibrido, in cui
la logica binaria dei social avvelena anche i media tradizionali; non vi è
posto per l’argomentare razionale e il confronto civile tanto cari ai
liberaldemocratici, ma solo per la rissa. Ecco allora che, anziché contribuire
al dibattito pubblico mettendo a fuoco le aporie del diritto internazionale
(dalle ambiguità del principio di autodeterminazione dei popoli all’impotenza
dell’Onu di fronte al militarismo), i nostri intellettuali democratici hanno
sfoderato, in occasione dell’aggressione russa all’Ucraina, una logica binaria
amico-nemico, alleato-traditore, degna delle peggiori fasi della Guerra fredda
e per giunta incattivita da una comunicazione urlata e diretta alla
delegittimazione dell’interlocutore. Pochi vi si sono sottratti; tra loro,
Michele Serra, che, pur dichiarandosi a favore dell’invio di armi all’Ucraina,
si è rifiutato di partecipare al derby fra le opposte tifoserie, confessando
anzi il suo tormento interiore. Ma, appunto, si tratta di casi isolati. Lo
“stile” del dibattito è stato dettato piuttosto da chi, come Paolo Flores
d’Arcais, ha definito “oscena” la posizione di Pagliarulo, salvo poi invitarlo
a un confronto pubblico (prima ti demolisco, poi parliamo, insomma).
VII. Acribia filologica a corrente alternata. Mediocri
pennivendoli con l’elmetto si sono presi la briga (sottraendo tempo a cause più
nobili) di andare a spulciare i post sul Donbass scritti da Pagliarulo a
partire dal 2014, per dimostrarne in modo inequivocabile il “putinismo”.
Dunque, commenti di sette-otto anni fa, su cui si può essere più o meno in
accordo, sono usati per squalificare le dichiarazioni di oggi, e con esse la
persona tout-court; un procedimento metodologicamente assai discutibile,
considerando che Pagliarulo, e l’Anpi, hanno immediatamente e ripetutamente
condannato l’aggressione russa. Ancora più strumentale appare poi una
pubblicazione dei post di Pagliarulo completamente avulsa dalle contemporanee
prese di posizione di organismi transnazionali al di sopra di ogni sospetto,
che constatavano nella regione contesa gravi violazioni dei diritti umani da
entrambe le parti: i nazionalisti filorussi come l’esercito e le formazioni
paramilitari ucraine (si veda, tra gli altri, il rapporto del 2017 dell’Alto
Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, https://www.ohchr.org/sites/default/files/Documents/Countries/UA/UAReport19th_EN.pdf). La
stessa sorte è toccata del resto al comunicato di Pagliarulo sul massacro di
Bucha. Il presidente dell’ANPI ha chiesto una commissione d’inchiesta
indipendente per accertare le effettive responsabilità: esattamente quello che
ha sollecitato il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres,
per la semplice ragione che è ciò che prevede il diritto internazionale. Ma
questo particolare deve essere sembrato ininfluente, ai guerrafondai nostrani,
che lo hanno per lo più taciuto.
VIII. Il capro espiatorio. Per gli
avversari dell’Anpi e del movimento pacifista, Pagliarulo rappresenta un
bersaglio perfetto: ha un passato comunista (una colpa da cui non ci si redime,
in Italia, se non rincorrendo la destra fino ad autoliquidarsi) e non può
contare sull’appoggio di organizzazioni di massa. Il PD, che di massa non è
più, si pone anzi come uno dei suoi più accaniti detrattori. Attribuendo a
Pagliarulo posizioni “vergognose”, si vende all’opinione pubblica una
narrazione rovesciata, in cui a essere faziosi (perché “putiniani”) e inerti
(perché complici) sono i pacifisti. In questo modo, si devia l’attenzione da
chi è davvero compromesso con Putin così come da chi si preoccupa soltanto di
vendere armi, non di perseguire la pace per via negoziale. Così, mentre i
sinceri democratici chiedono le dimissioni di Pagliarulo, Salvini, i cui
rapporti con Mosca sono noti a tutti, se l’è cavata con la passeggera
umiliazione patita in Polonia. Anche in questo caso sono stati rispolverati
vecchi post, che hanno, sì, dato adito a sarcasmo, ma non alla richiesta di
dimissioni della Lega dal governo. Mentre Pagliarulo viene additato al pubblico
ludibrio come traditore della patria e della democrazia, chi sacrifica i
diritti sociali delle classi popolari, imponendo, dopo due anni di pandemia, l’aumento
delle spese militari e le ricadute energetiche di una guerra che in alcun modo
tenta di arrestare, riceve il plauso di un apparato mediatico nelle mani di un
oligopolio (i cui azionisti controllano anche buona parte dell’industria
bellica: si pensi a Gedi/Exor). Infine, mentre si infierisce su Pagliarulo,
nessuno chiede lo scioglimento di Forza Nuova, che ha legami ideologici nonché
militari con la Russia di Putin.
IX. L’Anpi, la Costituzione e la democrazia. Perché
l’Anpi oggi è ancora, anzi, più che mai, necessaria? Dovrebbe bastare un
semplice dato, per chiudere la questione: l’Associazione dei partigiani conta
120.000 iscritti; Fratelli d’Italia 130.000. In un paese in cui, stando ai
sondaggi, il 40% dell’elettorato voterebbe per due partiti di estrema destra,
l’Anpi, con tutti i limiti che può avere, è uno dei pochi presidi di democrazia
rimasti. Ed è proprio per questo che la si vorrebbe liquidare, con argomenti
pretestuosi, come la sua obsolescenza (come se non si fosse rinnovata, nelle
finalità e nel corpo militante, già da diversi anni) o la sua “faziosità”:
celebri pure il 25 aprile, ma non si impicci di politica (una logica
introiettata, purtroppo, anche da non pochi dei suoi iscritti). Delegittimando
l’Anpi, si vuole archiviare definitivamente l’antifascismo come DNA della
cultura politica nazionale e, con esso, quella Costituzione che, nata dalla
Resistenza, ne raccoglie la triplice eredità di lotta di liberazione, guerra
antifascista e lotta di classe: un circolo virtuoso che risulta intollerabile,
nell’epoca di irreggimentazione permanente che sempre più ci imprigiona.
X. La Resistenza come promessa. “Come
non illudersi che il nuovo Stato italiano avrebbe preso atto di tutto quello
che la lotta partigiana significava: la forza di un popolo quando gli comanda
la coscienza morale; l’intuito giusto della salvezza e libertà nazionali; la
distruzione dei vecchi sistemi statali a base militaristica; la possibilità di
un’esperienza di autogoverno? Come non ritenere inevitabile che la Resistenza, che
oggi osava affrontare armata il fascismo e lo sconfiggeva, avrebbe distrutto
tutto quanto il fascismo aveva rappresentato nella storia italiana e non
soltanto italiana: la boria nazionalistica, lo spirito di divisione dell’Europa
e del mondo intero, l’ossessione imperialistica, il bruto attivismo, lo stato
etico, il capitalismo cieco? La «liberazione» doveva
diventare «tutta la
libertà»”. In
queste parole, pronunciate da Antonicelli nel 1949, sono scolpiti i fondamenti
dell’antifascismo italiano, quello rinnovatore, nato ben prima dell’8 settembre
1943 e non esauritosi con il 25 aprile 1945; a noi, fuori e dentro l’Anpi, il
compito di inverare la promessa di redenzione dal nazionalismo, dal militarismo
e dall’ingiustizia che esso ha dischiuso.
SCIOGLIERE LA NATO
di
Laura Tussi
Dal
Premio Nobel per la pace per il disarmo nucleare allo scioglimento della Nato.
Noi
Ecopacifisti e Disarmisti siamo parte della Rete internazionale Ican insignita
del premio Nobel per la pace 2017 per l’abolizione degli ordigni di distruzione
di massa nucleari e per il disarmo nucleare universale e a cui molte
associazioni a livello nazionale e internazionale sono affiliate e sono membri
attivi. Alcuni di noi attivisti Disarmisti sono stati a New York a palazzo di
vetro nel 2017 con 122 nazioni e la società civile organizzata in Ican per
varare il trattato di proibizione delle armi nucleari, il TPAN, un trattato Onu
che in Italia e in tutti i paesi sotto l’egida Nato non è stato ancora
ratificato, ossia non è passato al vaglio della legislazione parlamentare e non
è stata discussa e approvata in parlamento l'adesione dell'Italia.
Nel
gennaio del 2021, il trattato di proibizione delle armi nucleari è diventato
attuativo, ma non per la Nato. Il TPAN è un trattato ONU che è valso alla rete
internazionale Ican il Premio Nobel per la pace e ricordiamo, purtroppo, le
risoluzioni Onu come in Palestina sono sempre state disattese. L'ONU
andrebbe potenziata nel suo ruolo di pace internazionale.
Gli
Stati Uniti vogliono stoccare le nuove bombe nucleari di ultima generazione
molto più sofisticate, elaborate e mortifere le B 61-12 ad Aviano, a Ghedi e a
Buchel in Germania come a Comiso negli anni '80 in piena guerra fredda furono
stoccati gli euromissili.
Noi
siamo dalla parte della terra contro il flagello della guerra e stiamo
attivando un coordinamento antinucleare europeo, quindi la mobilitazione
dell’Europa di pace, dell’Europa dei popoli, che deriva direttamente dall’Europa
di Ventotene, frutto della visione di una Europa mai più teatro di guerre come
affermato appunto nel Manifesto di Ventotene, scritto dai Partigiani che ci
hanno donato la Costituzione e la dichiarazione universale dei diritti umani
del 1948 che risultano essere un disturbo per chi vuole la guerra e per tutti i
guerrafondai.
Le
imposizioni della Nato.
La
Nato impone all’unione europea l’innalzamento delle spese militari e questi
sono fondi tolti alla transizione ecologica e alla conversione energetica.
Per
questo motivo in Germania viene addirittura rallentata la rivoluzione 'green'.
E a tutto questo si adeguano le nazioni sottoposte alla Nato.
Ogni
nazione Nato deve contribuire al settore militare per questo sono tolti alle
spese di bilancio i fondi economici sanitari, gli investimenti nell’istruzione,
nell’università e nella ricerca e nello stato sociale.
Il
coordinamento antinucleare europeo, progetto in nuce negli ambienti
ecopacifisti e disarmisti, prevede un grande dialogo tra est e ovest del mondo
dove occorre sollevare i problemi dei trattati antinucleari come non solo il
TPAN, ma anche ad esempio il trattato INF contro il nucleare che è saltato e
abolito in epoca Trump.
Il
nostro obiettivo è quello di far esprimere la cittadinanza europea sulla
presenza delle armi nucleari nel territorio europeo e la denuclearizzazione
anche civile e non vogliamo la tassonomia UE cioè l’inserimento del nucleare
tra le fonti annoverate nell'elenco dei derivati dell'energia sostenibile.
La
società va sensibilizzata su un orizzonte ancora più vasto della guerra in
Ucraina ad esempio sui trattati antinucleari che mancano purtroppo e sono stati
aboliti dal potere. E nel frattempo, si assiste a un ritorno agli euromissili
ipersonici a medio raggio in una guerra limitata al teatro europeo.
Le
parole per convincere i potenti a deporre le armi.
La
violenza ingenera violenza. Nella guerra nessuno è vincitore, ma tutti siamo
vinti. La guerra ingenera morte, distruzione, stragi e porterebbe al conflitto
ultimo, alla terza guerra mondiale ossia alla guerra nucleare e a un iniziale
inverno nucleare. Questo condurrebbe inesorabilmente alla fine del genere
umano. Alla eliminazione totale della presenza nell'universo del genere umano e
del valore della storia e dei progressi dell’umanità.
Margherita
Hack diceva che siamo figli delle stelle di questa cosmogenesi femminile come
di madre terra e abbiamo il diritto e il dovere di tutelare la natura dalla
distruzione non solo ecologica e climatica, ma appunto anche nucleare. In
questo stato di allerta, emergenza, minaccia occorrono invece corridoi
umanitari, occorre sensibilizzare l’opinione pubblica contro la guerra,
occorrono negoziati tra i potenti e trattative e compromessi di pace per
risolvere embarghi, restrizioni, sanzioni, installazioni delle basi Nato che
ingenerano guerra, violenza, morte. I massmedia non lo dicono, ma tutto questo
odio innescato dal sistema di potere alimenta l’industria delle armi e
l’apparato e il sistema e il complesso militare, industriale, fossile. I
governi soprattutto non devono inviare armi ai Paesi belligeranti, ma devono
fornire beni di prima necessità, viveri, alimentari, medicinali. Occorre che
tutte le nazioni aiutino i profughi. Ogni nazione deve accoglierli attraverso i
corridoi umanitari e bisogna fare molta attenzione ai bombardamenti per le
centrali nucleari presenti in Ucraina e in Russia.
La
guerra è solo tra Russia e Ucraina?
Non
è scoppiata adesso la guerra. Noi siamo da sempre in guerra.
La
guerra in Iraq, in Afghanistan, in Jugoslavia, in Libia, in Siria. I bambini
continuano a morire sotto le bombe. La Nato vuole tutto questo. La Nato è un
organo militare istituito dagli Stati Uniti dopo la Seconda guerra mondiale con
il patto di Varsavia, l’alleanza atlantica, la cortina di ferro, il muro di
Berlino. Ora queste entità geopolitiche non esistono più e per questo la Nato
va eliminata. Va sciolta. E deve essere invece potenziato il ruolo dell'Onu per
la pace universale.
L’equilibrio
con madre terra e la natura.
Noi
che siamo dalla parte dell’equilibrio vivente di cui facciamo parte, ci
opponiamo alle guerre che lo violentano attentando alla vita di tutti.
Ricordiamo che l’attività militare è causa di circa il 20 per cento delle
emissioni di co2 e abbiamo partecipato alla cop26 di Glasgow perché questo dato
terribile fosse certificato negli accordi di Parigi sul clima globale. La
guerra con epicentro in Ucraina è particolarmente pericolosa perché la sua
escalation può precipitare in un conflitto nucleare globale e noi sosteniamo
questo fatto, ossia che dalla proibizione, non ratificata dalle potenze
nucleari e dai paesi Nato, si passi alla eliminazione effettiva degli ordigni
nucleari, di tutte le armi di distruzione di massa nucleari. Siamo contrari al
fatto che si giochi a far crollare le economie con sanzioni energetiche, mentre
dovremmo unire gli sforzi sulla Agenda ONU 2030 per lo sviluppo
sostenibile.
Siamo
con i popoli che risultano dai sondaggi avversare il riarmo, e siamo contro
l’alimentare con l'invio di armi conflitti che possono degenerare, e non
accettiamo che l'economia possa essere gestita come arma di guerra.
Proseguiamo
sulle tre partite che andrebbero aperte a livello europeo: denuclearizzazione e
decarbonizzazione e piani nazionali per la conversione ecologica, il lavoro
verde che si innesti sulla promozione di un modello rinnovabile al cento per
cento e la base per una società strutturalmente pacifica: la pace con la natura
consente la pace tra gli esseri umani.
giovedì 28 aprile 2022
DA ACRI UNA LEZIONE DI
PACE
di Rocco Altieri*
Acri. Il monumento contro le guerre
realizzato da Gino Scarsi
Un messaggio culturale
importante.
Pisa. Acri,
importante e storico comune calabrese di circa 20.000 abitanti in provincia di
Cosenza, che dal 17 settembre 2001 si fregia del titolo di città, dal 25 aprile
2022 ha acquisito a buon diritto quello di Città per la Pace che lo eleva in
Calabria al rango culturale di altre già blasonate località: San Giovanni in
Fiore, insediamento monastico dell’abate Gioacchino di spirito profetico dotato;
Stilo, Città del Sole di Tommaso Campanella; Palmi, paese natale del filosofo e
poeta Domenico Antonio Cardone, candidato negli anni sessanta al premio Nobel
per la pace.
A dare lustro alla città
calabrese di Acri è stata la recente decisione dell’amministrazione comunale di
collocare in uno spazio pubblico il monumento contro tutte le guerre, arrivato
in Calabria grazie ai buoni uffici dello scrittore Angelo Gaccione, nativo di
Acri e fondatore con Cassola della Lega per il disarmo unilaterale.
Da anni si aspettava di vedere il
monumento esposto in un luogo consono, ma evidentemente tante sono state le
incomprensioni, le ottusità, le resistenze.
Da tutti è accettato costruire
sepolcri per le vittime, non le opere che ne denuncino il crimine. È
significativo che, a dare la spinta per vincere le paure del passato, sia stata
negli amministratori la volontà di dare un messaggio di pace in un momento così
tragico per la minaccia incombente di un’escalation verso la guerra atomica. Finora
nelle piazze di tutt’Italia si possono incontrare unicamente i monumenti voluti
dal fascismo per esaltare la retorica della guerra. Tali monumenti, a dispetto
della lunga tradizione cristiana, sono una forma di idolatria cui tutti si sono
piegati in un rigurgito pagano di esaltazione militaristica. In Italia non ci
sono monumenti per la pace. Quello di Acri è in assoluto il primo del genere contro
la guerra, che ne denuncia le cause, figurate nelle tre teste mostruose dell’idra
di Lerna, il mostro assassino che infierisce sull’uomo che è a terra prostrato.
Gli educatori devono affiancare i
ragazzi e i cittadini nel rendere intelligibile l’opera perché si intenda come
la violenza organizzata degli stati si alimenta della forza bruta, della volontà
di dominio e di accumulazione di ricchezze e queste sono la negazione
dell’umana convivenza. La guerra non è un fatto ineluttabile. La guerra è
follia, per cui, come afferma il preambolo costitutivo dell’UNESCO nel 1945: “Se
le guerre iniziano nella mente degli uomini, è nella mente degli uomini che
devono essere costruite le difese della pace”.
*Presidente del Centro Gandhi di
Pisa
Acri. Il monumento contro le guerre realizzato da Gino Scarsi |
DOMANDE
Uno dei capi di Stato è chiamato Zar
Putin, l’altro Sultano Erdogan. Allo Zar non viene perdonato nulla, se lo
merita, ma qualcosa sarebbe da approfondire, cioè di criticare un’informazione
ossessiva e a senso unico tutta tesa a nascondere che lo statuto della NATO le
vieta sia di intervenire a sostegno di paesi non appartenenti alla NATO, sia di
aggredire altri Stati. Al Sultano, invece, viene perdonato tutto. Sono anni che
bombarda i curdi in Iraq e in Siria (oltre che nella sua Turchia). Egli ha
pagato, armato e protetto i jihadisti dell’ISIS, un movimento terroristico ben
noto creato con armi occidentali e portato a combattere una guerra che si è
trasformata nell’annientamento della Siria e di vasti territori iracheni. Sia
il Sultano che l’allora Segretaria di Stato USA Hillary Clinton avevano
presentato l’ISIS al mondo come un movimento di resistenza ispirato a ideali di
libertà (cosa che non si ricorda più). Inoltre il Sultano ha spostato a suo
vantaggio territoriale i confini con la Siria, rubando 30 chilometri di terreno
alla regione del Rojava, cacciando dai loro territori 300 mila curdi siriani, e
mettendo bandiere e truppe turche. Da settimane c’è una vasta invasione turca
di territori curdi iracheni che bombarda civili, tra cui anche donne e bambini,
bombarda anche la popolazione curda yazida, già massacrata nel 2014 dai
jihadisti, e ora sempre in Iraq sta installando basi militari turche.
Domanda: c’è una differenza tra una bomba dello Zar che uccide gli ucraini
e una bomba della NATO (di cui il Sultano fa parte) che uccide i curdi? E
perché se un ucraino prende le armi per difendersi dallo Zar è uno che fa opera
di resistenza, mentre un curdo che prende un’arma per difendersi viene
etichettato come terrorista?
Silvana Barbieri
PRIMO MAGGIO CON I POPOLI
CONTRO I GOVERNI DELLA GUERRA
Elaborazione grafica di
Giuseppe Denti
Nell’ambito
del percorso unitario di “Milano contro la Guerra”.
Primo
Maggio 2022 uniti e solidali per la pace contro la guerra.
Ampliamo
l’unità di chi vuole mobilitarsi e reagire contro tutte le guerre, affermando
la pace.
A
fianco delle popolazioni ucraine, contro Putin e la criminale aggressione delle
sue truppe.
Per
un immediato cessate il fuoco e per il ritiro dell’esercito russo.
Contro
l’espansione della Nato, l’invio di armi all’esercito ucraino che alimentano il
rischio di allargare il conflitto.
Siamo
a fianco di chi in Russia manifesta per la pace.
Siamo
contrapposti e distanti dal nazionalismo russo e da quello speculare e xenofobo
del governo ucraino di Zelensky.
Per
la solidarietà tra i popoli e per l’accoglienza incondizionata di chi fugge da
tutte le guerre senza nessuna discriminazione etnica e di nazionalità. Uniamoci
contro le logiche belliche: con le donne contro la violenza maschilista e
patriarcale, con le lavoratrici e i lavoratori contro lo sfruttamento e la
violenza padronale, con i fratelli e le sorelle immigrate contro il razzismo e
tutte le discriminazioni, contro l’ulteriore immiserimento e peggioramento
delle condizioni di esistenza come conseguenza dell’escalation bellica.
Primo
Maggio di incontro e dialogo per costruire solidarietà, con mostre, stand di
tutte le associazioni, intrattenimenti, dibattiti e assemblea contro la guerra .
Piazza
del Cannone
(Castello Sforzesco - MM1 Cairoli)
dalle
ore 15.00
Elaborazione grafica di Giuseppe Denti |
Primi
promotori:
La
Comune Milano
(lacomunemi@gmail.com;
0229517232 – 392 2630283)
Le
Veglie contro le morti in Mare Milano
(leveglie21@gmail.com)
Odissea (giornale di cultura, dibattito
e riflessione)
LETTORI GUERRA
Essere pacifista in tempo di Guerra.
Mi sento pacifista integrale, "senza se e
senza ma"; cerco di seguire, nel mio piccolo, gli insegnamenti sulla non
violenza di Gandhi, don Milani, Ernesto Balducci, Aldo Capitini, Bruno Bauer e
quanti nei secoli li hanno preceduti (ricordo il frammento di Archiloco, lirico
greco, che si disinteressava dello scudo e del suo onore, ritenendo più
importante aver salva la vita...) e non manderei le armi ad alcuno dei
contendenti. Ma sento la domanda che sempre viene rivolta a chi la vede come
me, da parte di chi, quelle armi, le manderebbe: "cosa faresti ora?".
Ecco il punto: proprio la domanda è sbagliata, in questo caso, come in tutti i
casi passati. Chiedere ad un pacifista, che non vuole la guerra, che cosa
farebbe durante una guerra, sarebbe come chiedere a chi non sa nuotare, che
cosa farebbe per salvarsi mentre sta annegando: avrebbe deciso prima di non
entrare in acqua!
Se la "guerra è la prosecuzione della politica con altri
mezzi", la domanda andrebbe rovesciata:"voi che oggi inviereste le
armi, cosa avete fatto, quando era il momento della politica, prima che la
situazione degenerasse e la politica proseguisse con le armi della
guerra?".
Abbiamo da poco festeggiato il 25 aprile: da quella lotta di
liberazione nacque la nostra democrazia. I padri costituenti, usciti dalle
macerie, scrissero che “L'Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione
delle controversie internazionali". Intendevano questo: che le
controversie si risolvono con la politica, "senza se e senza ma".
Antonio Prattella
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