Nessuna
grande cultura può trovarsi in un rapporto obliquo con la verità. Sono
parole di Robert Musil riportate nel sottotitolo di “Odissea”. Su
quale sia la verità sono state scritte intere biblioteche e non è certo il caso
di provare a farne una sintesi qui. A partire dalle verità rivelate con tanto
di Scuole di Teologia di ogni confessione religiosa nel mondo e fino alle
verità scientifiche che valgono fino a quando verità “più vere” affiorano grazie
a nuove conoscenze e teorie che di continuo si affacciano nel sapere umano. Assodato
dunque che la “verità” non può che essere relativa, con buona pace di Musil, ci
sono tuttavia delle situazioni in cui è necessario trovare, per soddisfare il
nostro intelletto, qualche àncora che ci consenta di osservare l’orizzonte da
una posizione abbastanza ferma per poter “fare il punto” ed eventualmente
procedere nella navigazione verso un obiettivo raggiungibile, auspicabile e
realistico. Tanto per rimanere in tema di Odissea. Ci
sarebbe infatti da opinare parecchio sul significato della parola “verità”,
richiamata spesso nel titolo di organi di stampa e diffusione che poi finiscono
per tradirla ad ogni piè sospinto. A partire dalla famosa Pravda (organo di
stampa del regime sovietico) e fino al nuovo strumento di diffusione “social”
(Truth) lanciato dal passato presidente USA, tutt’ora non rassegnato ad aver
perso la rielezione ad una carica che ha dimostrato di non essere stato degno
di ricoprire, fomentando l’assalto armato alla sede della massima istituzione
del suo Paese il 6 gennaio dell’anno scorso, per riprendersi con la forza il
potere perso col voto libero e democratico.
Ecco
che, volendo rileggere quell’avvenimento americano alla luce del tragico passo
compiuto a poco più di un anno di distanza dal presidente russo, con la
dissennata e sanguinosa guerra scatenata contro l’Ucraina (un paese che molto
timidamente cominciava a proporsi come neo-democrazia), ci dobbiamo chiedere quanto
fossero effettivamente in sintonia i due presidenti delle due superpotenze
nucleari nell’affondo contro l’ordinamento democratico nei loro paesi e nel
resto del mondo, per conseguire un potere assoluto in conformità col delirio di
onnipotenza che evidentemente accomuna questi due autocrati (e forse anche
altri). Non
può certo fare meraviglia che l’Unione Europea e gli Stati Uniti, tutt’ora entrambi
retti da ordinamenti liberal democratici (almeno nominalmente), si siano
trovati in sintonia contro l’azione scatenata dalla Russia, palesemente in
contrasto coi principi e le istituzioni che regolano questi grandi Paesi. È
dunque probabile che l’indebolimento della democrazia, che viene dibattuto in
molte sedi da diversi anni, abbia indotto il despota a capo della più potente
(militarmente) “democratura”, a forzare la mano per esercitare quel potere
assoluto che le sue convinzioni e i vagheggiamenti della sua distorta lettura
della Storia gli suggerivano, secondo il principio: ora o mai più.
Insomma
è assolutamente inutile andare a cercare qualche motivazione nelle colpe del
cosiddetto “Occidente”. Non che l’occidente non abbia le sue colpe,
naturalmente, ma queste possono emergere solo nella nostra mente per spiegare a
noi stessi il comportamento di un uomo e del suo entourage, che ragiona secondo
principi totalmente diversi dalla logica di causa-effetto che noi cerchiamo di
applicare alla totale pazzia di questa guerra. Una pazzia per noi ma concepita
nella lucida mente di un despota che non ha esitato a perseguire i suoi scopi
di incontrastato potere e ripristino della “grandezza” della sua Nazione
attraverso nefandezze, uccisioni e massacri artatamente nascosti nello stile
dei servizi segreti alla cui scuola è cresciuto ed ha prosperato. E perché mai
il presidente turco si è accreditato per cercare una soluzione di compromesso
tra i due contendenti? Anche in questo caso si tratta di una “democratura”
ovvero la dittatura di un uomo che, sfruttando la simil-democrazia raggiunta
dalla sua Nazione, ne ha difatti usurpato tutti i poteri, soffocando il
dissenso popolare che era quasi riuscito a deporlo e da allora ha continuato a
rafforzare il suo dispotico potere a dispetto delle istituzioni che pure
esistono nel suo Paese.
Oggi
dobbiamo purtroppo rispolverare la triste considerazione che in una guerra la
prima vittima è la verità. Tuttavia, a guardar bene, non c’è nessun bisogno di
avere una guerra vera e propria con bombe e cannoni, perché la verità soccomba
alla menzogna e alla propaganda. Le guerre possono anche essere commerciali,
economiche ed ideologiche. In quest’ultimo caso poi, il mondo globalizzato
dell’informazione, capillarmente diffusa anche da organi fuori da qualsiasi
controllo deontologico o professionale, offre continui esempi della sua enorme
potenzialità e pericolosità. Non a caso i regimi antidemocratici, per prima
cosa si isolano dal possibile ingresso della verità e contribuiscono a formarne
una parallela e contraria sia per uso interno, sia per l’esportazione. Siamo
così di fronte a una grande Nazione con una grande cultura alle spalle, in cui
la circolazione della verità e la reale portata delle azioni e delle intenzioni
della sua dirigenza, sono totalmente nascoste al suo popolo in funzione di un
consenso estorto con la falsità ma non per questo meno efficace e meno diffuso
così da garantire il mantenimento del potere. Insomma,
quello che sembrerebbe impossibile in un mondo globalizzato, sta avvenendo
sotto i nostri occhi esterrefatti, con modalità non dissimili dalla propaganda
di un Joseph Goebbels. Ma la situazione è anche più grave in quanto la
permeabilità della Rete consente alla pirateria fomentata da questo sistema
autocratico di insinuarsi nel resto del mondo attraverso siti e “social” per perseguire
i suoi scopi di guerra, sia guerreggiata, sia ideologica. Questo dispiegamento
di forze (militari e informatiche) si accompagna ad una capillare azione estera
di banditismo politico che fa leva sulla corruttibilità morale ed economica di
molti individui con responsabilità nella cosa pubblica di governi malfermi.
Tutte le persone con un briciolo di intelligenza hanno capito di chi e di che
cosa parlo, per il nostro sfortunato Paese, a partire da una buona ventina di
anni fa.
Quello
che oggi mi turba di più però è l’ingenuità di chi, non avendo alcun interesse
economico o ideologico, per favorire in alcun modo il successo di queste
manovre di soffocamento della libertà e della democrazia, si permette ancora di
dubitare della verità che il giornalismo sul campo, proveniente da tutto il
mondo libero, documenta con insopportabile crudezza dalle zone di questa
stramaledetta guerra. Oltre naturalmente alla lettura corretta che si può fare
di tutte le altre azioni, una volta capito il meccanismo alla base della
disinformazione. Quale
sia la ricetta per rientrare nel nostro beato mondo di 77 anni di Pace in
Europa, a partire dalla nostra impervia e cruenta esperienza della conquista
della libertà con la Resistenza, del perseguimento della democrazia attraverso
la Costituzione della Repubblica e la consapevolezza dei cittadini italiani (che
spesso ahimè latita) di essere parte integrante di uno Stato, mi è difficile
esprimere in poche parole ma ci proverò in un’altra occasione.