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giovedì 7 aprile 2022

ERMANNO LAVORINI, IN QUELL’ANNO 1969
di Guido Salvini


 
Un libro sul caso Lavorini a distanza di oltre mezzo secolo.
 
Chi si ricorda di piazza Fontana probabilmente si ricorda anche della morte di Ermanno Lavorini. Quell’anno 1969 si conclude con la strage di piazza Fontana. Ma era iniziato, con il sequestro e l’omicidio a Viareggio del ragazzino che, per lo scenario e per le reazioni che provoca, si colloca nello stesso clima in cui il paese vivrà la strage.
Ma già l’ultima notte dell’anno precedente, il 31 dicembre 1968, era stata segnata a Marina di Pietrasanta, a pochi chilometri da Viareggio, da un altro evento tragico. Giovani di sinistra, molti dei quali di Lotta Continua, avevano contestato la festa di Capodanno che era in programma come ogni anno alla Bussola, uno dei locali più lussuosi ed esclusivi della Versilia. I giovani sono armati di uova e frutta che intendono lanciare contro i “borghesi” che si stanno recando alla festa nel locale, una festa tanto importante da essere di solito trasmessa in diretta dalla RAI. La Polizia carica e scoppiano incidenti che dureranno fino all'alba. Un proiettile esploso dalla Polizia colpisce alla schiena uno studente, Soriano Ceccanti, che resterà paralizzato alle gambe e a vita su una sedia a rotelle. Solo un mese più tardi, il pomeriggio del 31 gennaio 1969 Ermanno Lavorini, un ragazzino di Viareggio di 12 anni, figlio di una modesta famiglia di commercianti, esce di casa per andare a giocare con gli amici e non torna più. 37 giorni dopo, il 9 marzo, una domenica, un maresciallo dell’Aeronautica che sta passeggiando con il suo cane lungo la spiaggia di Marina di Vecchiano vede l’animale scavare dietro ad una duna. Si avvicina e della terra smossa emergono prima il viso poi il corpo di Ermanno, perfettamente vestito, sepolto sotto solo 40 centimetri di terra. Il corpo viene subito rimosso senza nemmeno attendere il medico legale e il luogo del ritrovamento è calpestato da decine di curiosi. Ogni possibile indizio che può aiutare a comprendere le modalità dell’omicidio è così perduto.
Le indagini si dirigono subito verso l’ambiente della vicina pineta di Ponente frequentato da omosessuali e luogo anche di prostituzione. Inizia, anche sulla spinta della stampa locale, una sorta di caccia alle streghe che, partendo dalle perversioni notturne in pineta, addita come causa del delitto la perdita dei valori della famiglia e la decadenza dei costumi. Carabinieri e Pubblico Ministero mantengono il caso della stretta cornice del delitto a sfondo sessuale. Solo dopo alcuni mesi compaiono i primi indagati. Sono due ragazzi, Marco Baldisseri di 16 anni e Rodolfo Della Latta di 19 anni, entrambi frequentatori della pineta, e poi più tardi Pietrino Vangioni, di qualche anno più vecchio. Baldisseri interrogato più e più volte dai Carabinieri sforna almeno una dozzina di versioni tutte contrastanti tra loro e tutte depistanti. È vero sì, ero presente al delitto, dice, nato da un incontro sessuale di cui egli era l’intermediario, ma autore dell’uccisione è un adulto Adolfo Meciani, commerciante della zona. Poi Baldisseri ritratta, racconta che è stata solo una lite tra ragazzi finita male; poi alza il tiro e accusa altri adulti che, in ville indicate come sempre diverse, organizzano orge e festini di uno dei quali sarebbe rimasto vittima Ermanno; accusa Giuseppe Zacconi, figlio dell’attore teatrale viareggino Ermete Zacconi e coinvolge esponenti politici come il sindaco socialista Renato Berchielli, alla guida della giunta di sinistra di Viareggio, e il presidente dell’Azienda di soggiorno, anche lui socialista, Ferruccio Martinotti. Alla fine Marco Baldisseri arriva anche ad accusare suo padre per l’occultamento del cadavere di Ermanno.
Questa ridda di racconti, con cui i due ragazzi tengono per mesi in scacco la giustizia, fa due vittime. Adolfo Meciani, ingiustamente arrestato, tra scene di isterismo e tentativi di linciaggio dinanzi alla caserma dei Carabinieri, si impicca in carcere con un lenzuolo. Zacconi muore di crepacuore l’anno dopo.



Il Giudice Istruttore Pierluigi Mazzucchi, diventato nel frattempo titolare delle indagini, non accoglie la tesi minimalista del Pubblico Ministero secondo cui l’omicidio Lavorini si riduce ad un tentativo di incontro sessuale andato male. Anche l’inviato del Giorno il giornalista di inchiesta Marco Nozza dà il suo contributo come non mancherà poi di fare due anni dopo quando sarà scoperta la “pista nera” per la strage di piazza Fontana. È Nozza per primo a notare sul maglione di Baldisseri il distintivo del Fronte Monarchico Giovanile e a “scoprire” la sede del Fronte in via della Gronda a Viareggio.I tre ragazzi - scrive Nozza - facevano parte del Fronte giovanile monarchico che ai tempi della Bussola contestò i contestatori. Meglio: cercò rimestare le acque perché la colpa fosse tutta dei contestatori. Insomma un commando di estrema destra in piena regola compreso chi aveva dimestichezza con il tritolo.
Con molta fatica la verità emerge. Baldisseri e Della Latta sono attivisti del Fronte Monarchico Giovanile che si è da poco costituito con l’obiettivo di compiere qualche azione eclatante. Pietrino Vangioni è più vicino al Msi ma è lui a gestire la sede del Fronte. È proprio Vangioni l’ideatore dell’azione. Con il suo maldestro tentativo di nascondere un sacco pelo e una coperta, utili per un sequestro e non certo per un rapido incontro in pineta, finisce a convincere l’inquirente che quello che era in progetto era un sequestro di persona. Un sequestro cui sarebbe seguita una richiesta di riscatto alla famiglia con cui il gruppo sperava di “tirar su” 10 -20 milioni di lire.
Alla fine il Giudice Istruttore rinvia giudizio Baldisseri, Della Latta e Vangioni per omicidio volontario, per calunnia nei confronti di Meciani e di altri da loro accusati solo per sviare le indagini e rinvia a giudizio altri giovani del Fronte per reati minori.
Quel 31 gennaio 1969 non era stato concordato alcun incontro a sfondo sessuale. Gli adulti accusati da Baldisseri e Della Latta non c’entrano nulla con la fine di Ermanno. La sua morte è la tragica conseguenza di un maldestro tentativo di sequestro a scopo di estorsione finito male. Il denaro che i sequestratori speravano di ottenere dalla famiglia era destinato a finanziare il Fronte Monarchico Giovanile e a procurare ai suoi aderenti esplosivi, pistole e radiotrasmittenti che sarebbero serviti a contrastare, dopo i fatti della Bussola, la “sovversione di sinistra”.


Marina di Viareggio

Alla fine qualche ragazzo del Fronte, non direttamente coinvolto nel tentativo di sequestro, lo ammette. La sentenza della Corte d’Assise d’appello, resa definitiva dalla Cassazione, condanna Baldisseri, Della Latta e Vangioni a pene non elevate, rispettivamente 8, 9 e11 anni di reclusione. Sono pene contenute perché la Corte ha ritenuto che l’omicidio sia stato preterintenzionale e cioè al di là della volontà di chi lo ha commesso Nello stesso tempo la sentenza riconosce però che l’azione del gruppo e il sequestro finito con l’omicidio hanno avuto un movente politico.
Purtroppo il processo lascia anche tristi zone d’ombra. Non si saprà mai con certezza chi materialmente abbia ucciso Ermanno e se sia stato colpito al capo con un corpo contundente o se sia morto asfissiato. Inoltre i giovani coinvolti nella fine di Ermanno molto probabilmente erano più di quelli che sono stati individuati. Il caso Lavorini è un racconto-inchiesta da leggere, molto incisivo nella narrazione, uscito postumo dopo la morte di Sandro Provvisionato, un giornalista che tanto si è occupato dei “buchi neri” della storia italiana contemporanea.