ERMANNO LAVORINI, IN QUELL’ANNO 1969
di Guido Salvini
Un
libro sul caso Lavorini a distanza di oltre mezzo secolo.
Chi si ricorda di piazza Fontana probabilmente si ricorda anche della
morte di Ermanno Lavorini. Quell’anno 1969 si conclude con la strage di piazza Fontana.
Ma era iniziato, con il sequestro e l’omicidio a Viareggio del ragazzino che,
per lo scenario e per le reazioni che provoca, si colloca nello stesso clima in
cui il paese vivrà la strage.
Ma già l’ultima notte dell’anno precedente, il 31 dicembre 1968,
era stata segnata a Marina di Pietrasanta, a pochi chilometri da Viareggio, da
un altro evento tragico. Giovani di sinistra, molti dei quali di Lotta Continua,
avevano contestato la festa di Capodanno che era in programma come ogni anno
alla Bussola, uno dei locali più lussuosi ed esclusivi della Versilia. I
giovani sono armati di uova e frutta che intendono lanciare contro i “borghesi”
che si stanno recando alla festa nel locale, una festa tanto importante da
essere di solito trasmessa in diretta dalla RAI. La Polizia carica e scoppiano
incidenti che dureranno fino all'alba. Un proiettile esploso dalla Polizia
colpisce alla schiena uno studente, Soriano Ceccanti, che resterà paralizzato
alle gambe e a vita su una sedia a rotelle. Solo un mese più tardi, il
pomeriggio del 31 gennaio 1969 Ermanno Lavorini, un ragazzino di Viareggio di 12
anni, figlio di una modesta famiglia di commercianti, esce di casa per andare a
giocare con gli amici e non torna più. 37 giorni dopo, il 9 marzo, una
domenica, un maresciallo dell’Aeronautica che sta passeggiando con il suo cane
lungo la spiaggia di Marina di Vecchiano vede l’animale scavare dietro ad una
duna. Si avvicina e della terra smossa emergono prima il viso poi il corpo di
Ermanno, perfettamente vestito, sepolto sotto solo 40 centimetri di terra. Il
corpo viene subito rimosso senza nemmeno attendere il medico legale e il luogo
del ritrovamento è calpestato da decine di curiosi. Ogni possibile indizio che
può aiutare a comprendere le modalità dell’omicidio è così perduto.
Le indagini si dirigono subito verso l’ambiente della vicina pineta
di Ponente frequentato da omosessuali e luogo anche di prostituzione. Inizia, anche
sulla spinta della stampa locale, una sorta di caccia alle streghe che,
partendo dalle perversioni notturne in pineta, addita come causa del delitto la
perdita dei valori della famiglia e la decadenza dei costumi. Carabinieri e Pubblico
Ministero mantengono il caso della stretta cornice del delitto a sfondo
sessuale. Solo dopo alcuni mesi compaiono i primi indagati. Sono due ragazzi,
Marco Baldisseri di 16 anni e Rodolfo Della Latta di 19 anni, entrambi
frequentatori della pineta, e poi più tardi Pietrino Vangioni, di qualche anno
più vecchio. Baldisseri interrogato più e più volte dai Carabinieri sforna
almeno una dozzina di versioni tutte contrastanti tra loro e tutte depistanti.
È vero sì, ero presente al delitto, dice, nato da un incontro sessuale di cui
egli era l’intermediario, ma autore dell’uccisione è un adulto Adolfo Meciani,
commerciante della zona. Poi Baldisseri ritratta, racconta che è stata solo una
lite tra ragazzi finita male; poi alza il tiro e accusa altri adulti che, in ville
indicate come sempre diverse, organizzano orge e festini di uno dei quali
sarebbe rimasto vittima Ermanno; accusa Giuseppe Zacconi, figlio dell’attore teatrale
viareggino Ermete Zacconi e coinvolge esponenti politici come il sindaco
socialista Renato Berchielli, alla guida della giunta di sinistra di Viareggio,
e il presidente dell’Azienda di soggiorno, anche lui socialista, Ferruccio
Martinotti. Alla fine Marco Baldisseri arriva anche ad accusare suo padre per l’occultamento
del cadavere di Ermanno.
Questa ridda di racconti, con cui i due ragazzi tengono per mesi in
scacco la giustizia, fa due vittime. Adolfo Meciani, ingiustamente arrestato,
tra scene di isterismo e tentativi di linciaggio dinanzi alla caserma dei
Carabinieri, si impicca in carcere con un lenzuolo. Zacconi muore di crepacuore
l’anno dopo.
Il Giudice Istruttore Pierluigi Mazzucchi, diventato nel frattempo
titolare delle indagini, non accoglie la tesi minimalista del Pubblico
Ministero secondo cui l’omicidio Lavorini si riduce ad un tentativo di incontro
sessuale andato male. Anche l’inviato del Giorno il giornalista di inchiesta
Marco Nozza dà il suo contributo come non mancherà poi di fare due anni dopo
quando sarà scoperta la “pista nera” per la strage di piazza Fontana. È Nozza per
primo a notare sul maglione di Baldisseri il distintivo del Fronte Monarchico
Giovanile e a “scoprire” la sede del Fronte in via della Gronda a Viareggio. “I tre ragazzi - scrive Nozza - facevano parte del Fronte
giovanile monarchico che ai tempi della Bussola contestò i contestatori. Meglio:
cercò rimestare le acque perché la colpa fosse tutta dei contestatori. Insomma
un commando di estrema destra in piena regola compreso chi aveva dimestichezza
con il tritolo”.
Con molta fatica la verità emerge. Baldisseri e Della Latta sono
attivisti del Fronte Monarchico Giovanile che si è da poco costituito con l’obiettivo
di compiere qualche azione eclatante. Pietrino Vangioni è più vicino al Msi ma è lui a gestire la sede del Fronte. È proprio Vangioni l’ideatore
dell’azione. Con il suo maldestro tentativo di nascondere un sacco pelo e una
coperta, utili per un sequestro e non certo per un rapido incontro in pineta, finisce
a convincere l’inquirente che quello che era in progetto era un sequestro di
persona. Un sequestro cui sarebbe seguita una richiesta di riscatto alla
famiglia con cui il gruppo sperava di “tirar su” 10 -20 milioni di lire.
Alla fine il Giudice Istruttore rinvia giudizio Baldisseri, Della Latta
e Vangioni per omicidio volontario, per calunnia nei confronti di Meciani e di
altri da loro accusati solo per sviare le indagini e rinvia a giudizio altri
giovani del Fronte per reati minori.
Quel 31 gennaio 1969 non era stato concordato alcun incontro a
sfondo sessuale. Gli adulti accusati da Baldisseri e Della Latta non c’entrano
nulla con la fine di Ermanno. La sua morte è la tragica conseguenza di un
maldestro tentativo di sequestro a scopo di estorsione finito male. Il denaro
che i sequestratori speravano di ottenere dalla famiglia era destinato a
finanziare il Fronte Monarchico Giovanile e a procurare ai suoi aderenti
esplosivi, pistole e radiotrasmittenti che sarebbero serviti a contrastare,
dopo i fatti della Bussola, la “sovversione di sinistra”.
Marina di Viareggio
Alla fine qualche ragazzo del Fronte, non direttamente coinvolto
nel tentativo di sequestro, lo ammette. La sentenza della Corte d’Assise d’appello,
resa definitiva dalla Cassazione, condanna Baldisseri, Della Latta e Vangioni a
pene non elevate, rispettivamente 8, 9 e11 anni di reclusione. Sono pene
contenute perché la Corte ha ritenuto che l’omicidio sia stato preterintenzionale
e cioè al di là della volontà di chi lo ha commesso Nello stesso tempo la
sentenza riconosce però che l’azione del gruppo e il sequestro finito con l’omicidio
hanno avuto un movente politico.
Purtroppo il processo lascia anche tristi zone d’ombra. Non si
saprà mai con certezza chi materialmente abbia ucciso Ermanno e se sia stato
colpito al capo con un corpo contundente o se sia morto asfissiato. Inoltre i
giovani coinvolti nella fine di Ermanno molto probabilmente erano più di quelli
che sono stati individuati. Il caso Lavorini è un racconto-inchiesta da
leggere, molto incisivo nella narrazione, uscito postumo dopo la morte di
Sandro Provvisionato, un giornalista che tanto si è occupato dei “buchi neri”
della storia italiana contemporanea.