IL PNRR, LA GUERRA E LO SVILUPPO REALE
di
Marco Vitale
“Ogni giorno sento
all’orecchio del mio cuore le parole del mio compianto predecessore, don
Giuseppe Rassello, come una benedizione e al contempo un augurio: «Sanità
inafferrabile, incostante bellezza, uno di quei posti dove l’umanesimo o
diventa umanità o muore”*. (Lectio Magistralis di Don Antonio
Loffredo, Università del Sannio Benevento 24.03.2022)
Da qualche tempo la redazione mi
sollecitava un articolo da tempo programmato, dedicato ad una breve riflessione
sull’andamento del PNRR. Io cercavo di tirare per le lunghe, mancandomi il
coraggio di dire la verità, e cioè che era per me molto doloroso tentare di
riflettere sul PNRR. Soffrivo all’idea di dover formulare critiche severe e una
visione profondamente negativa sull’andamento del progetto PNRR, in un momento
di grandi preoccupazioni per l’atroce guerra in corso e per le sofferenze e le
lacerazioni che essa provoca. Come parlare seriamente di un piano di rinascita
quanto il contesto appare cupo e senza speranza non solo per il martoriato
popolo ucraino ma per tutti noi? Come parlare seriamente di un piano di
rinascita quando gli schermi televisivi sono colmi di immagini di morti e di
macerie, mentre i dibattitti chiamati politici sono dominati da guerrafondai da
salotto, da strateghi geopolitici molti dei quali sono persino peggio dei
virologi e da governanti che aumentano la spesa per le armi invece di
“coltivare la pace”. Ero molto triste, al limite della depressione. Ma
sforzandomi, stavo cercando di sviluppare, comunque, alcune riflessioni:
1.- Analizzare seriamente cosa è stato fatto nel Mezzogiorno
negli ultimi settant’anni e cercare di fare tutto ma proprio tutto diverso. Ma
mi sembra che si stia facendo invece tutto uguale, un vero e proprio copia e
incolla (grandi opere magari utili ma affidate alla solita burocrazia e nessuna
nozione di economia dal basso, nessuna “semina” di impresa e di cultura);
2.- Perché non volete prendere atto che solamente con i soldi
non si va da nessuna parte ed anzi si rovinano territori, persone e comunità? Eppure,
le biblioteche sono piene di libri seri di economia dello sviluppo che
raccontano e documentano queste verità;
3.- E perché non volersi convincere che lo sviluppo si può
fare solo facendo leva sulle risorse vere e reali: il territorio con le sue caratteristiche
specifiche e positive; la sua popolazione e soprattutto i giovani; la cultura
nel senso più ampio e diffuso; la fiducia; l’onestà; la dignità del lavoro; il
contenimento delle divergenze economiche, sociali, culturali; l’impresa e lo
spirito d’impresa?
4.- Perché non vi siete ancora chiesti come mai le
privatizzazioni del 1992 sono state un disastro per il Paese e un arricchimento
di un pugno di amici (come in Russia)?
Mi accingevo, con fatica, ad elaborare questi dolorosi temi
quando sono stato liberato dal triste compito, da un improvviso e gradito
invito. Il 24 marzo sono stato invitato dall’Università del Sannio, una
università piccola ma di qualità e preziosa per il suo vasto territorio
(l’antico Sannio) ad assistere a un incontro per la cerimonia di conferimento
della Laurea Honoris Causa in Economia e Management a Padre Antonio Loffredo
parroco del Rione Sanità di Napoli, sacerdote-imprenditore e grande educatore.
Mi sono precipitato nella capitale del Sannio perché seguo le vicende del Rione
Sanità, di Padre Antonio Loffredo e dei suoi giovani, da quasi venti anni ed
ero certo che avrei partecipato ad una bella mattinata densa di verità,
intelligenza, umanità e speranza. E ad una grande lezione di economia dello
sviluppo. E così è stato. Dall’insieme degli interventi (intervento
introduttivo del Magnifico Rettore Gerardo Canfora, inquadramento del Direttore
del Dipartimento di economia e management, prof. Massimo Squillante, Laudatio
della giovane e brava professoressa di diritto del lavoro, Paola
Saracini, e, infine, la bellissima Lectio Magistralis di Padre Antonio
Loffredo) è emersa, con verità e rigore, una delle più belle storie di
autentico sviluppo degli ultimi decenni in Italia, quello che i grandi economisti
dell’illuminismo lombardo e di quello
partenopeo chiamavano, incivilimento. Il Rione Sanità (32.000 abitanti, come
una media città lombarda), un tempo zona pregiata, salubre (da cui il nome), “straripante
di vitalità culturale ed economica dal Rinascimento al secolo dei Lumi” (Lectio
Magistralis), che si distende ai piedi della collina di Capodimonte, in seguito
ad una successione di fattori ed eventi negativi ha subito un continuo e
prolungato processo di impoverimento e di degrado. L’inizio dell’involuzione fu
nel decennio francese all’inizio del 1800 con la costruzione del grande e
oppressivo viadotto che collega direttamente il centro della città con la
collina di Capodimonte, che ancora oggi sovrasta, soffoca ed isola il Rione dal
resto della città, come una sorta di “enclave” determinata da un gesto urbanistico
che fa riflettere sull’importanza, nel bene e nel male, dell’urbanistica. Nell’interno del Rione restò vitale una
pregevole tradizione artigianale di piccole fabbriche di guanti, scarpe e
borse, che fu spazzata via dal terremoto del 1980 “aprendo un vuoto profondo riempito in larga misura
dalla criminalità che avrebbe trasformato la Sanità in una roccaforte della
camorra. Sul finire del secolo scorso il Rione sarebbe diventato uno dei
principali teatri della guerra dei clan, per espugnare il controllo del
traffico di droga che, dalla periferia della città, trova qui un corridoio
privilegiato di accesso. È in questo contesto che La Paranza, un piccolo gruppo
di ragazze e ragazzi, comincia a dare forma al proprio progetto di impresa” (Lectio Magistralis).
La
nascita formale dell’impresa cooperativa e sociale La Paranza è del 2006, ma il
lavoro di semina e di preparazione culturale di questi giovanissimi inizia
quando la maggior parte di loro erano ancora quasi bambini, inizia quando, nel
2001, la parrocchia della Sanità viene affidata ad un giovane ma già sperimentato sacerdote-imprenditore,
Don Antonio Loffredo, che forte di una solidissima cultura filosofica e
teologica, di una profonda e autentica religiosità e spirito civile e democratico,
di un amore genuino per i giovani, di
una istintiva capacità di grande organizzatore, animato da una grande e
fiduciosa speranza cristiana, incomincia a lavorare perché i giovani del Rione non restino isolati sulla
strada, senza prospettive. Il cammino inizia con 5 giovani e pochissimi soldi.
Ma la meta è ardua e impegnativa e rapidamente alla pattuglia dei pionieri si
affiancano numerosi veri amici (tra i quali l’associazione da poco costituita:
L’Altra Napoli), attratti dalla qualità umana del leader e dei suoi ragazzi e
dal fascino della missione: “valorizzare il patrimonio culturale del Rione
per offrire opportunità di lavoro al maggior numero di giovani che lo abitano”.
(Lectio Magistralis), realizzando l’opera di valorizzazione del patrimonio
culturale con i giovani e attraverso i giovani. Ci si muove nella direzione che
molti anni dopo verrà formulata dalla Convenzione di Faro con il concetto di
“comunità di patrimonio”. Il valore di questo cammino ed i risultati
rapidamente raggiunti e raccontati nella Lectio Magistralis sono stati già
ampiamente illustrati dalla stampa e dalle televisioni italiane e
internazionali. La Paranza vince un concorso per l’affidamento della gestione
delle Catacombe di San Gaudioso e poi di San Gennaro e sistema e rilancia
questi preziosi beni culturali che erano quasi morti.
Nel 2008 i visitatori
furono poco più di 5000. Nel 2019 si è superata la soglia delle 160.000
presenze e le Catacombe sono diventare uno dei luoghi più visitati di Napoli e
tra le “attrazioni più consigliate da TripAdvisor”. Nel mese di agosto 2021 le presenze segnano
un aumento del 10% rispetto allo stesso periodo del 2019. I giovani che
lavorano alla Paranza sono oltre cinquanta. Ma altre cooperative di lavoro sono
sorte per i giovani del Rione che trovano qui non solo lavoro, ma identità, dignità,
orgoglio di fare cose buone peer il proprio quartiere e la propria città. Nel
2018 gli studiosi di due Università dimostrano che l’attività della Paranza ha
generato per la città di Napoli un impatto economico superiore ai 32 milioni di
euro all’anno. Si è creata un’orchestra giovanile con il sostegno dei maestri del
Conservatorio. Si apre un’attività teatrale, le attività economiche del
quartiere collegate al turismo e all’artigianato sono rifiorite, le opportunità
di lavoro si sono moltiplicate, sono sorte numerose nuove attività, le valutazioni
immobiliari hanno avuto un’impennata. Insomma, un grande esempio di rigenerazione
urbana, di sviluppo reale, di buona economia nel senso che il giudice Falcone
mi raccomandò un giorno dicendomi: se voi uomini di impresa volete aiutarci a sconfiggere
la mafia fate buona economia. È importante riflettere sui principi base che hanno guidato, sin
dall’inizio, l’opera di Don Antonio e delle sue ragazze (tante e molto attive) e
dei suoi ragazzi:
1.- senza investire nel
sociale e nella cultura non si possono, realisticamente, perseguire veri
obiettivi di sviluppo. “C’è bisogno al contempo e in tempi brevi di più cura
della cultura e di più cultura della cura”. (Lectio Magistralis);
2.- bisogna costruire dal
basso con ciò che si ha, valorizzando i punti di forza del proprio territorio e
della propria comunità. Alla Sanità don Antonio trovò tanti beni culturali
abbandonati e negletti da rivitalizzare, tanti giovani con una energia positiva
e preziosa anch’essa abbandonata e negletta, una grande storia dimenticata.
L’insieme di questi tre beni ha fatto scattare la reazione che ha fatto dire a
papa Francesco: “al Rione Sanità è avvenuto un miracolo”. E invece non
si è trattato di un miracolo ma solo dell’applicazione seria e coerente di
principi fondamentali del buon sviluppo animati dall’amore;
3.- non si è mai perso tempo
a elemosinare aiuti finanziari pubblici ed anzi si è dovuto lottare contro istituzioni
che avrebbero dovuto aiutare e, invece, sono state ostili. I necessari aiuti
finanziari sono giunti da donazioni private anche milanesi, attratte dal
fascino del cammino intrapreso e soprattutto dal buon lavoro e dal buon studio
dei giovani che hanno fatto vincere appalti, generatori di buona economia e
buona finanza e di una accorta e onesta gestione.
Si tratta di principi
fondamentali dell’economia dello sviluppo che sono stati anche teorizzati da bravi
maestri che attraversano i tempi. A partire da un altro grande
prete-economista, un altro Antonio, quell’Antonio Genovesi che ottenne la prima
cattedra al mondo di economia all’Università Federico II di Napoli nel 1754. Le
sue opere parlavano di sviluppo reale e incivilimento, di pubblica felicità e
virtù civili e furono tradotte in spagnolo, francese e persino russo; per
arrivare ad un maestro contemporaneo come Hugues de Varine che Don Antonio
conosce attraverso i suoi scritti nei quali trova la conferma della correttezza
anche teorica del cammino avviato alla Sanità. Per questo Don Antonio cita
ampiamente De Varine nella sua Lectio Magistralis. E questo incontro tra due
maestri dello sviluppo locale attraverso la valorizzazione dei beni culturali
mi riempie di gioia. Insomma, una bella mattinata quella passata nel Sannio ed
una bella storia che mi hanno salvato dalla incipiente depressione e mi hanno
dato la certezza che anche questa volta l’Italia del lavoro, della cultura,
dell’umanità, dell’amore ci salverà. L’esempio del Rione Sanità non è isolato.
In molti altri luoghi si è imparato che è solo da noi stessi, dal lavoro e
dallo studio serio, dalla cultura e dalla bellezza che può nascere un nuovo
sviluppo reale. E mentre osservo il bel panorama dell’Irpinia dal pullman che
ci riporta a Napoli penso che ce la faremo non grazie al PNRR ma nonostante il
PNRR. Un giovane collega il suo telefonino con la registrazione di canzoni napoletane,
al microfono del pullman. Quanta allegria, vitalità, ironia in queste canzoni!
Quando la registrazione trasmette le canzoni di Carosone mi rallegra la loro triste ironia. E quando
arriva “tu vo’ fa’ l’Americano”, non posso non sorridere, e non pensare al
presidente Draghi.
*Giuseppe Rassello, San
Severo fuori le mura,
Napoli,
D’Auria, 1985, p.11